di Chiara Capomolla

La proprietà è un istituto cardine dell’ordinamento giuridico, in continua evoluzione ed ancora capace di appassionare gli studiosi anche per il suo portato d’incidenza cruciale sulla società1. Diverse le concezioni del diritto di proprietà nel tempo e nei diversi paesi.

Nell’ambito del diritto comparato è interessante, ad esempio, la disciplina della proprietà nel Regno Unito: storicamente2, ogni bene si ritiene appartenente alla Corona, di conseguenza, in capo ai singoli, possono costituirsi posizioni giuridiche comprendenti facoltà più o meno ampie, sino ad avvicinarsi alla situazione di un proprietario di civil law3. Si tratta, com’è evidente, di un retaggio medievale sorprendente in un Paese ritenuto la più antica democrazia parlamentare e culla del liberismo.

La rivoluzione francese ha riconosciuto importanti poteri personali, arrivando a ritenere “naturale” il diritto di proprietà dell’individuo. L’ulteriore evoluzione del pensiero giuridico, economico e filosofico ha portato ad un superamento anche di tale ottica strettamente liberista ed in questo nuovo solco si colloca la disciplina del nostro ordinamento, contenuta, com’è noto, non solo nel codice civile all’art. 832, ma anche nella Costituzione all’art. 42. Quest’ultima si può ritenere norma simbolo della natura compromissoria della Costituzione stessa: la proprietà privata, infatti, è riconosciuta ma solo nei modi in cui il legislatore decide, di volta in volta, di “conformarla” per meglio rispondere, sul piano pratico ma anche assiologico, alle esigenze dei consociati.

Da tempo, ormai, la dottrina ha rilevato che non si dovrebbe più parlare della proprietà ma delle proprietà4, con ciò intendendo sottolineare che esistono vari statuti di essa: le leggi che determinano i modi di acquisto e di godimento e prevedono vincoli e limiti (quali il codice dei beni culturali e ambientali o il testo unico per l’edilizia) realizzano e concretizzano la funzione sociale.

Eminente dottrina5, rileva che la frantumazione dello schema tipo della proprietà si collega alla pluridimensionalità sociale dei beni. La proprietà è diventata “plurale” perché la Costituzione impone di tenere in considerazione il soggetto proprietario, con le sue esigenze diverse che impongono diversificate risposte legislative. I beni e i soggetti si raccordano sotto l’egida della funzione sociale da intendersi un “modulatore flessibile del rapporto con i beni” . All’articolazione pluralista della società corrisponde la pluralità delle proprietà6.

Ampio spazio all’indagine e all’approfondimento offre poi la constatazione che alla pluralizzazione della proprietà corrisponde la procedimentalizzazione dell’atto di vendita e la creazione di nuove figure d’invalidità (si parla di “ibridazione7 del regime delle nullità): ai limiti ed obblighi posti a tutela di emergenti interessi si affiancano corrispondenti ipotesi di nullità funzionali a tale tutela.

Il progresso, lo sviluppo economico non sempre rispettoso della sua incidenza sul mondo circostante, le necessità vecchie e nuove dei soggetti (basti pensare alle esigenze abitative o alla tutela dei consumatori) arricchiscono il dibattito dottrinale su quello che l’insigne giurista S. Rodotà definisce il “terribile diritto” ed impongono interventi legislativi incisivi.

Moderne problematiche agitano, dunque, di continuo, la dottrina e la giurisprudenza e consegnano al legislatore nazionale il ruolo di interprete di bisogni ai quali urge dare una risposta. Si ritiene, infatti, ai sensi dell’art. 345 TFUE che la materia proprietaria non sia di competenza dell’Unione, ma la dottrina ha dibattuto, nel quadro del policentrismo normativo8 ed in particolare dei rapporti tra norme europee e norme costituzionali, sulla possibilità di una lettura “europeisticamente orientata” dello stesso art.42 C. (il criterio della proporzionalità tra obiettivo da conseguire e limitazione al diritto, per es., è di matrice europea), lettura che lo renda coerente all’art. 17 della Carta di Nizza. La legge nazionale ordinaria conserva quindi la competenza in merito alla conformazione del diritto che si sostanzia però pur sempre in godimento, sebbene si tratti di “godimento conformato”.

