di Vincenzo Ferrari

Sommario

1. Il concetto di equilibrio contrattuale: dalla dimensione formalistica a quella sostanziale

2. Aleatorietà e «proporzionalità invertita»: la tutela dell’equilibrio contrattuale nel contesto dei contratti aleatori

3. Collegamento contrattuale ed «unicità» di regolamento negoziale: il criterio della valutazione causale complessiva tra aleatorietà ed equilibrio economico

1. Il concetto di equilibrio contrattuale: dalla dimensione formalistica a quella sostanziale

La tradizione giuridica continentale – risentendo dell’impostazione ideologica liberale di derivazione francese – ha costantemente rappresentato il contenuto del contratto come l’assetto di interessi convenuto dalla parti al tempo della stipulazione, ossia come la sintesi fedele delle loro volontà, fuse in un regolamento cristallizzato a quel momento, che acquisisce «forza di legge» tra di esse, senza che eventuali sopravvenienze possano incidervi sulla persistenza1.

In quest’ordine di idee, il «consenso» dei contraenti assume un ruolo portante nella fenomenologia negoziale, rappresentando l’unico «fondamento di vincolatività» del contratto, che risulta essere sottratto ad ogni forza eteronoma in grado di alternarne l’assetto interno2.

Ne discende, pertanto, la libertà dei privati di addivenire ad un’autoregolamentazione dei propri interessi nel modo ritenuto più conveniente ed opportuno, escludendosi ogni sindacato esterno in ordine alla valutazione economico-sostanziale dell’accordo.

Di conseguenza, nel prefato quadro ideologico, anche scambi economicamente sperequati e sproporzionati sono da ritenersi legittima espressione dell’autonomia privata, purché non siano collidenti con i limiti esterni di esercizio posti ad essa dall’ordinamento, e rappresentino il risultato immediato del consenso libero e genuino dei contraenti3.

Il ruolo del legislatore non è, infatti, quello di determinare i rapporti economici interni definiti dal contratto, ma soltanto quello di garantire – in ossequio ai principi del liberalismo borghese – l’eguaglianza formale delle parti, avendo come obiettivo quello di assicurare l’identità del regolamento negoziale con la loro volontà effettiva4. Obiettivo quest’ultimo che si manifesta positivamente nell’apprestamento di quella serie di rimedi normativi volti a preservare la correttezza del processo autoderminativo dei privati, dalla sua formazione fino alla conservazione del vincolo medesimo.

La disciplina dei vizi del consenso e dell’invalidità negoziale risponde, di conseguenza, a tale primaria esigenza di ordine ideologico, che informa di sé l’intero ordinamento e si traduce nella sostanziale irrilevanza giuridica del concetto di «equilibrio», intenso nella sua accezione materialistica e quantitativa, inerente, cioè, ai rapporti di proporzionalità intercorrenti tra le prestazioni dedotte in contratto5.

Si era soliti, infatti, ritenere che «qui dit contractue, dit just», onde stigmatizzare il concetto per cui solo il corretto esercizio dell’autonomia privata sarebbe stato in grado di realizzare un risultato conforme a giustizia, risultando superfluo ogni richiamo al concetto di «proporzionalità» demandato all’intima ed insindacabile valutazione soggettiva di convenienza di ciascuno dei contraenti6.

Se, quindi, di «equilibrio contrattuale» può parlarsi, lo è soltanto da un punto di vista eminentemente «normativo», ossia con riferimento alla distribuzione dei diritti e degli obblighi tra le parti, attinente al profilo «qualitativo» del negozio, senza spingersi alla sua consistenza propriamente economica7.

Tale prospettiva emerge, seppur con dei temperamenti, anche dal codice civile del 1942, in cui istituti quali la rescissione per lesione, l’annullabilità del contratto per incapacità naturale, la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, gli interessi usurari e le condizioni generali del contratto, rappresentano strumenti attraverso cui l’ordinamento tende a voler garantire la genuinità del processo di autoderminazione volitiva dei contraenti alla stipulazione e, non già, ad imporre la proporzionalità tra le prestazioni dedotte nel regolamento negoziale8.

