di Marco Ferrari

  • Hardt M., Negri A., Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli, Milano 2010, 427 p.

È uscito nelle librerie il terzo volume dell’opera congiunta di Hardt e Negri, iniziata nel 2002 con il fortunato Impero e proseguito nel 2004 con Moltitudine, tutti editi da Rizzoli.

La linea di produzione teorica sviluppata negli ultimi anni da Antonio Negri e Michael Hardt, influenzata dagli studi su Spinoza e Nietzsche, pregna di suggestioni derivate da Deleuze e Guattari, tenta di trasportare il comunismo nell’era globalizzata rinnovandone il significato, in senso letterale. Ora l’alternativa sociale è il comune, ossia l’insieme complesso dei bisogni, delle capacità, della produzione biopolitica degli individui; pertanto, essere oggi “comunista” non si risolve più nell’adesione a un partito specifico, o a una ideologia più o meno ortodossa, bensì nel lavorare al raggiungimento della vita in comune, al di là del pubblico e del privato.

Secondo Hardt e Negri, la differenza tra il socialismo del XX secolo e le nuove direzioni dei movimenti odierni consiste proprio nel rapporto politico con quelle due sfere: nell’esperienza novecentesca si è confuso il comunismo con il pubblico, sostituendo la proprietà privata con quella statale. In questo modo si è costruito un capitalismo di stato (il socialismo reale), oppure si è favorita la nascita di gestioni statali del welfare, delle pensioni ecc., arrivando a stringere alleanze con imprese e compagnie assicurative. Uscire da questo equivoco e superare il binomio pubblico-privato significa ridare senso e priorità politica a ciò che è comune, ai beni comuni, agli spazi comuni, come progetto e prospettiva di fronte al modello economico unico globale e alla crisi profonda della sinistra istituzionale. L’alternativa ai tentativi liberal-socialisti di quest’ultima è il movimento senza partiti, un comunismo come corrente di pensiero e progetto immediato, anziché come apparato politico organizzato.

Ciò che concerne il comune, inteso come categoria, e l’idea di alternativa politica a esso riferita, va iscritto nel rapporto tra impero e moltitudine. Per quanto riguarda il primo concetto, è bene tener presente che per Negri e Hardt non si tratta di un sinonimo di imperialismo, con una nazione a capo di una sfera d’influenza geopolitica: l’impero indica il mondo globalizzato, l’insieme dei rapporti economici e quindi politici nel cui ambito avvengono i fatti storici e quotidiani; è lo status quo, un dato di fatto, multicentrico e senza confini delineati perché, viene da dire, è a suo modo “preterintenzionale”. Nel suo ambito, e potenzialmente contro di esso, si muove la moltitudine, altra categoria un po’ difficile da delineare, se non partendo dalla distinzione che Negri fa tra questa e la massa: quest’ultima è una informe, indistinta adunata di persone schiacciate e private della propria individualità, prese come numero e non come singole realtà aggregate. La massa è reazionaria, funzionale al dominio politico ed economico del capitale.

Una tale visione rispecchia, a mio parere, la natura della società di massa, fondamentalmente unidimensionale, in cui si contrappongono libertà individuale e tendenza all’omologazione. Ciò crea un paradosso: la tanto esaltata specificità individuale, formalmente garantita e incoraggiata, in realtà viene umiliata in maniera costante dalla propaganda di modelli da seguire, cui conformarsi per soddisfare le proprie carenze (talvolta persino indotte).

La moltitudine, al contrario della massa, è l’insieme delle singolarità, non schiacciate né omologate, libere ed espressive nella loro produzione di idee, di modi di comunicare, di risoluzione dei problemi, ecc.. L’individuo, così recuperato nella sua dimensione sociale, è un soggetto la cui vita è pervasa e afflitta dal biopotere, cioè dal carico di pressione concreta esercitata dal potere economico e istituzionale sulla vita quotidiana, pratica, intellettuale e sentimentale. Nella moltitudine, ogni individuo è tale in quanto porta la sua produzione di vita a contatto con quelle altrui, in una interazione comunicativa di relazioni che apre alle forme del comune. In questo mi sembra di ritrovare, in versione radicale, alcune idee liberali di John Dewey, sebbene questi si muovesse nell’orizzonte della democrazia rappresentativa vista da una posizione liberal-socialista, mentre Hardt e Negri rifiutano la mediazione istituzionale tra interesse pubblico e interessi privati.

D’altra parte, le contraddizioni sociali da cui era sorto il modello redistributivo socialista del secolo scorso sono in gran parte scomparse: fine della classe operaia, fine della fabbrica fordista, fine di quella specifica forma di lotta di classe; l’apparato di rapporti sociali che costituiva la ragion d’essere del comunismo novecentesco è stato smontato e sostituito dai meccanismi della globalizzazione. Le conclusioni di Negri e Hardt si possono condividere o meno, possono essere tacciate di essere una forma di anarchismo, o di accettare le premesse della globalizzazione giustificandole in vista della loro critica politica, ma la crisi dei modelli rappresentativi legati a quel contesto scomparso è evidente e inevitabile.

Tutto sembra ormai ridursi a un aut-aut. O la passiva accettazione del “pensiero unico”, quale ideologia del modello attuale di globalizzazione, o il disastro annunciato della riproposizione di modelli superati. L’unico vero antidoto alla crisi di idee e di valori, per quanto sia lapalissiano dirlo, è lo studio: filosofia, storia delle idee, teorie economiche, dottrine politiche, scienze sociali, sono il crogiolo in cui forgiare gli strumenti culturali che servono ad attivare la mente, la creatività e la capacità di risolvere problemi. È pur vero, come diceva Marx, che “l’arma della critica non può battere la critica delle armi” (ossia la teoria pura non raggiunge i risultati dell’azione concreta), ma in tempi di precarizzazione intellettuale è necessario fare un passo indietro e ricostituire un orizzonte teorico che incanali le azioni. E non è impresa da poco, perché nella società dell’informazione e della conoscenza l’unica cosa cui non si dà valore reale è il pensiero critico.

Libri di Antonio Negri e Michael Hardt (elenco aggiornato al 2018)

  • Il lavoro di Dioniso. Per la critica dello Stato postmoderno, Manifestolibri 2001
  • Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli 2002
  • Moltitudine. Guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale, Rizzoli 2004
  • Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli 2010
  • Questo non è un Manifesto, Feltrinelli 2012
  • Assemblea, Ponte alle Grazie 2018

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