Tra i valori che meritano tutela vi sono senza dubbio quelli desumibili dagli artt.2, 9, 32 della Costituzione: essi si pongono non solo come possibili cause dell’imposizione di vincoli e limiti ai diritti dei proprietari, ma addirittura come possibili fondamenti di una diversa concezione proprietaria che superi la ripartizione dualistica tra proprietà privata e pubblica.

Il riferimento è alla categoria dei beni comuni, nozione che comporta il superamento della tradizionale differenza tra proprietà pubblica e privata9. Il regime giuridico di questi beni dovrebbe concretizzarsi in una difficile ma utile partecipazione della comunità nella gestione dei beni stessi10. Si tratta, inoltre, di beni la cui disciplina non può prescindere da una forte applicazione del principio di solidarietà anche intergenerazionale11: essi infatti presentano caratteristiche intrinseche tali da necessitare un uso consapevole volto anche alla preservazione futura, tanto più che il tema dei beni comuni si pone all’attenzione della dottrina e della giurisprudenza in un momento in cui le logiche di mercato hanno spesso portato ad uno sfruttamento devastante delle risorse naturali e della biosfera.

I lavori della Commissione Rodotà – istituita con D. Min. Giust. 21 giugno 2007 – si concretizzarono in un disegno di legge delega per la modifica del libro terzo titolo secondo del codice civile; la proposta presentata distingueva le discipline applicabili sulla base dell’utilità dei beni: è il bene che detta il regime giuridico da applicare12. L’illustre costituzionalista Rodotà, citando Cassano, parla di “ragionevole follia” dei beni comuni, motivando l’ossimoro ” nel fatto che i beni comuni esigono una diversa forma di razionalità, capace di incarnare i cambiamenti profondi che stiamo vivendo e che investe la dimensione sociale, economica, culturale, politica13

Anche la giurisprudenza (in particolare le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 3811 del 2011) nell’affrontare la questione relativa all’accertamento dell’appartenenza o meno a dei privati di alcune valli da pesca della laguna di Venezia, invitava il legislatore ad un ripensamento della classificazione dei beni non più in base alla loro titolarità, ma in virtù della loro funzione di soddisfacimento degli interessi collettivi.

Tra i beni comuni possiamo annoverare, senza dubbio, l’ambiente. L’idea che l’ambiente costituisca un bene in sé si è fatta strada lentamente. Il codice civile del 1942 non se ne occupa espressamente prevedendo, all’art. 844, solo una tutela inibitoria per il proprietario per le immissioni provenienti dal fondo del vicino14. Dagli anni ’70, a causa della maggiore espansione dei centri urbani con la conseguente cementificazione e la diffusione di abusi edilizi, si manifesta un maggiore interesse per l’ambiente quale vero e proprio bene giuridico, ma la sua tutela viene identificata prevalentemente come necessità di interventi legislativi in materia urbanistica. La legislazione urbanistica non solo riserva allo Stato ed agli Enti locali l’individuazione delle aree edificabili, ma impone il rispetto di norme edilizie dalla cui violazione può derivare la nullità dell’atto di trasferimento del bene15. Gli obblighi di dichiarazione ed allegazione di atti al rogito notarile dettati dalla normativa urbanistica diventano sempre più numerosi e rispondono a svariate esigenze di tutela.