Il mutamento di prospettiva ideologica sopravvenuto nel secondo dopoguerra – che ha visto il passaggio dalle logiche liberali, e poi corporative, al solidarismo costituzionale – ha inciso sul previgente riconoscimento incondizionato dell’autonomia privata e della libertà contrattuale, onde permettere la razionalizzazione dei traffici commerciali e la loro uniformazione alle prerogative esistenziali promananti dal valore inviolabile della dignità umana9.

Tale prospettiva assiologica, tracciando una profonda connessione tra diritti fondamentali e interessi intersoggettivi, rinnova il metodo di analisi dei rapporti contrattuali, rispetto ai quali viene ad esigersi una conformità a giustizia, non più – o meglio non solo – dal punto di vista formale (quale rispondenza alla volontà dei contraenti), ma soprattutto da quello sostanziale, intesa quale compatibilità e funzionalità dell’assetto di interessi convenuto dai privati alla realizzazione di interessi socialmente rilevanti10.

In questo senso, quindi, assume rilevanza il contenuto economico del contratto, nel quale si misurano le posizioni soggettive dei contraenti, il cui equilibrio, acquisisce valenza concreta – rispondente ad un generale principio di equità/solidarietà – ponendosi esso stesso quale «valore», a cui è demandato il compito di realizzare l’adeguamento del sistema negoziale al sostrato assiologico dell’ordinamento11.

La nozione di «equilibrio economico» acquisisce una precisa valenza «quantitativa», che si traduce nel nesso di «proporzionalità» oggettiva che deve intercorrere tra le prestazioni dedotte nel regolamento, da non doversi confondere con il diverso rapporto di «equivalenza», il quale non sembra emergere dall’attuale sistema giuridico. Infatti, l’interesse che le parti sottendono alla prestazione può – nel caso specifico – anche essere privo di una consistenza patrimoniale e di converso sprovvisto di un valore di mercato, ma nel complesso della relazione negoziale, assumere una rilevanza economica equilibrata «in considerazione degli ulteriori eventuali elementi sottesi al negozio»12.

2. Aleatorietà e «proporzionalità invertita»: la tutela dell’equilibrio contrattuale nel contesto dei contratti aleatori

Il contenuto economico del contratto assume nell’odierno contesto improntato alla legalità costituzionale una posizione di indiscussa centralità, atteso che il rapporto di «proporzionalità» a cui devono essere informate le prestazione in esso dedotte, si riflette inevitabilmente sul piano della compatibilità dell’operazione negoziale con i principi solidal-personalistici posti a base dell’ordinamento e costituenti il minimo comune denominatore, teso ad uniformare ogni relazione giuridicamente rilevante al rispetto del supremo valore della dignità umana13.

Di talché emerge come la valenza economica delle prestazioni contrattuali, onde garantirne un «equilibrio» che non sia solo formale, non si esaurisce in sé, dovendo per contro essere valutata «nel complesso della operazione economica alla quale il contratto dà veste giuridica»14.

Se, tuttavia, nel contesto dei contratti a prestazioni corrispettive il principio di «proporzionalità» non tarda a riflettersi con evidenza nel rapporto sinallagmatico che intercorre tra le prestazioni, consentendo di aprire ad interventi eteronomi che possano garantire un’equa distribuzione di sacrifici e di utili tra le parti, maggiori resistenze ricorrono nell’ambito dei contratti aleatori15. Quivi, infatti, la nozione di «equilibrio» presenta in prima battuta delle consistenti difficoltà di inserimento dovute alla sua apparente conflittualità concettuale e sostanziale con la opposta nozione di «aleatorietà», tradotta nel dettato normativo di cui all’art. 1469 c. c., che esclude in siffatto settore negoziale, l’operatività delle norme sull’eccessiva onerosità sopravvenuta, in tal modo rendendo irrilevanti le vicende inerenti al contenuto economico del contratto16.

