di Maurizio Ferrari

L’art. 1421 del codice civile, che riconosce la legittimazione ad esperire l’azione di nullità degli atti a «chiunque vi abbia interesse», precisa che la legge può disporre altrimenti ed attribuisce al giudice il potere di rilevare d’ufficio il vizio. Tale previsione, coerente con la logica che ha animato il legislatore del codice di sanzionare di nullità le patologie negoziali più gravi, destinando le altre alla sfera dell’annullabilità, comporta che la nullità — al contrario dell’annullabilità — opera di diritto, mentre la relativa azione ha solo natura di accertamento, in quanto mira a rimuovere l’incertezza sulla validità dell’atto con una sentenza che ha natura dichiarativa e non costitutiva. La nullità, dunque, non riguarda interessi individuali lasciati dalla legge nella piena disponibilità dei privati, bensì interessi di carattere generale, alla cui salvaguardia l’ordinamento giuridico presiede, non solo riconoscendo a «chiunque vi abbia interesse» la legittimazione attiva a far valere il vizio in giudizio, ma anche affidando al giudice il potere) d’intervenire d’ufficio.

La giurisprudenza prevalente1 ha individuato i seguenti limiti al potere del giudice di rilevare autonomamente la nullità: 1) poiché l’art. 115 c.p.c. dispone che, salvi i casi previsti dalla legge, il giudice pone a fondamento della decisione le prove portate in giudizio dalle parti o dal p.m. e i fatti notori, i presupposti della nullità devono risultare dagli atti acquisiti nel processo ed al giudice è preclusa ogni indagine d’ufficio2; 2) in forza dei principî della domanda (art. 99 c.p.c.) e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.), il giudice non può rilevare d’ufficio la nullità se la validità o l’invalidità dell’atto non integra un elemento costitutivo della domanda3.

La dottrina appare scettica nei confronti di tale orientamento4, soprattutto perché il principio viene dai giudici inteso sostanzialmente contestando l’operatività del potere di rilevare d’ufficio la nullità quando tale patologia dell’atto non si ponga come ragione di rigetto dalla pretesa attorea, dovendo negli altri casi «la pronuncia del giudice essere circoscritta alle ragioni di legittimità denunciate dall’interessato, senza potersi fondare su elementi rilevati d’ufficio o tardivamente indicati»5 , sicché il giudice non può rilevare d’ufficio la nullità dell’atto se la parte interessata abbia contro di esso prospettato un rimedio diverso, come l’annullamento, la risoluzione o la rescissione, ovvero se abbia domandato la dichiarazione di nullità per una diversa causa6.

L’orientamento giurisprudenziale in discorso si articola nei seguenti passaggi logici: 1) solo le eccezioni, e sempre che non si tratti di eccezioni in senso stretto, possono essere oggetto di pronuncia senza apposita istanza; 2) quando la nullità configura una ragione che favorisce la pretesa attorea, essa non opera nel campo delle eccezioni ma si iscrive nell’area delle difese, e cioè della domanda che l’attore avrebbe dovuto proporre, ma non ha proposto; 3) di conseguenza la rilevabilità d’ufficio della nullità è consentita solo quando essa si pone come ragione di rigetto della pretesa attorea, il che si verifica quando l’attore invoca il riconoscimento o l’adempimento di un suo diritto nascente dal contratto, mentre non si verifica quando l’attore intende escludere o eliminare gli effetti del contratto per ragioni diverse dalla nullità (annullamento, rescissione, risoluzione), che poteva invocare, ma che non ha invocato7 .

Successivamente la giurisprudenza di legittimità si è orientata nel senso che la nullità può essere rilevata autonomamente dal giudice in via incidentale senza limiti relativi al contenuto della domanda attorea, ritenendo che il potere attribuito al giudice dall’art. 1421 costituisca un’ipotesi non inquadrabile nella cornice dell’art. 2907, 1° comma, c.c., norma che consente al giudice di formulare, di sua iniziativa, una pronunzia estranea al processo in corso8. Conclusione alla quale è pervenuta osservando che, nel caso regolato dall’art. 1421, la lite viene avviata su istanza di parte e la nullità si pone come condizione della relativa decisione di merito, per cui l’eventuale accertamento della nullità costituisce la ragione su cui si fonda il rigetto della domanda dell’attore, e non una pronunzia estranea alla controversia9.