Il fondamento costituzionale di una possibile tutela ambientale si rinveniva fondamentalmente nella tutela della salute: l’integrità fisica può indubbiamente essere compromessa dalla mancanza di salubrità dei luoghi di vita. La dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate a lungo in merito alla configurabilità dell’ambiente come pluralità di beni variamente tutelabili o come bene unitario che porrebbe l’ esigenza di un sistema di tutela specifica di esso. La tesi unitaria ha incontrato il favore della Corte Costituzionale (sentenze n.641 30/12/198716, n.210 28/05/1987, n.302 15/07/1994) ancor prima della riforma del 2001 con la quale la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali è inserita, a conferma della sua importanza, nel titolo V della Costituzione, all’art. 117, comma 2, lett. s. tra le materie di competenza statale. Tuttavia, il comma 3 dell’art. 117 Cost., nell’elencare le materie di competenza concorrente, ne prevede varie che presentano profili importanti di connessione con l’ambiente; da questo riparto di competenze è scaturito un complesso contenzioso costituzionale. La Consulta ha spesso interpretato17 le norme del titolo V in modo non letterale, dando rilievo e peso determinante al principio di sussidiarietà, determinando due effetti: il primo di ampliare gli ambiti di competenza regionale, il secondo di considerare l’ambiente come un concetto vago, una “materia-valore”, “una materia-trasversale”, diminuendone in concreto la tutela. Successivamente, la stessa Corte Costituzionale nella sent. n. 378 del 200718 coglie la necessità di ridare all’ambiente la dignità di bene materiale, oggetto di tutela precipua da parte dello Stato. Oggi, quindi, per tutela dell’ambiente s’intende una disciplina di ampio respiro mirante a salvaguardare i presupposti per un’esistenza sana: il d. lgs n.152/2006, nel prevedere la risarcibilità del danno ambientale, definisce quest’ultimo come deterioramento di una risorsa naturale o dell’utilità da essa assicurata.

Altri spazi si aprono all’interesse del giurista anche perché la cronaca ci presenta, purtroppo, con troppa frequenza, episodi di calamità naturali spesso prevenibili o, quanto meno, prevedibili: la legislazione antisismica, ad esempio, non può certo impedire i terremoti, ma può servire a contenere moltissimo danni e vittime.

La disciplina della proprietà in campo ambientale andrebbe rivisitata anche nell’ottica del diritto dell’Unione che all’art. 191 TFUE indica tra gli obiettivi la salvaguardia dell’ambiente e la protezione della salute umana.

Nel 2014 è stato presentato un ampio ed articolato progetto di riforma che coinvolge numerosissimi articoli della Costituzione: la proposta, nota come “Riforma Renzi – Boschi” dal nome dei proponenti (rispettivamente il Presidente del Consiglio e il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il parlamento), nasce con un disegno di legge (n.1429) presentato l’8 aprile 2014 ed attualmente sottoposto al vaglio popolare con il referendum che sarà celebrato il 4 dicembre. Il progetto (« Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione») è molto ampio e coinvolge vari ambiti, non ultimo quello delle autonomie locali. Illuminante, per comprendere l’importanza delle novità riguardanti il titolo V, l’esame dell’art.117 Cost.

Nel nuovo testo19 lo Stato si “riappropria” di settori che la riforma del 2001 aveva trasferito alle Regioni. La riforma realizza dunque un profondo sovvertimento della distribuzione attuale delle competenze tra Stato e Regioni e palesa una tendenza a depotenziare gli ambiti a queste ultime sino ad ora riservati20.

La tendenza a limitare i poteri delle Regioni e il favor che la riforma dimostra per una maggiore centralizzazione si palesano in modo emblematico nella materia dei beni culturali e dell’ambiente: infatti, il nuovo articolo 117 punto s), include tra le materie di competenza esclusiva dello Stato “tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema” restituendo allo Stato anche la valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici precedentemente affidata alle Regioni. La riforma indica inoltre, tra le materie di competenza esclusiva dello Stato: disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia; infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale. Si tratta, com’è evidente, di materie in grado d’interferire pesantemente con la tutela ambientale. Lo Stato, come unico protagonista delle scelte sull’energia, sul governo del territorio, sulle infrastrutture strategiche, potrà realizzare ogni opera ritenuta utile senza tema di intralci da parte delle Regioni.