Tuttavia, le menzionate implicazioni assiologiche che sottendono alla concetto di proporzionalità non consentono di relegare i contratti aleatori al di fuori dell’ordinamento, sottraendoli all’operatività dei principi e dei criteri tesi ad uniformare l’autonomia negoziale alla legalità costituzionale, sicché si impone la necessità di tracciare un’interconnessione tra le nozioni di «aleatorietà» e di «equilibrio contrattuale», onde evidenziarne gli eventuali profili di compatibilità.

Sul punto, rilievo centrale assume la constatazione dell’assenza di una definizione normativa di «alea», che porta a doverne enucleare il relativo concetto sul piano del merito delle singole fattispecie – di per sé non rispondenti ad un paradigma unitario –, così da poter considerare l’alea contrattuale essenzialmente come «fatto» a cui deve essere rapportato il profilo della proporzionalità17.

In questo senso, nella valutazione della complessiva operazione negoziale, ne deriva che maggiore è l’alea e minore è l’equilibrio del risultato, sicché quest’ultimo non può essere aprioristicamente tratto dalla fattispecie contrattuale «tipica» – strutturalmente intesa –, ma dipende dalle circostanze fattuali e concrete sopravvenute nel corso di svolgimento del rapporto.

Si realizza, pertanto, tra gli (apparentemente) opposti fattori un rapporto di «proporzionalità invertita», per cui quanto maggiore e più intenso è lo spazio che l’ordinamento riconosce all’«equilibrio», corrispondentemente più compresso sarà l’ambito dell’«aleatorietà» e viceversa; sicché tra le predette «entità» non è configurabile una assoluta incompatibilità e sostanziale antinomia18.

Infatti, la persistenza dell’«aleatorietà» – soprattutto quando si pone quale proiezione esteriore dell’autonomia privata – non implica un rapporto alternativo di presenza/assenza rispetto all’equilibrio del contenuto economico del contratto, ma per l’appunto di «proporzionalità invertita», nel senso che la misura dell’uno riduce, ma non esclude, quella dell’altro.

Ne deriva, conseguentemente, quale sintesi teorica generale, che il settore dei contratti aleatori non è estraneo al dinamismo funzionale imposto dalla legalità costituzionale, in quanto non escluso dalla portata operativa del fondamentale principio di sistema della «proporzionalità», che – seppur con sfumature differenti rispetto ai contratti sinallagmatici – trova un suo spazio applicativo, permettendo di contemperare l’«alea» con l’«equilibrio economico» del risultato, in questo modo bilanciando il determinismo individualistico dell’autonomia negoziale con i valori solidaristici posti a base dell’ordinamento.

3. Collegamento contrattuale ed «unicità» di regolamento negoziale: il criterio della valutazione causale complessiva tra aleatorietà ed equilibrio economico

Le questioni sottese al rapporto tra «aleatorietà» ed «equilibrio contrattuale» acquistano particolare importanza se valutate nel contesto del collegamento negoziale, rispetto al quale si impone l’adozione di criteri peculiari di giudizio, tesi a consentire un accertamento complessivo dell’operazione negoziale, anche sotto il profilo delle proporzionalità delle prestazioni a cui le parti sono reciprocamente tenute.

Sul punto è opportuno rilevare come con il collegamento negoziale non viene a configurarsi un nuovo ed autonomo contratto, delineandosi piuttosto con la predetta espressione un meccanismo mediante il quale i contraenti tendono a realizzare un «risultato economico unitario e complesso», che viene perseguito non già con la conclusione di un singolo negozio, ma attraverso una «pluralità coordinata di contratti», i quali pur mantenendo una causa autonoma, si fondono in un regolamento unitario di interessi, orientato alla realizzazione di una specifica finalità d’insieme19.

Ne discende che, il criterio discretivo onde distinguere tra contratto unico e contratto collegato non può essere individuato in elementi di ordine meramente formale (unità o pluralità dei documenti) o temporale (contestualità o diacronia delle stipulazioni), ma in rilievi di natura sostanziale, atti ad identificare l’unicità o la pluralità degli interessi perseguiti20.