Tuttavia, con altra sentenza10, la Cassazione è tornata sui suoi passi, alimentando un conflitto di giurisprudenza, con l’affermazione secondo cui «la nullità può essere rilevata d’ufficio solo se si pone […] in contrasto con la domanda dell’attore, solo se cioè questi ha chiesto l’adempimento del contratto; in quanto il giudicante può sempre rilevare d’ufficio le eccezioni, che non rientrino tra quelle sollevabili unicamente dalle parti [e che] si configurano come mere difese del convenuto, dovendosi di contro pervenire a diverse conclusioni nei casi in cui la nullità si colloca non nell’ambito delle eccezioni ma ‘nella zona delle difese dell’attore, che l’attore avrebbe potuto proporre, ma non ha proposto’».

E’ emerso, dunque, un contrasto giurisprudenziale che è andato concettualmente ad impattare sulla sopravvenuta tematica della rilevabilità d’ufficio delle «nuove» nullità, introdotte dalla legislazione speciale di ispirazione europea che ha scardinato l’assetto tradizionale scaturente dal codice civile11. Ciò ha comportato il recepimento di concetti nuovi, come l’annullabilità c.d. assoluta (che mette in discussione il carattere relativo dell’azione di annullamento) e, viceversa, ipotesi di nullità relative, azionabili solo da alcuni soggetti e non da «chiunque vi ha interesse»12. Si è anche parlato di «confini mobili» tra le due categorie di invalidità, rilevando come, oggi, «la distinzione [tra nullità ed annullabilità] sembra dunque affidata al solo discrimen della rilevabilità di ufficio della nullità e del carattere dichiarativo della sentenza»13. Quest’ultima osservazione, tuttavia, viene messa gravemente in discussione da tutta una serie di norme, collocate fuori dal codice, con cui il legislatore, negli ultimi tempi, ha creato e disciplinato in diverse materie nullità c.d. di protezione, e cioè ipotesi di invalidità, definite testualmente «nullità», rispetto alle quali si riconosce espressamente il potere di far valere in giudizio il vizio negoziale al solo soggetto che la norma, di volta in volta, intende proteggere14. In altri casi, il potere del giudice di intervenire d’ufficio è subordinato all’accertamento in concreto del vantaggio che dalla pronuncia trarrà tale soggetto15.

Una recente decisione della Sezioni unite16 ha affermato che ogni forma di nullità del contratto, tranne quelle soggette a regime speciale, è rilevabile d’ufficio nel giudizio in cui ne è stata chiesta la risoluzione; la pronuncia sulla questione di nullità avrà efficacia di giudicato soltanto ove la relativa domanda, anche a seguito di rimessione in termini, sia stata proposta, mentre in ogni caso il giudice, se richiesto, dovrà disporre le restituzioni.

Le sezioni unite erano state chiamate dalla prima sezione civile17 a dirimere il contrasto giurisprudenziale in ordine alla possibilità che il giudice rilevi ex officio la nullità del contratto nella ontroversia promossa per chiederne la risoluzione, l’annullamento o la rescissione18. Le prerogative attribuite al giudice trovano nella motivazione adottata dal Supremo Collegio un ancoraggio al «principio di collaborazione tra giudice e parti». Ma altre questioni strettamente connesse all’interrogativo che ha avuto una risposta rimangono sul tappeto e, come è stato osservato in dottrina 19, “c’è il rischio che la traiettoria oggi delineata contribuisca a renderle più ingarbugliate”.

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Note

1 In senso contrario, in sede di legittimità, si registrano esclusivamente le sentenze 6 marzo 1970, n. 578, Foro it., 1970, I, 1721; 28 gennaio 1986, n. 550, id., Rep. 1986, voce Società, n. 585; 18 luglio 1994, n. 6710, id., Rep. 1994, voce Contratto in genere, n. 432, e 2 aprile 1997, n. 2858, id., Rep. 1997, voce cit., n. 482.

2 così, ex multis, Cass. 23 ottobre 1998, n. 10530, id., 1998, I, 3125.

3 v. Cass. 6 agosto 2003, n. 11847, id., Rep. 2003, voce cit., n. 518.

4 v. G. MASSETANI, Ingiustificate limitazioni alla rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto, in Foro it., 1989, I, 1945, nonché, tra i molti, G. VIDIRI, Sulla rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto, in Giust. civ., 1997, I, 2459. Mentre, in senso contrario, v. G. FILANTI, Nullità (dir. civ.), voce dell’Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1990, XXI, 1.

5 v. Cass. 14 gennaio 2003, n. 435, Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 524.

6 v. Cass. 18 aprile 1970, n. 1127, id., 1970, I, 1907, con nota di PROTO PISANI.

7 cfr. Cass. 3 aprile 1989, n. 1611, id., Rep. 1989, voce cit., n. 327.

8 Cfr. Cass. 22 marzo 2005 n. 6170, in Foro it., 2006, I, 2108, con nota di DI CIOMMO, e annotata da V. MARICONDA, La Cassazione rilegge l’art. 1421 c.c. e si corregge: è vera svolta?, in Corriere giur., 2005, 957; G. DOTTORE, Il senso della rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale nel sistema civilistico e processuale: la Cassazione torna sull’art. 1421 c.c., in Nuova giur. civ., 2006, I, 380; M. PILLONI, La Cassazione e il rilievo ex officio della nullità contrattuale tra oggetto del giudicato, principio dispositivo e corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, in Resp. civ., 2006, 1674.

9 In senso contrario, Cass. 1° agosto 2001, n. 10498, id., Rep. 2002, voce cit., n. 482; e 6 agosto 2003, n. 11847.

10 Cass. 14 ottobre 2005 n. 19903.

11 Cfr. G. PASSAGNOLI, Nullità speciali, Milano, 1995; nonché A. GENTILI, Nullità, annullabilità, inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo), in Contratti, 2003, 204.

12 Ipotesi che la dottrina, già subito dopo l’entrata in vigore del vigente codice, aveva, senza mezzi termini, bollato come «contraddittoria» (così F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, 9a ed., Napoli, 1966, ristampa 1989, 247), ovvero addirittura «falsa e assurda» (così L. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, s.d., spec. 347; cfr. ID., Annullabilità assoluta e nullità relativa, in Studi in memoria di B. Scorza, Roma, 1940, 73), l’idea stessa di una nullità relativa, in quanto atta a rendere il negozio valido per alcuni e non per altri.

13 Cfr. A. DI MAJO, in Il contratto in generale a cura di A. DI MAJO-G.B. FERRI-M. FRANZONI, in Trattato di diritto privato diretto da M. BESSONE, Torino, vol. XIII, tomo VII, 2002, 55.

14 V. l’art. 127, 2° comma, d.leg. n. 385 del 1993, t.u. in materia bancaria e creditizia, a proposito del quale cfr. A. SPENA, Regole generali e controlli, in Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia a cura di BELLI, CONTENTO, PATRONI GRIFFI, PORZIO e SANTORO, Bologna, 2003, 2079, spec. 2097; nonché l’art. 23, 3° comma, d.leg. n. 58 del 1998, t.u. dell’intermediazione finanziaria.

15 cfr. G. BONFIGLIO, La rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione, in Riv. dir. privato, 2004, 861, spec. 896-899, secondo cui, in dette ipotesi, il potere del giudice previsto dall’art. 1421 non verrebbe meno, bensì sarebbe semplicemente condizionato; sul tema, cfr., anche, S. MONTICELLI, Legittimazione relativa e rilevabilità d’ufficio, id., 2002, 685 ss. Ma v. anche A. ORESTANO, L’inefficacia delle clausole vessatorie, in E. GABRIELLI-E. MINERVINI (a cura di), I contratti dei consumatori, in Trattato dei contratti diretto da P. RESCIGNO ed E. GABRIELLI, Torino, 2005, I, 379-423; nonché C. LO SURDO, Il diritto della concorrenza tra vecchie e nuove nullità, in Banca, borsa, ecc., 2004, I, 175, e S. POLIDORI, Disciplina della nullità e interessi protetti, Napoli, 2001.

16 Cass. sez. un. 4 settembre 2012 n. 14828, in Foro it., 2013, I, 1238, con nota di A. PALMIERI, in Nuova giur. civ., 2013, I, 15, con nota di SCOGNAMIGLIO, in Giur. it., 2013, 907 (m), con nota di D’ALESSANDRO, in Danno e resp., 2013, 273, con nota di LAGHEZZA, in Rass. dir. civ., 2014, 563, con nota di PRISCO.

17 Ord. 28 novembre 2011, n. 25151, Foro it., 2012, I, 80, con nota di C.M. BARONE; annotata anche da M.C. IEZZI, Nullità del contratto: poteri officiosi del giudice, in Riv. nel diritto, 2012, 14.

18 Nella giurisprudenza di merito, ammetteva che il giudice potesse rilevare d’ufficio la nullità di un contratto, anche ove fosse stata proposta domanda di annullamento o di risoluzione o rescissione del contratto, senza incorrere in vizio di ultrapetizione, posto che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l’assenza di ragioni che determinano la nullità del contratto medesimo, App. Milano 27 luglio 2011, Foro it., Rep. 2011, voce cit., n. 464 (annotata da A. PAGANINI, L’opzione e le figure affini: gratuità o onerosità dell’opzione, in Contratti, 2011, 1085).

19 Cfr. A. PALMIERI, Azione risolutoria e rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto: il via libera delle sezioni unite (con alcuni corollari), in Foro it., 2013, I, 1238.

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