La ragione di questa profonda riforma del titolo V sta nella necessità di razionalizzare le competenze in un’ottica di risparmio ma anche di superare eventuali incertezze nella suddivisione degli ambiti attribuiti allo Stato e alle Regioni. Infatti, come già visto, nonostante l’apparente chiarezza nella ripartizione delle competenze, queste, nella pratica, spesso si sovrappongono.

L’ambiente ed ogni altro bene qualificabile come bene comune, lungi dall’essere affidato al governo delle comunità interessate, sarà dunque verticisticamente gestito.

La riforma avrebbe potuto realizzare la tanto auspicata modifica dell’attuale tassonomia dei beni adottando una classificazione basata su un criterio sostanziale relativo alla loro attitudine a soddisfare interessi collettivi o meno, abbandonando la classica formalistica ripartizione in pubblici e privati21. Vero è che una radicale riforma della disciplina della proprietà si potrebbe ottenere anche con una modifica delle relative parti del codice civile, senza bisogno di alcun procedimento aggravato, ma dare rango costituzionale a tale nuova categoria di beni avrebbe avuto una valenza particolarmente significativa22.

E’ lecito poi considerare che il centralismo che permea la riforma in esame avrebbe avuto più senso e giustificazione qualora si fosse accompagnato all’introduzione di questa nuova categoria di beni, in quanto solo lo Stato può avere il compito di prevedere la relativa disciplina ed i poteri riconoscibili ai privati. Invece, in mancanza di una profonda rivisitazione del regime della proprietà, sorge il dubbio che lo Stato si sia solo voluto arrogare il diritto di decidere su grandi opere che possono comportare anche grave nocumento a siti locali senza che le popolazioni dei luoghi possano in alcun modo interferire nelle decisioni.

Un’interpretazione assiologica delle vecchie e nuove figure di beni e l’evoluzione del concetto di proprietà avrebbero valorizzato l’interesse verso la persona e i suoi bisogni. La staticità di strutture e schemi mortifica i principi fondamentali della nostra Costituzione che impone di seguire il cambiamento sociale per realizzare i valori umani.

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Note

1 Ahrens H., Filosofia della storia della proprietà, in appendice al Corso di diritto naturale e di filosofia del diritto, trad. it. della 2 ed. (Bruxelles, 1846) a cura di F. Trinchera, Capologo (Canton Ticino), 1846, 219 ss.: <<Come la società è l’immagine dell’ uomo, così la proprietà alla sua volta riflette fedelmente lo stato sociale, i principi che lo dominano, i costumi ai quali esso si appoggia.>>

2 Valguarnera F., Accesso alla natura tra ideologia e diritto, Giappichelli, II ed., 2013, Torino, p. 3: <<…l’invasione normanna del 1066…introdusse in Inghilterra un rigido sistema feudale con lo scopo di ricompensare i nobili che avevano seguito Guglielmo nella conquista e di preservare la forza militare normanna: tutta la terra era di proprietà del re che la assegnava in cambio di prestazioni militari ai Lords (tenants in chief), i quali a loro volta la subinfeudavano ai subtenants. Si formò quindi una fitta rete di rapporti personali in cui un superiore (il Lord) concedeva la terra ad un sottoposto (il vassallo) in cambio di lealtà e servigi di varia natura. La mancata ottemperanza agli obblighi feudali poteva essere sanzionata in vari modi e, in ultima istanza, con la perdita dello status e della terra.( …) La novità dell’organizzazione normanna consisteva piuttosto nel suo carattere universale e pervasivo, espresso efficacemente dall’assioma “nulle terre sans seigneur“: la terra nella sua totalità apparteneva, in via diretta o mediata, alla Corona e, in questo senso, lo schema giuridico feudale finiva per assorbire l’intero spettro delle situazioni reali fondiarie>>.