Le considerazioni che precedono mostrano, quindi, come l’individualità causale ed oggettiva di ciascun contratto, singolarmente intesto, viene a confluire in un regolamento negoziale unitario, funzionalmente preordinato alla realizzazione di un interesse, che può configurarsi soltanto nella sua dimensione globale.

In sostanza, la connessione teleologica che si instaura tra i singoli «frammenti» contrattuali, riconduce ad una unitarietà funzionale che assume la propria fisionomia autentica soltanto nel complessivo regolamento, sul quale, per conseguenza, l’interprete dovrà incentrare la propria attenzione onde verificarne sostanzialmente l’equilibrio, dal punto di vista sia normativo che economico.

Trattasi di una valutazione che certamente finisce per incidere sotto il profilo della meritevolezza dell’interesse perseguito dall’operazione economica nel suo insieme, il cui positivo riscontro impone l’espletamento di un accertamento «concreto» da doversi condurre alla stregua dei criteri della ragionevolezza e della proporzionalità, assunti al ruolo di principi impliciti dell’ordinamento, idonei a conformare ogni manifestazione dell’autonomia privata alla legalità costituzionale21.

Infatti, collegamento negoziale è caratterizzato da un proprio equilibrio che prescinde da quello interno dei singoli contratti; un equilibrio che si riferisce alla fattispecie contrattuale complessa e collegata22.

Tale assunto non può essere ignorato ove si voglia addivenire ad un risultato coerente con il sostrato assiologico-solidaristico dell’ordinamento, subordinando le ragioni della forma a quelle della sostanza e ponendo al tempo stesso il collegamento negoziale, nel contesto della presente indagine, quale banco di prova e verifica del teorema dell’alea.

Solo mediante un approccio concreto, infatti, è possibile riscontrare che il collegamento negoziale fra contratti aleatori, a parti invertite possa escludere l’aleatorietà medesima, realizzando un regolamento economicamente equilibrato23, così come l’inserimento di un contratto aleatorio nel contesto del collegamento negoziale possa fungere da «riequilibratore» garantendo alla fattispecie complessa una «causa di scambio» e non già aleatoria.

Al tempo stesso è innegabile che il collegamento di più contratti non aleatori, nel sovvertimento funzionale delle posizioni giuridiche dei contraenti possa concludersi con un risultato di per sé aleatorio.

Tali considerazioni conducono alla sintesi per cui funzione e struttura del collegamento negoziale sono indipendenti da funzione e struttura dei singoli negozi collegati e viceversa, con la conseguenza logica, che la valutazione dell’equilibrio contrattuale non possa essere individualizzata, dovendo essere apprezzata globalmente, in relazione ai rapporti di proporzionalità oggettiva e concreta che emergono dalla complessiva operazione economica24.

Ne deriva, pertanto, l’operatività generalizzata del teorema della «proporzionalità invertita» anche nel collegamento negoziale che coinvolga una fattispecie di per sé aleatoria, dovendosi per converso valutare l’incidenza dell’alea sull’equilibrio economico emergente dal regolamento unitario ed alla luce dello scopo finale a cui l’operazione tende, non già in termini di presenza/assenza, ma nel senso che la presenza dell’una limita, ma non esclude, quella dell’altro.

_

Note

1 L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1960; L. Ferri, L’autonomia privata, Milano, 1959; D. Barbero, Rilevanza della volontà nel negozio, in Studi in memoria di B. Scorza, Roma, 1940, p. 177.

2 R. Di Raimo, Autonomia privata e dinamiche del consenso, Napoli, 2003, precisa che «la libertà dei modi di formazione del consenso è reputata componente essenziale della stessa autonomia privata. La disciplina dei relativi procedimenti che avrebbe funzione di controllo e assumerebbe valenza soltanto negativa è decisamente esclusa»; P. Schlesinger, Complessità del procedimento di formazione del consenso ed unità del negozio contrattuale, in Riv. trim., 1964, p. 1345 ss.; U. Mattei, Consenso viziato, lesione e abuso della controparte, in Riv. dir. civ., 1997, p. 764 ss.