3 Serio M., Property (diritto inglese), in La proprietà e i diritti reali minori (a cura di) Conti R., Giuffrè ed., 2009.

Alessandro M. Basso, La proprietà inglese: profili logico-comparativi del possesso, in Diritto civile e commerciale, 10/11/2011: << Secondo la tradizione della common law, non esattamente corrispondente sotto il profilo logico-sistematico con l’idea dei Paesi di civil law, tutto il suolo è terra regis cioè proprietà della Corona.(…) In materia di real property ovvero di diritti reali sugli immobili, si parla di estate owner, costituenti la categoria dei legal estates (questi ultimi intesi come status). Risulta assente, cioè, l’idea di una proprietà intesa, anche da un punto di vista tecnico-giuridico, come rapporto appropriativo che lega integralmente un oggetto al soggetto>>

4Pugliatti S, La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954.

5 Mazzù C., Proprietà e libertà: un binomio ancora attuale?, in Atti del XVII Congresso Nazionale Giuridico Forense ME 16/21 settembre 1983.

6 Mazzù C., Note critiche sulle riforme in tema di vendita immobiliare, Giappichelli, Torino, 2008.

7 Mazzù C. , La compravendita immobiliare dall’atto al procedimento, in www.consiglionazionaleforense.it, sottolinea che alla pluralizzazione delle funzioni della vendita immobiliare corrisponde la pluralizzazione dei modelli d’invalidità e parla di “ibridazione” del regime delle nullità che, in quest’ambito, assolve più che una funzione sanzionatoria, una funzione protettiva dell’acquirente.

8 Trimarchi M., Lezioni di diritto privato,SGB edizioni 2011 Messina

9 Rodotà S., L’importanza dei beni comuni , articolo pubblicato su Stampa del 13 Febbraio 2013 : <<Se rivolgiamo l’attenzione alle diverse categorie di beni in proprietà, e le consideriamo in chiave storica e non ideologica, è forse possibile avviare una analisi più adeguata delle realtà che abbiamo di fronte. Sappiamo tutti che i diversi trionfi della proprietà privata nella modernità occidentale individuale non hanno lasciato dietro di sé solo “reliquie” dei regimi precedenti, dal momento che non sono mai state eliminate del tutto le aree nelle quali è possibile ritrovare gestioni pubbliche o collettive di beni. E pure l’imposizione di un regime di proprietà di Stato o comunitario non ha potuto del tutto cancellare l’attribuzione esclusiva di taluni beni ai singoli, fossero pure soltanto quelli legati alla vita quotidiana. Ma è appunto questa alternante logica binaria a essere ormai inadeguata, intersecata com’è, e sempre più intensamente, all’attribuzione di una molteplicità di beni alla diversa categoria della proprietà comune>>.

10 Onstrom E., Governing the Commons: The Evolution of Institution for Collective Action, Cambridge University Press, 1990.

11 Vesto A.,”I beni dall’ appartenenza egoistica alla fruizione solidale“, G. Giappichelli Editore, Torino, 2014, pp. 188-189:<<Il fascio di utilità che i beni cd. comuni intendono perseguire attiene direttamente alla tutela della personalità e, quindi, a ciò consegue la necessaria titolarità pubblica della destinazione e dell’ esercizio. La materia riguarda beni che presentano una base sociale forte a tal punto da richiederne una fruizione collettiva, perché diversamente si attuerebbe una sperequazione di trattamento a danno dei soggetti che verrebbero esclusi da detta partecipazione: dunque la situazione giuridica proprietaria è della collettività che fruisce del bene comune, destinato ad uno scopo solidale. Lo Stato (o i privati, considerando che la previsione recita che “possono essere titolari di questi beni sia le persone giuridiche pubbliche che i privati”), perciò, amministrerà il patrimonio alla stregua di un trustee, ovvero si prenderà cura dei commons nell’ interesse dell’ umanità, presente e futura>>.

12 Vesto A. op.cit., p. 163 :<<La riforma si propone di operare un’inversione concettuale rispetto alle tradizioni giuridiche del passato. Invece del percorso classico che va “dai regimi ai beni”, l’ indirizzo della Commissione procede all’ inverso, ovvero “dai beni ai regimi“; l’ analisi dell’ ontologia dei beni individua i beni come oggetti, materiali o immateriali, che esprimono “fasci di utilità“>>.

13 Rodotà S., op.cit.

14 La norma, tuttavia, per la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza prevalente sarebbe funzionale solo alla difesa della proprietà e non sarebbe applicabile anche ai danni all’ambiente, né a quelli alla salute.

15 Cass. civ., Sez. II, 22/05/1992, n. 6164, in Banche dati giuridiche, UTET.: <<Al fine della validità di vendita di un terreno facente parte di una lottizzazione, che sia stata stipulata prima dell’entrata in vigore della l. 28 febbraio 1985, n. 47, devesi avere riguardo invece alla disciplina normativa di cui all’art. 31 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, come modificato dall’art. 10 della l. 6 agosto 1967, n. 765 (legge ponte), il quale prevede, ove quella lottizzazione non sia autorizzata, l’annullabilità del contratto, su istanza dell’acquirente ignaro dell’abuso, non la nullità (contemplata invece dall’art. 18 di detta l. n. 47 del 1985)>>. Cass. civ., Sez. II, 12/03/2012, n. 3892, in Banche dati giuridiche, UTET: <<La nullità prevista dall’art. 40, legge 27 febbraio 1985, n. 47, riguarda non solo la vendita di immobili costruiti in assenza della licenza o della concessione edilizia, ma anche in totale difformità da essa>>. E in Cass. civ., Sez. II, 24/03/2004, n. 5898:<<La nullità prevista dagli articoli 17 e 40 della legge n. 47 del 1985 (omessa dichiarazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto di compravendita, ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria) riveste carattere formale riconducibile, per l’effetto, nel sistema generale delle invalidità, all’ultimo comma dell’articolo 1418 del c.c., attesa la sua funzione di tutela dell’affidamento dell’acquirente. Ai fini della sua ravvisabilità, pertanto, è sufficiente che si riscontri la mancata indicazione nell’atto degli estremi della concessione, senza che occorra interrogarsi sulla reale esistenza di essa. Ne segue, pertanto, che ove siano menzionati, nell’atto di vendita, gli estremi della domanda di concessione in sanatoria non sussiste nullità della vendita per non essere stata, dal comune, accolta la domanda di sanatoria (trattandosi nella specie di difformità non suscettibili di sanatoria>> ed ancora in Cass. civ., Sez. II, 22/05/2008, n. 13225 si legge:<<In assenza della dichiarazione, nel contratto preliminare o in un atto, successivamente prodotto in giudizio degli estremi della concessione edilizia e/o della concessione in sanatoria dell’abuso edilizio, il giudice non può pronunciare la sentenza di trasferimento coattivo di diritti reali su edifici o loro parti, prevista dall’art. 2932 c.c., perché la legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 17, comma 2, (cfr.: ora D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46), che richiede le predette dichiarazioni o allegazioni, a pena di nullità, per la stipulazione degli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, che non siano di servitù o di garanzia, relativi ad edifici o loro parti, indirettamente influisce anche sui presupposti necessari per la pronuncia della sentenza di esecuzione in forma specifica del preliminare di una vendita immobiliare, che, avendo funzione sostitutiva di un atto negoziale dovuto, non può realizzare un effetto maggiore e diverso da quello che sarebbe stato possibile alle parti o un effetto che, comunque, eluda le norme di legge che governano, nella forma e nel contenuto, l’autonomia negoziale delle parti >>.