3 P. Laghi, L’incidenza dei diritti fondamentali sull’autonomia negoziale, Padova, 2012, p. 140, sostiene che nell’impostazione emergente «dalla normativa orientata all’ideologia liberale, il punto di incontro tra autonomia privata e potere statuale era esterno ai contenuti negoziali, ossia alla sfera della volontà dei contraenti, essendo tesa ad attuare la libertà ed eguaglianza dei contraenti medesimi entro i limiti della compatibilità e non della convergenza con gli interessi propri dello Stato o comunque coinvolgenti quelli di ordine collettivo»; R. Lanzillo, La proporzione fra le prestazioni contrattuali, Padova, 2003, p. 9.

4 G. Stolfi, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961, seguendo una rigida impostazione liberale, osserva che «nell’esplicare la propria attività se e come voglia, subendo i danni e godendo i vantaggi della determinazione presa, si compendia la libertà dell’uomo, il quale può ed anzi dev’essere arbitro di assumere gl’impegni che gli convengono e di acquistare i diritti che crede, celebrando nozze o riconoscendo figli, comperando cose altrui o donando le proprie, concedendo lavori in appalto o prestando l’opera sua, consentendo mutui o a comodati, istituendo eredi o disponendo legati, conchiudendo insomma volontariamente ogni atto che leghi sé ad altri e, se del caso, altri a sé: “comme l’homme est libre, il y a des engagements où il entre par sa voluntè»; S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969.

5 P. Gallo, Trattato del contratto, III, I rimedi, la fiducia, l’apparenza, Torino, 2010, p. 1760, sostiene che «ai fini della validità del contratto era considerato sufficiente che lo scambio fosse stato effettivamente voluto e desiderato, a prescindere da accertamenti circa la sua equità sostanziale. La diffusione delle concezioni volontariste rendeva in altre parole le parti uniche arbitre dei loro interessi di natura patrimoniale. Dal dogma della volontà discendevano a sua volta due conseguenze ulteriori, da un lato la svalutazione dei rimedi equitativi, come per esempio la rescissione del contratto per lesione e la clausola rebus sic stantibus, che non sono contemplati dalle due principali codificazioni del diciannovesimo secolo, vale a dire quella francese e quella tedesca; e dall’altro lato la grande enfasi riposta nella disciplina tradizionale de vizi del consenso, errore, dolo e violenza, e soprattutto il grande sviluppo subito dall’istituto dell’errore».

6 J. Ghestin, Le contrat, Les obligations, II, in Traité de droit civil, Paris, 1988, p. 20; V. Roppo, Contratto, in Dig. disc. priv., Sez. civ., IV, Torino, 2006, p. 135, secondo cui «nessuna delle regole concernenti il controllo di funzionalità del contratto è diretta a controllare istituzionalmente l’adeguatezza del rapporto tra le prestazioni, a valutare se ciò che una parte ha dato o promesso è adeguatamente remunerato da ciò che dall’altra parte a lei si è dato o promesso: garantire insomma l’equità dello scambio, il rispetto dei principi di giustizia commutativa. Le parti sono libere, in linea di principio, di fissare come credono le ragioni di scambio dei loro contratti».

7 G. Benedetti, L’equilibrio normativo nella disciplina del contratto dei consumatori, in L. Ferroni (a cura di), Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonoma privata, Napoli, 2002, p. 39; G. Vettori, Squilibrio e usura nei contratti, Padova, 2012, p. 12 ss.; P. Laghi, o. c., p. 263 ss.

8 Sul punto v. P. Laghi, o.c., p. 264 ss. ed ivi ampia bibliografia; G. Salvi, Contributo alla studio della rescissione nel nuovo diritto dei contratti, Napoli, 2009, p. 45, sottolinea come nell’ambito della codificazione francese – che ha ispirato quella italiana – sia ravvisabile «una concezione che – seppure aperta alla teoria della causa quale elemento essenziale del contratto (art. 1108 Code civ.) attraverso il quale “misurare” la liceità dello scambio per mezzo di parametri derivanti dalle norme imperative, dall’ordine pubblico e dal buon costume – non consente l’estensione di tale controllo rispetto all’aspetto causale dell’equivalenza tra le prestazioni dei contraenti, che, piuttosto, sono concepite come argomento di indagine relativo allo stato soggettivo della parte, cioè alla libertà del consenso manifestato; nonostante il mancato riferimento al consenso viziato ed all’abuso, “si può tranquillamente affermare che l’esperienza francese resti legata alla lesione come dolus in re ipsa”, inteso come menomazione volitiva, in perfetta aromnia con l’originaria ispirazione giustinianea».

9 P. Perlingieri, Il diritto dei contratti fra persona e mercato, Napoli, 2003, p. 545.

10 Sulla funzione di promozione personalistica degli istituti privatistici si rinvia al fondamentale insegnamento di P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006.

11 P. Perlingieri, Sui contratti iniqui, in Rass. dir. civ., 2013, p. 480 ss.; G. Vettori, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, p. 32; G. Alpa, Libertà contrattuale e tutela costituzionale, in Riv. crit. dir. priv., 1995, p. 35; R. Lanzillo, Regole di mercato e congruità della scambio, in Contr. impr., 1985, p. 333

12 P. Laghi, o.c., p. 345; v. anche F. Criscuolo, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, in Tratt. dir. civ. CNN, diretto da P. Perlingieri, Napoli, 2008, p. 280, il quale rileva come l’equilibrio economico del contratto non impone «l’equivalenza assoluta delle prestazioni: si pensi, ad esempio, al principio retributivo di cui all’art. 36 cost., che non impone una corrispettività esclusiva, sibbene proporzionalità tra quantità e qualità del lavoro prestato e retribuzione, la quale sia sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore. In altri casi ancora, l’equilibrio tra le prestazioni può essere perfino determinato prescindendo dalle valutazioni di mercato relative al bene, ma tenendo invece nel debito conto eventuali interessi diversi (sentimentali od affettivi), che ben possono determinare un diverso valore del bene. Di talché, l’equilibrio si coglie con riferimento alle concrete situazioni contrattuali, secondo che si tratti di contratti di impresa, del consumatore, con funzione aleatoria, con funzione divisoria e quant’altro».

13 P. Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in L. Ferroni (a cura di), Equità delle posizioni contrattuale ed autonomia privata, Napoli, 2002, p. 52.

14 A. di Majo, La nozione di equilibrio nella tematica del contratto, in Incontro di studio del C.S.M. (Roma, 22-24 aprile 2002), p. 1.

15 S. Gatti, L’adeguatezza fra le prestazioni nei contratti con prestazioni corrispettive, in Riv. dir. comm., 1963, p. 454; P. Schlesinger, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. it., 1999, p. 231 ss.; R. Lanzillo, o.u.c., p. 333.

16 A. Riccio, Eccessiva onerosità, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 2010, p. 505.

17 In questo senso sia consentito il rinvio a V. Ferrari, Il problema dell’alea contrattuale, Napoli, 2001, p. 88 ss., laddove avevamo modo di precisare come l’assenza di una nozione legislativa di contratto aleatorio, a fronte del richiamo che comunque il legislatore effettua a «contratti aleatori per loro natura o per volontà delle parti», sembra suggellare l’impossibilità di pervenire ad una definizione che costituisca la risultante univoca di una costruzione dogmatica. Di conseguenza, deve ritenersi che l’omessa definizione normativa non stia a significare soltanto la remissione all’interprete del compito di addivenire ad una concettualizzazione di sintesi, quanto, invece, che la libertà definitoria si debba esercitare attorno ad un nucleo che nel linguaggio del codice può essere così inteso: non esiste il contratto aleatorio, bensì esistono i contratti aleatori, ognuno con caratteristiche e peculiarità proprie, la cui diversificazione non ne consente una definizione unitaria.