16 Si legge nella citata sentenza :<< L’ambiente è stato considerato un bene immateriale unitario sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell’insieme, sono riconducibili ad unità. Il fatto che l’ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l’ordinamento prende in considerazione. L’ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto. >>

17 D’Atena A., L’allocazione delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2003, p. 2776 e ss. definisce l’operato della Corte “operazione di ortopedia costituzionale” volta  a “riscrivere il Titolo V”.

18Scrive la Corte: << Occorre poi premettere, per la soluzione del problema del riparto di competenze tra Stato, Regioni e Province autonome in materia di ambiente, che sovente l’ambiente è stato considerato come “bene immateriale”. Sennonché, quando si guarda all’ambiente come ad una “materia” di riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, è necessario tener presente che si tratta di un bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia delle qualità e degli equilibri delle sue singole componenti.(…) Oggetto di tutela, come si evince anche dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972, è la biosfera, che viene presa in considerazione, non solo per le sue varie componenti, ma anche per le interazioni fra queste ultime, i loro equilibri, la loro qualità, la circolazione dei loro elementi, e così via. Occorre, in altri termini, guardare all’ambiente come “sistema”, considerato cioè nel suo aspetto dinamico, quale realmente è, e non soltanto da un punto di vista statico ed astratto. La potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza è stato affidato, in riferimento al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, in via esclusiva allo Stato, dall’art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come è noto, parla di “ambiente” in termini generali e onnicomprensivi. E non è da trascurare che la norma costituzionale pone accanto alla parola “ambiente” la parola “ecosistema”. Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l’ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto. Ed è da notare, a questo proposito, che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sentenza n. 151 del 1986) ed assoluto (sentenza n. 210 del 1987), e deve garantire (come prescrive il diritto comunitario) un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore. (…) Si deve sottolineare, tuttavia, che, accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possano coesistere altri beni giuridici, aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti interessi diversi giuridicamente tutelati. Si parla, in proposito, dell’ambiente come “materia trasversale”, nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi: quello alla conservazione dell’ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni. In questi casi, la disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materie di competenza propria, ed in riferimento ad altri interessi>>

19 Art. 31. 

(Modifica dell’articolo 117 della Costituzione)

1. L’articolo 117 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 117. – La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari e assicurativi; tutela e promozione della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l’uniformità sul territorio nazionale;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare;

n) disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica;

o) previdenza sociale, ivi compresa la previdenza complementare e integrativa; tutela e sicurezza del lavoro; politiche attive del lavoro; disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale;

p) ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane; disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; commercio con l’estero;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati, dei processi e delle relative infrastrutture e piattaforme informatiche dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;

s) tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo;

t) ordinamento delle professioni e della comunicazione;

u) disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; sistema nazionale e coordinamento della protezione civile;

v) produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia;

z) infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di rappresentanza delle minoranze linguistiche, di pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno, di dotazione infrastrutturale, di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, di promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e della formazione professionale; salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, di promozione del diritto allo studio, anche universitario; in materia di disciplina, per quanto di interesse regionale, delle attività culturali, della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo, di regolazione, sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale, delle relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici regionali e locali di finanza pubblica, nonché in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato.

Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi dell’Unione europea e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato e alle Regioni secondo le rispettive competenze legislative. È fatta salva la facoltà dello Stato di delegare alle Regioni l’esercizio di tale potestà nelle materie di competenza legislativa esclusiva. I Comuni e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, nel rispetto della legge statale o regionale.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato».

2020 Oldani T. – Cosa c’è di buono nella riforma costituzionale di Matteo Renzi – in Formiche.net: <<…trasformazione del Senato in un inutile dopolavoro per 75 consiglieri regionali e 21 sindaci: questa è la parte peggiore della riforma, perché se il Senato è un doppione della Camera, e fa perdere tempo nel varo delle leggi, allora era meglio abolirlo del tutto. Il punto più interessante, e finora meno strombazzato sui media, è invece la riforma del Titolo V della Costituzione, che riguarda i poteri degli enti locali. Nella versione ancora in vigore, il Titolo V prevede una «concorrenza» legislativa delle Regioni su un elevato numero di materie. Ciò ha prodotto un’infinità di contenziosi con lo Stato centrale, sfociati in centinaia di ricorsi alla Corte costituzionale, promossi da Regioni e governo, per stabilire ogni volta il perimetro legislativo dei due contendenti.(…) Le potestà legislative dello Stato e delle Regioni sono state interamente riscritte nel nuovo articolo 117, che le definisce in modo minuzioso, conferendo quasi tutte le competenze allo Stato centrale, e lasciando alle Regioni poche briciole di potere legislativo, limitato alla «rappresentanza delle minoranze linguistiche, alla pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno, dotazione infrastrutturale, programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali», e così via programmando. Insomma, aria fritta se paragonata alle due paginate di testo che, con commi dalla a alla zeta (testuali), elencano le materie su cui lo Stato avrà un potere legislativo esclusivo, e non più concorrente con le Regioni.(…) Nel riassumere il nuovo Titolo V, i giornaloni si sono limitati per lo più a ricordare che lo Stato centrale avrà competenze esclusive su materie ovvie: politica estera, immigrazione, difesa, moneta, sistema fiscale, ordine pubblico, giustizia, ordinamento scolastico, previdenza sociale, politiche attive del lavoro, ordinamenti professionali, dogane, fino al «coordinamento informativo statistico e informatico dei dati». Ma il testo del nuovo articolo 117, portato avanti in parlamento con mano ferma da Maria Elena Boschi, va ben oltre, e cancella alla radice la facoltà delle Regioni di mettere becco su una serie di materie, dove finora potevano farlo.>>

21Vesto A., op. cit. p.156,157,158:<<Da qui la scelta della Commissione di classificare i beni in base alle utilità prodotte, tenendo in alta considerazione i principi e le norme costituzionali -sopravvenuti al codice civile- e collegando le utilità dei beni alla tutela dei diritti della persona e degli interessi pubblici essenziali. Intorno ai diritti diviene così possibile la costruzione di una “identità costituzionale” che non implica chiusura, che non isola le persone, ma produce legami sociali (…) Le diverse configurazioni delle utilità dei beni e dei piani di applicazione determinano i singoli regimi o sotto-regimi. Un bene che esprime solo utilità di mercato è regolato dal diritto privato, indipendentemente dalla natura di appartenenza soggettiva, pubblica, privata. In questo caso, esso viene inserito in contesti puri di concorrenza, senza vincoli pubblici o limitazioni (…) Se, invece, i beni non esprimono alcuna utilità economica e pecuniaria, ma solo utilità sociali (o sovrane o comuni), la gestione può essere solo pubblica, anche in ragione del fatto che non vi è interesse per privati a gestire beni che non producono alcun profitto>>

22Rodotà S., op.cit. : << Proprio perché il tema dei beni comuni segna davvero il nostro tempo, non può essere affrontato senza una rinnovata riflessione culturale e politica: liberandosi, ad esempio, da semplicistiche proiezioni su questa categoria di schemi economici elaborati con riferimento al ricordato modello binario; e avendo memoria di quel che scrissero, negli anni Trenta del secolo passato, Berle e Means sulla scissione tra proprietà e controllo, individuando in quest’ultimo la proprietà “sostanziale”. È una qualità del bene a dover essere presa in considerazione, la sua attitudine a soddisfare bisogni collettivi e a rendere possibile l’attuazione di diritti fondamentali. I beni comuni sono “a titolarità diffusa”, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere a essi e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà. Incorporano la dimensione del futuro, e quindi devono essere governati anche nell’interesse delle generazioni che verranno>>

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