18 V. Ferrari, o.c., p. 100 ed ivi ampia bibliografia.

19 Cass., 28 giugno 2001, 8844; in dottrina si rinvia al fondamentale contributo di M. Giorgianni, Negozi giuridici collegati, in Riv. it. sc. giur., 1937, p. 3; F. Bravo, L’unicità di regolamento nel collegamento negoziale: la «sovrapposizione» contrattuale, in Contratti, 2004, p. 123, afferma che «la valutazione circa la sussistenza del collegamento contrattuale finisce per essere apprezzata non tanto sul piano della (comune) intenzione della parti, quanto sul piano degli interessi (comunemente) perseguiti dalle stesse. Parallelamente a quanto avviene in materia di studi sul contratto, ove l’attenzione si sposta dalla ricerca della volontà dei contraenti alla tutela degli interessi coinvolti nel contratto, allo stesso modo anche in materia di contratti collegati ci si è spostati dalla prevalente considerazione della volontà delle parti (nella preoccupazione di fornire l’inquadramento teorico ed il fondamento giuridico del collegamento negoziale), alla attuale predominante considerazione degli interessi delle parti, con una transizione dal piano prevalentemente formale a quello sostanziale».

20 Cass., 18 luglio 2003, n. 11240, in Contratti, 2004, p. 118.

21 P. Perlingieri, o.u.c., p. 52, sostiene che «la sfera di operatività del principio di proporzionalità nei contratti appare costituita da un collegamento tra elementi di raffronto omogenei, comparabili e quantificabili. La proporzionalità tende ad essere un principio, che ha valenza sul piano quantitativo e determina, ma non sempre, la conseguenza della riduzione del contratto. Viceversa, quando il collegamento è tra elementi disomogenei, non comparabili che coinvolgono interessi non quantificabili, ad esempio, non patrimoniali, ne consegue un bilanciamento tra questi, che non può tradursi sul piano della quantità, ma esige necessariamente una valutazione qualitativa. In queste ipotesi entrano in funzione sia il principio di ragionevolezza sia il principio dell’adeguatezza. La meritevolezza di tutela, pertanto, non può ispirarsi esclusivamente all’aspetto meramente quantitavo».

22 Si rinvia a V. Ferrari, o.c., p. 115, laddove avevamo già modo di rilevare come ogni qual volta è potenzialmente ravvisabile un collegamento negoziale, il giudice non può limitarsi ad esaminare il singolo contratto impugnato, dovendo estendere la sua valutazione alla complessiva operazione, onde accertare se l’equilibrio economico globale sia stato garantito attraverso più negozi teleologicamente collegati.

23 A tale considerazione è pervenuta in ultima analisi anche Cass. 19 ottobre 1998, n. 10332, in Giur. it., p. 2264, in cui si è affermato che «Costituisce contratto di mantenimento, contratto atipico ed aleatorio, l’accordo in forza del quale una parte si obbliga, in corrispettivo del trasferimento della proprietà di un bene, a prestare al cedente mantenimento ed assistenza morale e materiale per tutta la durata della vita di costui. È nullo per mancanza di causa l’accordo, successivo ad un primo contratto di mantenimento, con cui le stesse parti pongono a carico del cedente una prestazione ulteriore, mantenendo invariato il corrispettivo, consistente nella prestazione assistenziale già dovuta in seguito al primo contratto di mantenimento».

24 G. Lener, Profili di collegamento negoziale, Milano, 1999; G. Ferrando, Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm., 1997, p. 223; G. Chinè, Il collegamento contrattuale tra tipicità ed atipicità, in Giust. civ., 1996, p. 1095; F. Sangermano, La dicotomia contratti misti-contratti collegati: tra elasticità del tipo ed atipicità del contratto, in Riv. dir. comm., 1996, p. 551.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *