di Pasquale Laghi

Sommario

1. Globalizzazione ed ordinamento giuridico: dalle fonti di regolazione statuale ai «regimi privati globali». La funzione disciplinare dei sottosistemi sociali e l’autopoiesi di norme para-giuridiche

2. Disciplina del cyberspazio e protezione di diritti ed interessi di rilevanza costituzionale: l’alternativa tra la prospettiva normativa e le forme di self-regulation del web

2.1. Orientamenti e tendenze nell’individuazione delle fonti di disciplina del web

3. «Diritto» e «tecnica» nella regolazione del cyberspazio: il ruolo dell’«architettura» e l’importanza del «codice» nella disciplina del web. La matrice privatistica delle regolamentazioni applicabili ad internet e l’esigenza di democraticità del processo formativo delle regole «tecniche»

4. La teoria della lex informatica ed il riconoscimento della «tecnica» quale fonte di disciplina del web. Modalità tecniche di operatività e principali ambiti di applicazione nel pensiero di Joel R. Reidenberg

5. L’«architettura» del cyberspazio come fonte di produzione di «regole parallele» e la funzione complementare della lex informatica rispetto alla legislazione formale

6. I profili caratterizzanti della lex informatica e la convergenza di scopo con la legislazione di fonte statuale

7. La funzione di uniformazione disciplinare a livello «globale» della lex informatica e la sua idoneità a favorire lo sviluppo del mercato «digitale» per mezzo di soluzioni tecniche

8. Considerazioni conclusive sul rapporto tra Stato, mercato e tecnica e prospettive di sviluppo: verso un regime «ibrido» di regolazione del cyberspazio

1. Globalizzazione ed ordinamento giuridico: dalle fonti di regolazione statuale ai «regimi privati globali». La funzione disciplinare dei sottosistemi sociali e l’autopoiesi di norme para-giuridiche

La «rivoluzione tecnologica» – intervenuta con lo sviluppo degli strumenti di comunicazione digitale e sospinta dall’affermazione del mercato «globale», quale (para)istituzione sovranazionale detentrice della sovranità sostanziale – ha sovvertito la configurazione tradizionale dell’ordinamento giuridico, limitandone la tipica funzione direttiva dei rapporti socio-economici, con conseguenze che non hanno tardato a farsi sentire nella determinazione del catalogo degli atti e dei fatti idonei a produrre diritto, al di là dei rigidi limiti della legge in senso formale1.

Deve, infatti, rilevarsi come la creazione di una «rete» immateriale che consente l’interazione simultanea di un numero incalcolabile di utenti collocati in ogni parte del pianeta abbia inevitabilmente contribuito all’accelerazione ed alla strutturazione del fenomeno di globalizzazione economico-commerciale, che ha visto l’elevazione del mercato al rango di «autorità» universale, produttrice di regole proprie destinate a favorire l’efficienza dei traffici internazionali e capace di orientare (rectius determinare) le decisioni di politica economica e sociale degli Stati, verso l’affermazione di interessi particolari2.

Tale processo, già instauratosi da tempo, si è contrassegnato per l’arretramento dell’azione direttiva tradizionalmente svolta dalle legislazioni nazionali – la cui frammentarietà rappresenta un’evidente ostacolo alla funzionalità del sistema commerciale – dando luogo ad una progressiva tendenza alla «deregolazione» dei rapporti economici, che hanno trovato la propria disciplina in regole emergenti dalle dinamiche dei meccanismi concorrenziali3.

L’affermarsi del mercato «globale» – ed il suo rafforzamento conseguente alla «rivoluzione digitale» – ha indebolito «le capacità di controllo della politica nazionale» ed ha messo in crisi la funzionalità regolativa della normativa in senso formale, poco duttile all’efficienza dei traffici internazionali, la cui validità è subordinata alla sua «derivazione» da «una gerarchia delle fonti del diritto», legittimata da «una costituzione politica», che disciplina gli organi deputati ad emanarla e le rispettive procedure di formazione4.

In questo contesto, caratterizzato da una dimensione «a-spaziale» ed «a-territoriale»5 si è rilevata l’emersione di una nuova lex mercatoria, che operando in «una realtà caratterizzata dalla divisione politica dei mercati in una pluralità di Stati» tende a superarne «la discontinuità giuridica» attraverso l’enucleazione di regole comuni tratte dalla prassi contrattuale transnazionale, alla stregua di usi commerciali che mediante la loro ripetuta osservanza vengono elevati al rango di «norma» uniformante destinata a trovare applicazione su scala universale, superando i limiti posti dal diritto «particolare» dei singoli sistemi nazionali6.

Emergono, quindi, i profili distintivi del nuovo ordine economico, che si contrassegna per la sua connotazione «globale» – contrapposta al carattere «locale» dei «sistemi legislativi» – e per la sua continua variabilità, che «reclama flessibili strumenti di adeguamento del diritto ai mutamenti della realtà in antitesi con la rigidità delle leggi», aprendo a forme di compartecipazione dei singoli (rectius di personalizzazione) nella definizione degli specifici assetti regolamentari7.

Tale situazione determina inevitabilmente una sovversione della costante concezione delle fonti del diritto, che dall’originaria impostazione secondo cui «l’ordinamento giuridico trova la sua validità esclusivamente nel rispetto delle procedure di formazione delle norme, a loro volta positivamente disciplinate»8, giunge a riconoscere il proprio principale fattore di «innovazione» e regolazione nel «contratto», che subentra nel ruolo tradizionalmente riservato alla legge nella direzione dei fenomeni socio-economici9.

Proprio all’interno della matrice convenzionale dei nuovi strumenti di disciplina si sviluppa la riflessione che tende a collegare la crisi del diritto di fonte statuale all’emersione di forme di (auto)regolamentazione provenienti da «sottosistemi sociali» particolari, di matrice economica, tecnologica, etc., volti a soddisfare l’esigenza direttiva attraverso la predisposizione di norme autopoietiche a cui fa riscontro la creazione di organi interni tesi ad assicurarne l’applicazione ed il rispetto. Si tratta, in sostanza, di forme di «produzione del diritto» che si pongono «a fianco dello Stato», e rispondono al bisogno insopprimibile di «sicurezza» nelle transazioni economiche e nella gestione delle attività internazional-privatistiche proprie della «società globale», e non già all’esigenza di «controllo politico dei processi sociali» a cui è diretta la normativa di fonte statuale10.

Seguendo le trame di questa impostazione si addiviene alla conclusione per cui «il baricentro della produzione giuridica si sta spostando» dagli Stati – istituzionalmente deputati a legiferare – «sui regolamenti privati», cioè su accordi stipulati da «attori globali, su regolamenti commerciali delle imprese multinazionali, su normative interne alle organizzazioni internazionali, su sistemi di negoziato interorganizzativi e su processi mondiali di standardizzazione»11.

I predetti «regimi privati globali», peraltro, non integrerebbero un vero e proprio diritto consuetudinario – il quale malgrado sia anch’esso sprovvisto di una fonte genetica di natura autoritativa, si sviluppa attraverso «lunghi processi di comunicazione sociale diffusa e di interazione ricorsiva» – ma delle «forme altamente specializzate di produzione giuridica esplicita all’interno di sottosistemi funzionali», consistenti in statuizioni immediate assunte da organizzazioni, le quali, nonostante siano sfornite di copertura governativa, sono in grado di assurgere ad una funzione direttamente regolativa delle attività di un preciso settore12.

In via di sintesi, quindi, siffatto «diritto», lungi dal qualificarsi come «spontaneo», ha un’origine pianificata, adottata sulla base di processi auto-regolamentati, da organizzazioni specializzate operanti in un determinato comparto socio-economico13, con la conseguenza di connotarsi per una matrice genetica di natura sostanzialmente contrattual-privatistica14.

Il succitato processo di «svuotamento» della sovranità statuale in favore del «mercato», quale autonoma entità globale e più in generale verso sottosistemi sociali di settore, ha trovato nell’evoluzione della «tecnica» il suo maggiore supporto propulsivo, ottenendo in tempi recenti una più intensa accelerazione per effetto della «rivoluzione digitale»15, che ha creato un metodo di collegamento istantaneo tra i vari utenti della «rete globale».

Tale fenomeno ha apportato conseguenze tutt’altro che secondarie, atteso che, da un lato ha rafforzato la dimensione «a-spaziale» dei rapporti economico-sociali e culturali, e dall’altro lato ha determinato la rimozione dei limiti «temporali» che in passato «fisicamente» si frapponevano nelle relazioni intersoggettive, con l’ulteriore novità di trasformare i vari operatori da destinatari passivi dell’informazione, a soggetti «attivi» in grado di interagire tra di loro sul web mediante l’introduzione di dati, lo scambio di informazioni e di contenuti16.

L’essere soggetti attivi della rete mette in evidenza anche un ulteriore aspetto, quello, cioè, dell’autoresponsabilità dell’utente, atteso che la sua non-neutralità funzionale apre anche a forme di compartecipazione dei singoli nella definizione delle regole di condotta, implementando l’opzione comportamentale offerta dalla struttura del web, con una specifica scelta tecnica, con la quale si addiviene ad un risultato auto-disciplinare.

Alla luce delle considerazioni che precedono, risulta chiaro come l’assetto «globale» e «multimediale» del sistema ponga all’interprete un compito di intensa complessità, dovendosi procedere alla comprensione di una pluralità di fattori eterogenei, necessaria per la predisposizione di un ordine disciplinare uniforme, che consenta di trovare un giusto punto di equilibrio tra tradizione ed innovazione e di contemperare le ragioni della «tecnica» e del «mercato» con la protezione di interessi dotati di rilevanza prioritaria17.

2. Disciplina del cyberspazio e protezione di diritti ed interessi di rilevanza costituzionale: l’alternativa tra la prospettiva normativa e le forme di self-regulation del web

La rapida evoluzione dei mezzi di comunicazione digitale ha avuto un impatto «rivoluzionario» sul tradizionale assetto economico e giuridico della società, di fatto sopprimendone i vetusti confini nazionali per imporne una dimensione «globale».

Seguendo la riflessione di un’autorevole dottrina si può, quindi, rilevare come «la grande trasformazione tecnologica cambia il quadro dei diritti civili e politici, ridisegna il ruolo dei poteri pubblici, muta i rapporti personali e sociali, e incide sull’antropologia stessa delle persone»18, imponendo per conseguenza una ridefinizione del ruolo e, prima ancora, della stessa fisionomia dell’ordinamento giuridico.

Tale prospettiva sottende all’esigenza di un profondo e generale intervento regolativo – non necessariamente vincolato alla consueta dimensione positiva della legislazione in senso formale – che sia in grado di superare il «neomedioevalismo istituzionale» determinato dall’improvvisa rimozione delle barriere «spaziali» e «temporali» che fino ad allora avevano caratterizzato l’agire umano, sì da individuare un nuovo ordine di «poteri» in grado di stabilire un punto di equilibrio tra fattori contrastanti ed eterogenei, garantendo uno sviluppo razionale e sostenibile19.

L’esigenza di addivenire ad una disciplina della realtà cibernetica e multimediale, tuttavia, si proietta in una molteplicità di dimensioni, che analizzano il fenomeno da prospettive differenti e talvolta contrapposte, ma che, comunque, convengono nella necessità di valicare il rischio di un’«anarchia tecnocratica»20.

Sotto un primo profilo è evidente la connessione che si instaura tra internet e le tradizionali libertà individuali affermate dal moderno costituzionalismo, atteso che essa finisce per accedere all’esplicazione concreta che queste ultime assumono nell’era digitale, potendone determinare una compressione. Al riguardo, da un lato, si è rilevata l’attitudine degli strumenti informatici e telematici a controllare comportamenti, abitudini, movimenti e dati personali, condizionandone l’esercizio per finalità varie, quali esigenze di pubblica sicurezza o strategie commerciali ed industriali; dall’altro lato, la stessa possibilità di fruizione della «rete globale» rappresenta l’estrinsecazione tecnologica di prerogative individuali che rivendicano una libertà di azione all’interno del web.

In questo senso, si colloca l’opportunità di procedere al riconoscimento latamente «costituzionale» di internet, in grado di condurre all’affermazione condivisa e garantita di «alcuni principi come parte della nuova cittadinanza planetaria», quali «la libertà di accesso, la libertà di utilizzazione, il diritto alla conoscenza, il rispetto della privacy, il riconoscimento di nuovi beni comuni», così da «trasformare in diritti le situazioni di quanti usano la Rete»21.

Sotto un altro profilo, il web presenta peculiarità tali da sfuggire all’applicazione sic et simpliciter di criteri giuridici preesistenti – formatisi con riferimento ad un diverso termine di riferimento oggettivo -, richiedendo un articolato processo regolamentare che accanto all’introduzione di strumenti innovativi, preveda l’adeguamento delle tradizionali categorie dogmatiche al nuovo contesto «ambientale».

Dal punto di vista civilistico, la questione diventa particolarmente delicata allorquando si considerano le caratteristiche precipue di internet, che si atteggia a superare la configurazione riduttiva di strumento di comunicazione, per porsi quale «luogo» o «comunità» virtuale ad estensione globale22.

Vengono, quindi, a mancare le due dimensioni essenziali dello «spazio» e del «tempo» intorno alle quali si è sviluppata la comune tradizione giuridica, che, conseguentemente, incontra dei significativi ostacoli di «adattamento» alla nuova realtà cibernetica23.

Tali aspetti sono complicati dal concorso di fattori ulteriori che contrassegnano il web e l’attività degli utenti che in esso operano, riconducibili essenzialmente alle caratteristiche della «delocalizzazione» e della «dematerializzazione»24.

Con la prima delle espressioni predette vuole sintetizzarsi il fenomeno per cui un soggetto, utilizzando una postazione telematica fissa ovvero – alla luce delle recenti evoluzioni tecnologiche – di «connessione» mobile, entra in «rete» interagendo con altri utenti, scambiando dati, informazioni e materiali, ossia ponendo in essere comportamenti «attivi» che non sono collocabili in nessun luogo preciso, ma che ciò nonostante hanno una specifica rilevanza giuridica25. Sotto altro profilo, il sistema che consente lo svolgimento di tali attività multimediali ed interattive difetta di un sostrato fisico sensibilmente percepibile, in quanto ha ad oggetto beni essenzialmente «immateriali».

Tuttavia, è indubitabile che la diffusione «globale» dei mezzi di interazione telematica e lo svolgimento attraverso di essi di una serie di attività di varia natura, ne metta in luce anche le potenzialità «offensive» rispetto ad interessi diffusi ed a posizioni soggettive meritevoli di tutela, con la conseguente esigenza di richiedere l’adeguamento delle tradizionali categorie giuridiche, al fine di poter garantire una ragionevole disciplina ed un equilibrato sviluppo della nuova realtà socio-economica26. Si pensi, in questo senso, a tutte le problematiche sollevate in tema di protezione dei consumatori on-line a fronte di comportamenti abusivi posti in essere dal professionista, che possono oscillare dalla predisposizione di pratiche pubblicitarie scorrette, aggressive o ingannevoli, alla raccolta e gestione arbitraria di dati personali per finalità commerciali; a turbative del processo di autodeterminazione negoziale mediante carenze informative, od ancora alla fornitura di prodotti e servizi difettosi, ed alla gestione del sistema dei pagamenti elettronici27. Alle predette questioni si aggiungono quelle derivanti dalla dimensione propriamente «globale» ed «a-territoriale» di internet, legate all’individuazione della legge applicabile alle transazioni on-line e delle normative responsabilistiche, nonché dell’autorità giurisdizionale competente a conoscere di eventuali controversie in materia contrattuale ed extracontrattuale28.

Le maggiori difficoltà per quanto riguarda la regolazione del web attengono, quindi, proprio agli aspetti civilistici e repressivi, atteso che la sua collocazione «a-spaziale» ed «a-temporale», travalicante dai «confini nazionali», impedisce l’identificazione precisa del soggetto dotato dell’autorità necessaria a definirne una disciplina dotata del crisma dell’effettività29. Nessuno Stato potrebbe, infatti, arrogarsi in via esclusiva il potere di governare la «rete» globale ed al tempo stesso un’unica normativa universale non appare prospettabile se non sul piano della mera utopia, fermo restando che i valori e gli interessi coinvolti dalla società dell’informazione non possono essere abbandonati ad una situazione di «anarchia» regolamentare, che, dal canto suo, favorirebbe soltanto l’affermazione indiscriminata ed irrazionale delle istanze lucrative proprie di agglomerati di potere economico organizzati su ampia scala.

2.1. Orientamenti e tendenze nell’individuazione delle fonti di disciplina del web

L’esigenza di regolamentare il cyberspazio è stata generalmente avvertita dalla dottrina, seppur con approcci differenti, che non consentono di coglierne una matrice unitaria30.

Il suo essere privo di una dimensione «materiale» e «territoriale» ha, infatti, fortemente inciso sull’individuazione delle soluzioni da potersi adottare, portando in taluni casi addirittura a desistere da ogni tentativo direttivo, auspicandosi una totale astensione normativa sulla base del presupposto teorico per cui il web sarebbe un «luogo» esterno e diverso rispetto a quello «fisico», non tollerando per conseguenza l’applicazione del diritto positivo di quest’ultimo31. In tal senso, un consistente indirizzo teso a considerare internet come «un ordinamento giuridico nuovo […] nel quale vigono particolari regole sociali»32 è giunto ad affermare l’opportunità di una self-regulation del web, realizzata per il tramite di codici di condotta auto-imposti volti a definire le norme di comportamento previste per gli utenti nello svolgimento delle proprie attività on-line, la cui effettività e vincolatività avrebbe una matrice essenzialmente consuetudinaria, affidando la risoluzione delle insorgende controversie ad organi interni alla stessa «rete» ed alternativi rispetto al circuito giurisdizionale tradizionale33.

In termini differenti, non escludenti il ruolo della legislazione in senso formale, si pone l’ulteriore indirizzo di matrice nordamericana secondo cui il governo del web dovrebbe essere affidato ad una lex informatica o lex electronica, costituita da un insieme di regole enucleate attraverso la «tecnica», in grado di rappresentare «un’implementazione diretta di quanto dettato dal legislatore, escludendo certe opzioni, o un’implementazione indiretta, richiedendo agli utenti di non compiere certi atti»34. In altre parole, l’attività normativa sarebbe orientata verso scelte di natura eminentemente «tecnica», il cui insieme dovrebbe condizionare e, perciò, disciplinare la condotta dei fruitori della «rete», senza addentrarsi in regolamentazioni impositive di dettaglio, così risolvendo in radice il problema dell’uniformazione dei diversi sistemi giuridici nazionali35.

Di opposto avviso sono quegli orientamenti che invocano un controllo legislativo di internet, oscillando, tuttavia, nell’intensità dell’intervento direttivo, tenuto anche conto che la «rete» rifugge dai confini territoriali che incontrano le normative nazionali.

Al riguardo, si va dalle proposte di «regolamentazioni-quadro» composte essenzialmente da un insieme di principi comuni da doversi implementare in via interpretativa, in sede di applicazione giurisdizionale, al fine di favorire un progressivo riavvicinamento delle diverse legislazioni locali – secondo un metodo che ricorda molto il percorso di uniformazione del diritto europeo dei contratti-, alle istanze di chi, invece, ritiene opportuno – non senza un minimo utopismo – che si addivenga ad una soluzione condivisa tra le diverse autorità legislative onde realizzare un’armonizzazione positiva (ed impositiva) fra le normative nazionali.

Nel primo senso, sembra essersi attestato il legislatore comunitario, il quale con la direttiva 2000/31/CE dell’8 giugno 2000 relativa «a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (“Direttiva sul commercio elettronico”)», ha invitato i Paesi aderenti ad incoraggiare la predisposizione di codici di condotta da parte di associazioni o organizzazioni imprenditoriali, professionali o di consumatori (art. 16) ed a «non ostacolare» l’uso, in caso di «dissenso tra prestatore e destinatario del servizio della società dell’informazione», anche «per vie elettroniche adeguate», di «strumenti di composizione extragiudiziale delle controversie previsti dal diritto nazionale».

Tale regolamentazione – pressoché testualmente recepita in Italia con il d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70 -, malgrado la sollecitazione al ricorso a forme di self-regulation interne all’organizzazione del web, ha seguito una linea similare a quella sostenuta in ambito statunitense dal Digital Millennium Copyright Act (DMCA) del 199836, di cui ricalca l’impostazione essenziale37.

La disciplina europea, lungi dal perseguire quale primario obiettivo la protezione di interessi soggettivi meritevoli di tutela a fronte di potenziali condotte pregiudizievoli da parte degli operatori del web, rientra nella dichiarata finalità di favorire l’uniformazione delle differenti legislazioni nazionali in materia, la cui frammentarietà – nel contesto della società della comunicazione cibernetica – compromette il regime della concorrenza e la diffusione dei servizi transnazionali, in ultima analisi pregiudicando lo sviluppo del mercato interno38.

Di conseguenza, anche in questo frangente, l’intervento comunitario è stato prioritariamente orientato alla realizzazione di obiettivi di ordine economico, riconducibili all’abbattimento delle frontiere locali che si frapponevano alla diffusione, all’efficienza ed all’evoluzione dei sistemi di commercio elettronico39.

Non sorprende, quindi, come la linea disciplinare adottata dal legislatore italo-europeo si sia caratterizzata per la predisposizione di una regolamentazione-quadro dai confini molto elastici, tendente a non ostacolare eccessivamente l’attività degli operatori della «rete».

La scelta dell’opzione da doversi praticare – malgrado sia influenzata in modo determinante dalla volontà politica degli Stati – non può, tuttavia, non tenere conto della circostanza per cui l’attività cibernetica finisce per involgere una serie di posizioni soggettive dotate di rilevanza prioritaria, che, in assenza di una specifica disciplina, potrebbero essere lese dalla naturale conflittualità che in concreto assumono i poteri economici.

In sostanza, la deregulation del web – come del mercato in generale – priverebbe di adeguata protezione i valori e la dignità della persona, che rischierebbero di essere degradati al rango di «mero valore di scambio», restando sopraffatti dagli interessi commerciali, tesi alla massimizzazione dei profitti, la cui incidenza preponderante è ulteriormente accresciuta dall’evoluzione tecnologica, che consente uno scambio istantaneo ed interattivo di informazioni, servizi e beni tra milioni di utenti sparsi in ogni dove del mondo40.

È evidente, quindi, che rimettere il governo di internet esclusivamente a forme di autoregolazione privatistica, la renderebbe «uno strumento di indebolimento delle relazioni sociali», stimolando un processo di «mercantilizzazione infinita» di cui a farne le spese sarebbero sicuramente le istanze inviolabili poste a presidio della dignità umana, la cui consistenza immateriale finirebbe per soccombere innanzi alle spinte utilitaristiche del mercato41.

Ne deriva, per conseguenza, l’impossibilità di rinunciare integralmente alla funzione dispositiva della legislazione in senso formale, che non sia limitata ad una mera esposizione precettiva, ma che venga integrata dal ricorso alle direttici fondamentali del sistema, ossia dai principi superiori di portata generale42.

Appare, quindi, una scelta irrinunciabile quella di tendere verso una ricomposizione del rapporto tra diritto ed economia e tra diritto ed informatica, seppur non limitando la dimensione del primo al solo piano della normazione in senso formale, ma implementandola con il concorso di strumenti negoziali di regolazione43.

3. «Diritto» e «tecnica» nella regolazione del cyberspazio: il ruolo dell’«architettura» e l’importanza del «codice» nella disciplina del web. La matrice privatistica delle regolamentazioni applicabili ad internet e l’esigenza di democraticità del processo formativo delle regole «tecniche»

I problemi sottesi alla disciplina del web si inseriscono in un contesto più ampio che ha visto il processo di globalizzazione economica e commerciale determinare il declino del potere politico come fonte principale di regolazione delle condotte umane, a fronte di un’ascesa della «tecnica», quale fattore di controllo dei comportamenti dei consociati.

A differenza del «diritto» che – per come tradizionalmente inteso – costituisce espressione di uno specifico sistema ideologico e tende alla realizzazione di un preciso modello di società, la «tecnica» è concettualmente neutra e priva di una prospettiva teleologica, si colloca su di un piano eminentemente «funzionale» ed opera alla stregua di criteri di ordine meccanicistico44.

In sostanza, essa è e si esaurisce nel suo stesso «funzionare», consentendo l’esplicazione di determinate condotte ed inibendone altre, la cui selezione deve ritenersi il risultato di una valutazione eseguita sulla scorta di regole di efficienza economica45.

In questo senso, la «tecnica» costituisce uno strumento essenziale all’affermarsi della globalizzazione, permettendo di superare la frammentazione giuridica derivante dalla diversità delle singole legislazioni nazionali – espressione mediata della corrispondenza del «diritto» ad interessi ultrapositivi -, attraverso una regolamentazione uniforme a livello universale, non realizzata per via «normativa», ma su base «funzionale»46.

Di conseguenza, all’arretramento dell’azione direttiva degli Stati, fa riscontro l’ascesa di forme di regolazione interne alle dinamiche del mercato e, talvolta, promananti direttamente dall’evoluzione della «tecnica».

Di tale prospettiva può cogliersi una precisa conferma nel contesto del cyberspazio, la cui creazione ed il cui sviluppo rappresentano espressione pressoché esclusiva della «tecnica», la quale di fatto – considerata l’insufficienza al fine delle legislazioni nazionali, che si infrangono innanzi agli ostacoli dell’«a-spazialità», dell’«a-temporalità» e dell’«immaterialità» del web – provvede anche alla sua disciplina, al fine di assicurare la regolazione dei flussi di informazione telematica, sottraendoli allo stato di «anarchia» nel quale altrimenti verserebbero47.

In quest’ordine di idee si colloca l’orientamento dottrinale tendente a valorizzare l’«architettura» del web che – compendiandosi in una serie di regole progettuali di sistema – assurge a mezzo di controllo delle attività che gli utenti possono o meno svolgere sulla «rete» virtuale48.

Siffatto indirizzo sovverte la tradizionale concezione del diritto, quale espressione della sovranità dello Stato e dell’effettività della norma «propriamente» giuridica, rimessa alla prospettazione di una sanzione per l’ipotesi di sua violazione, rinvenendo nella «tecnica» il principale fattore di disciplina del cyberspazio. Questa, infatti, consiste in una serie di «scelte» che incidono sulla complessiva «architettura» del web, indicando in via preventiva le azioni che possono essere compiute dai fruitori della «rete» ed inibendone altre. In sostanza si addiviene ex ante alla regolazione delle condotte degli utenti, mediante una serie di impostazioni di sistema – analogamente a quanto potrebbe accadere nel mondo fisico, attraverso scelte architettoniche che incidono sulla fisionomia degli edifici e sulla strutturazione delle strade – «auto-effettive» (rectius auto-esecutive), che trovano cioè la propria effettività nel fatto stesso della loro esistenza, indipendentemente dalla minaccia di una sanzione per l’ipotesi di trasgressione49.

Tale concezione rappresenta, in buona parte, la risultante delle teorie sviluppate dalla dottrina gius-economica nordamericana, che – focalizzando la propria attenzione sull’evoluzione dei sistemi di disciplina dei consociati verso forme alternative a quelle tradizionali – ha individuato quattro strumenti, convergenti nella finalità regolativa: il diritto, che continua a svolgere un ruolo importante, potendo orientare la portata disciplinare degli altri fattori, stimolando, direttamente od indirettamente, soprattutto gli assetti del mercato e le configurazioni della «tecnica»; le norme sociali, che pur prive del carattere della coercibilità sono in grado di incidere sulle condotte dei consociati, attraverso un meccanismo di condizionamento psicologico – che si manifesta nella riprovazione sociale nei confronti di chi viola quelle regole – basato su concezioni etiche, civili e morali di un determinato consorzio umano di appartenenza; il mercato, il quale esige un sistema di regolazione flessibile che si auto-genera per via consuetudinaria, sulla base di criteri concorrenziali fondati sul rapporto domanda-offerta, e che, per la sua dimensione «globale» è in grado di condizionare le politiche economiche e normative degli Stati, indirettamente, quindi, orientando le condotte dei gruppi sociali e dei singoli; l’«architettura», considerata quale criterio e forma di organizzazione del contesto «ambientale» nel quale si estrinsecano e si sviluppano i comportamenti dei vari individui che in esso operano, la cui «configurazione» e «strutturazione», dal punto di vista eminentemente «tecnico», finisce per regolarli anticipatamente, nel senso di consentire o inibire il compimento di determinate azioni50.

I predetti fattori, pur operando in via autonoma, possono interagire, convergendo – anche se con modalità differenti – nel risultato disciplinare, così tracciandosi possibili connessioni funzionali tra di essi, che trovano nella regolamentazione del cyberspazio uno dei propri ambiti elettivi51.

In quest’ultimo contesto, si presenta come particolarmente interessante la relazione che si instaura tra il diritto di fonte statuale e l’«architettura», atteso che, da un lato, il primo può imporre l’adozione di determinate scelte «tecniche» che incidono sulla configurazione strutturale del web, indirettamente disciplinando la condotta degli utenti della rete; dall’altro, la seconda, intervenendo in un sistema virtuale – i cui contorni «ambientali» sono integralmente il risultato di una progettazione, a differenza della realtà fisica, in cui si presenta un contesto «naturale» preesistente – è in grado ex ante, ed via tendenzialmente indipendente, di regolare il comportamento dei fruitori della «rete», così realizzando obiettivi potenzialmente coincidenti con quelli perseguiti dal potere politico-istituzionale52.

In ciò si estrinseca quello che parte della dottrina ha definito il ruolo del «codice», intendendo con tale accezione, l’insieme delle «regole» e dei «criteri» di funzionamento dei sistemi informatici, nei quali si compendia il cyberspazio, la cui progettazione, o meglio, la cui configurazione «architettonica» – espressione diretta di scelte «tecniche» adottate in sede di programmazione e, perciò, preventivamente – implica un evidente «potere di controllo» del web, rappresentando il mezzo mediante il quale si possono consentire o inibire determinate azioni da parte degli utenti, sostanzialmente orientandone i comportamenti in modo eventualmente funzionale agli scopi disciplinari dell’ordinamento giuridico53.

Attraverso l’«architettura» riesce, quindi, a fluire il «diritto», tenuto conto che sulla base della sua strutturazione concreta – ossia per il tramite del «codice» – si condizionano le condotte di coloro che nell’ambiente virtuale operano, e del fatto che le regole «tecniche» in cui essa si sostanzia godono di un alto livello di effettività, in quanto sono suscettibili – a differenza delle norme in senso formale – di auto-esecuzione, indipendentemente dalla prospettazione di una sanzione per l’ipotesi di loro trasgressione; ciò, atteso che la loro attuazione si verifica ex ante, senza necessitare di organi istituzionali finalizzati alla repressione successiva.

Il problema che si pone, per contro, attiene alla «democraticità» del processo di elaborazione del «codice» ed, in particolare, alla corretta estrinsecazione del «potere di controllo» che in esso risiede, considerato che per il tramite di esso, coloro che ne addivengono alla progettazione potrebbero strutturarlo in maniera tale da consentire la perpetrazione di abusi e la repressione di diritti e di libertà fondamentali.

Infatti, la derivazione privatistica dell’«architettura» del web, la cui formulazione è di fatto rimessa alle decisioni assunte da organizzazioni specialistiche di settore, presenta l’evidente rischio di favorire la penetrazione nella sua programmazione di interessi economici particolari, potenzialmente lesivi di situazioni giuridiche diffuse e meritevoli di tutela.

Tale pericolo è reso ancor più chiaro dall’assenza di un’autorità preventivamente deputata alla definizione delle regole di gestione di internet ed alla loro revisione, nonché dall’inesistenza di un soggetto terzo detentore del potere di applicarle e – prima ancora – di interpretarle54.

Nel sistema digitale, infatti, le regole «tecniche» sono dotate di capacità auto-esecutiva (e, pertanto, anche auto-sanzionatoria), nel senso che le stesse trovano applicazione immediata, con l’ulteriore conseguenza di non essere suscettibili di interpretazione, in considerazione delle caratteristiche precipue del caso concreto. L’intero sistema disciplinare opera automaticamente ed ex ante, sulla base dei rigidi schemi meccanicistici del «sistema binario», presentandosi, nella sua prospettazione degenerativa, come potenzialmente funzionale alla repressione di interessi e di libertà fondamentali.

Del resto, è indubitabile che si registri una sostanziale «concentrazione» in capo a coloro che definiscono l’«architettura» del web, del potere latamente direttivo, consistente nell’elaborazione delle regole «tecniche», e di quello (sostanzialmente) applicativo delle medesime, senza alcuna garanzia che permetta di limitarne la portata al rispetto di diritti superindividuali55.

Tali considerazioni mettono in luce il rischio tendenziale di far scivolare l’autoregolazione di internet verso la deriva, non già o non solo dell’arbitrio, ma della funzionalità all’affermazione «globale» di una tecnocrazia dedita all’uso del «codice» multimediale per il perseguimento di interessi economici particolari, in ultima analisi dettati dalle logiche utilitaristiche e speculative del mercato56.

Emerge, quindi, l’importanza e l’irrinunciabilità del ruolo direttivo della legislazione statale che, limitando i margini di operatività del principio implicito della «neutralità tecnologica», imponga la «trasparenza» dei processi di configurazione «architettonica» della «rete»57.

In tale ottica, di certo quello della «frammentarietà» localistica delle discipline nazionali rappresenta un decettore di effettività importante, ma che potrebbe superarsi sia sul piano della tecnica normativa, attraverso la promulgazione di principi generali – e non già di norme di dettaglio – funzionali alla più ampia armonizzazione ed uniformazione globale ed idonei ad evitare lo sviluppo distorsivo del web, sia sul piano del finanziamento pubblico delle organizzazioni deputate all’elaborazione del «codice» digitale e della partecipazione delle autorità governative ai relativi processi di formazione.

4. La teoria della lex informatica ed il riconoscimento della «tecnica» quale fonte di disciplina del web. Modalità tecniche di operatività e principali ambiti di applicazione nel pensiero di Joel R. Reidenberg

Le problematiche relative alla disciplina del cyberspazio – come accennato – hanno dato luogo ad un intenso dibattito dottrinale, nel quale si è distinta l’impostazione modernistica che ha teorizzato la c.d. lex informatica o lex electronica58, secondo cui l’attività normativa dovrebbe orientarsi verso l’imposizione di soluzioni di natura eminentemente «tecnica», il cui insieme dovrebbe condizionare e, perciò, disciplinare la condotta dei fruitori della «rete», senza addentrarsi in regolamentazioni positive di dettaglio, di conseguenza risolvendo in radice il problema dell’uniformazione dei diversi sistemi giuridici nazionali59.

Tale indirizzo si riconnette analogicamente alle ragioni più intime che hanno generato la lex mercatoria nel contesto socio-economico medievale, intesa quale insieme di regole comuni, emergenti dalla prassi, e volte a creare un sistema disciplinare capace di accrescere il senso di fiducia e di sicurezza negli operatori commerciali – attraverso il superamento della frammentazione localistica degli statuti normativi – in quanto tale funzionale allo sviluppo delle transazioni internazionali60.

Ciò considerato, è innegabile che il web e, più in generale, le nuove tecnologie della comunicazione, si contrassegnino per un intenso profilo di incertezza disciplinare, causato dall’inesistenza di una regolamentazione unitaria applicabile con criterio uniformità.

Siffatta situazione di ineffettività delle normative nazionali tende a risolversi in una sostanziale «anarchia» del cyberspazio, non solo foriera di abusi, ma al tempo stesso decettiva dello sviluppo della società dell’informazione e delle sue potenzialità soprattutto per ciò che riguarda l’efficienza delle transazioni transfrontaliere attraverso le moderne tecnologie che ne accrescono la rapidità e ne eliminano le barriere fisiche inerenti alla determinazione del contesto spaziale di operatività.

A fronte di ciò, la dottrina in commento ha ritenuto che una soluzione non possa essere ragionevolmente individuata nel ricorso ai tradizionali strumenti disciplinari di matrice statuale, ma nel riconoscimento delle potenzialità regolative che risiedono nella stessa «tecnica» ed, in particolare, nelle «scelte» di progettazione del sistema informatico, le quali impongono agli utenti delle regole di condotta, idonee ad assurgere al rango di fonti sostanziali di produzione normativa61.

In altre parole, si ritiene che dall’apprestamento di «scelte» di ordine tecnico volte ad incidere sul funzionamento della «rete» e del network derivino delle precise regole di condotta per gli utenti, in grado di governare i flussi dell’informazione cibernetica, in questo modo compendiandosi in una lex informatica, capace di superare i particolarismi derivanti dalla legislazione di fonte statuale e di assicurare un’autoregolamentazione globale del web dotata di un ampio margine di flessibilità e di condivisione.

Il principio teorico di base su cui si fonda la dottrina della lex informatica è quello per cui la tecnologia, così come consente un’enorme implementazione delle attività commerciali attraverso l’accelerazione e l’intensificazione dei flussi di informazione, presenta in sé caratteristiche idonee ad evitare – mediante l’adozione di accorgimenti di ordine progettuale – che si instauri un regime di «anarchia», sciolto da ogni regola oggettiva di comportamento62.

I diversi modelli «architettonici» del web, potrebbero, altresì, essere oggetto di direzione o, comunque, di promozione da parte dei legislatori nazionali, mediante l’adozione di interventi normativi volti ad utilizzare la «tecnica» per il perseguimento di precise finalità politiche ed istituzionali. Al tempo stesso, l’uniformità dello sviluppo tecnologico sarebbe in grado di consentire il superamento degli inventabili conflitti regolamentari che si creano tra le differenti normative locali, soprattutto con riferimento alle principali aree di interesse telematico63.

L’analisi empirica dei settori di maggior rilevanza nella fenomenologia del cyberspazio – secondo il Reidenberg – porta ad enucleare, a livello descrittivo, alcuni degli ambiti elettivi di applicazione della lex informatica, rispetto ai quali le potenzialità del web appaiono maggiormente capaci di determinare violazioni di interessi protetti.

La prima problematica che si presenta, attiene alla regolamentazione dell’accesso al contenuto digitale presente sulla «rete», in ordine alla quale i legislatori nazionali hanno adottato soluzioni profondamente differenti, oscillanti tra la posizione – propria dei Paesi occidentali – volta ad escludere ogni forma di limitazione, a quella restrittiva, adottata da altri Stati – quali ad esempio la Cina – che impongono forme di censura al flusso di informazioni telematiche. Ne discende che la dimensione «globale» della rete – tesa a consentire la connessione e l’interscambio simultaneo di dati tra utenti ubicati in ogni parte del mondo e sottoposti a differenti discipline – si scontra con il carattere localistico delle normative statuali, sicché può verificarsi la situazione paradossale per cui l’attività di un fornitore di servizi online potrebbe essere legittima nel contesto territoriale di un determinato Stato, ed al tempo stesso vietata e sanzionata in un altro ambito giurisdizionale.

Al riguardo, le soluzioni tecniche idonee a realizzare un risultato «disciplinare», ruotano prevalentemente intorno all’impiego della tecnologia PICS (Platform for Internet Content Selection), la quale – filtrando i contenuti di internet, mediante l’associazione di etichette valutative, assicura il blocco di determinate informazioni presenti nel web, attraverso una sequenza di specificazioni tecniche che definiscono un format standard volto a classificare i vari contenuti, eventualmente impedendone l’accesso da parte dell’utente – consente di conciliare la libertà di accesso al materiale digitale, con l’esigenza di protezione di determinate fasce di utenti, in posizione di particolare debolezza, secondo una molteplicità di varianti operative64.

La seconda questione che si pone è incentrata sulla sentita esigenza di tutela dei dati sensibili e della privacy, considerata la capacità della rete di immagazzinare e di veicolare un enorme flusso di informazioni.

Anche in tale ipotesi, la lex informatica offrirebbe delle soluzioni maggiormente efficaci rispetto a quelle normative in senso classico – attraverso l’apprestamento di accorgimenti tecnici realizzati mediante il ricorso a strumenti «architettonici» – sia per mezzo di programmi volti a celare l’identità personale dell’utente, associando al medesimo un codice numerico (come ad esempio nel caso dell’IP); ovvero utilizzando la tecnologia PICS che dà luogo ad un filtraggio (ed al conseguente «blocco») dei siti che non forniscono un adeguato standard di protezione della privacy; od ancora attraverso il sistema P3P (Platform for Privacy Preferences), il quale permetterebbe agli utenti di effettuare una valutazione preventiva del livello di tutela dei dati sensibili offerto dallo specifico spazio web, aprendo a forme di personalizzazione degli standard protettivi e di autoresponsabilizzazione dei soggetti della rete65.

L’ultima problematica su cui si sofferma la dottrina in commento, attiene alla protezione dei diritti di privativa e della proprietà intellettuale, rispetto alla quale la normativa in senso formale ha mostrato tutta la sua insufficienza nel contesto nel cyberspazio, non fornendo soluzioni univoche e condivise in ordine alle attività di memorizzazione e modificazione dei materiali e delle opere «caricate» sul web66. Sul punto, maggiori garanzie offrirebbero le soluzioni «tecniche» rintracciabili nel «codice» strutturale di internet, attraverso l’impiego di programmi volti ad impedire od a regolamentare il c. d. web caching, l’attività, cioè, di copiatura automatica di pagine online nella memoria locale del computer dell’utente, ovvero a consentire la fruizione delle opere digitali mediante chiavi di lettura, le quali permetterebbero la sola consultazione dei materiali, precludendone la memorizzazione67.

In sintesi, si tratta di soluzioni tecnologiche fondate sull’autodisciplina del web, che incentrandosi sull’impostazione «architettonica» del cyberspazio, consentono l’enucleazione di una serie di regole di condotta idonee a disciplinare in via preventiva l’azione dei soggetti della «rete» in modo sostanzialmente uniforme ed aprendo anche a forme di autoresponsabilizzazione degli utenti, chiamati a cooperare sulle modalità di gestione dei propri diritti e sui livelli di protezione da apprestare agli stessi.

5. L’«architettura» del cyberspazio come fonte di produzione di «regole parallele» e la funzione complementare della lex informatica rispetto alla legislazione formale

La previsione di soluzioni tecniche interne all’«architettura» della «rete» ed idonee a disciplinare sul piano sostanziale i comportamenti degli utenti del web, impone di verificare se la tecnologia sia in grado di assurgere o meno a fonte di produzione normativa, seppur in senso atecnico, e di porsi quale fattore di regolazione del cyberspazio.

Al riguardo deve osservarsi come è indubbia la funzionalità delle regole tecniche che presiedono all’utilizzazione della «rete» a porsi quale criterio direttivo della condotta dei soggetti che in essa operano, malgrado non trovino la propria fonte genetica nel consueto processo politico-parlamentare che presiede alla produzione della legislazione in senso formale e che da parte sua si caratterizza per avere una dimensione tipicamente «nazionale»68.

In questo senso, l’impostazione tecnica del web è in grado di inibire determinate azioni agli utenti e di regolare i flussi di informazione, imponendo l’indicazione obbligatoria dell’indirizzo di accesso alla «rete».

Al tempo stesso, la previsione astratta della possibilità di scegliere determinate opzioni per l’utilizzo del web, permette all’autorità statuale di obbligare i gestori degli «spazi» virtuali ad adottare specifici criteri tecnologici che incidono sulla complessiva configurazione di sistema, orientando le condotte dei fruitori della «rete», in modo da realizzare un risultato coerente con le finalità politico-istituzionali perseguite dal legislatore.

La lex informatica presenterebbe, quindi, una serie di profili caratterizzanti, in grado di porla quale strumento di regolazione del cyberspazio, analogamente a quanto accade nel modo fisico con la normazione in senso formale, attraverso una molteplicità di soluzioni, spesso dotate di un grado maggiore di effettività e di proporzionalità rispetto agli interventi di fonte autoritativa.

Ciò può avvenire secondo differenti varianti applicative, che possono oscillare dall’adozione di soluzioni di natura esclusivamente tecnica, alla predisposizione di misure «architettoniche» che recepiscano i dettami dell’ordinamento statuale in modo da impedire o limitare specifiche azioni da parte degli utenti, pur senza inibirle o sottoporle a restrizioni sulla base di precetti normativi di dettaglio.

Ne deriva, quindi, che il rapporto intercorrente con la normazione in senso formale non è necessariamente di contrapposizione, per cui l’intervento dell’una esclude sempre quello dell’altra69.

Infatti – ed in tal senso una conferma specifica può trarsi dall’analisi casistica nordamericana – sono frequenti, le situazioni concrete nelle quali si instaura un regime relazionale tra le due fonti regolamentari della «rete», che concorrono nell’obiettivo finale di sottrarre quest’ultima ad un regime di «anarchia tecnocratica»70.

Accanto ad ipotesi in cui la lex informatica si pone quale strumento esclusivo di disciplina delle condotte degli utenti – rispetto alle quali le «norme» tecniche sono in grado di fornire significative risposte regolative (come nei casi di «filtraggio» e di «selezione» di contenuti ed informazioni digitali) -, si possono segnalare casi nei quali è il legislatore a promuovere lo sviluppo e l’applicazione di determinati standard tecnologici. Si pensi a quelle previsioni normative attraverso le quali si sanzionano le violazioni del diritto di autore o della privacy; è evidente che una siffatta la statuizione legislativa stimolerà la predisposizione di regole «tecniche» funzionali ad impedire la commissione delle predette infrazioni.

Sotto altro profilo, la lex informatica può essere strumentale alla realizzazione di finalità istituzionali, perseguite attraverso interventi legislativi volti ad imporre determinati standard tecnologici, che di primo impatto esauriscono la loro portata su di un piano meramente tecnico-informatico, ma che in ultima analisi sono idonei al raggiungimento di obiettivi aventi una specifica natura politica.

Al riguardo, esemplare è il caso del Digital Telephony Act adottato nel 1994 dal governo statunitense, con il quale si optava per un sistema delle telecomunicazioni che agevolasse, dal punto di vista tecnico, le intercettazioni da parte dell’autorità statuale, attraverso la predisposizione da parte dei fornitori del servizio di configurazioni tecnologiche a ciò funzionali.

In tale caso, la scelta dell’esecutivo fu quella di astenersi da un intervento regolamentare in senso formale, che disciplinasse in modo diretto la materia delle intercettazioni telefoniche, e, che presumibilmente avrebbe incontrato l’ostruzionismo dell’opposizione e soprattutto dell’opinione pubblica; ma, mediante un intervento positivo avente portata eminentemente tecnica – e certamente più agevole sul piano dell’impatto mediatico – si è utilizzata la lex informatica per il raggiungimento di finalità di ordine pubblico, rientranti nelle linee politiche del governo71.

Emerge, quindi, l’idoneità di quest’ultima a porsi quale sistema di «regole parallele», idoneo allo svolgimento di un ruolo principale o sussidiario nella disciplina della «rete globale».

Da ciò discendono conseguenze rilevanti sul rapporto che si instaura tra le predette «regole tecniche» ed il catalogo formale degli atti e dei fatti idonei a produrre diritto.

Infatti, se il caso dell’imposizione da parte del legislatore di determinati standard tecnologici, induce a propendere per il carattere della giuridicità in senso formale delle «regole tecniche» di disciplina del web, che in essi si estrinsecano; parzialmente diversa dovrà essere la conclusione allorché le medesime siano state elaborate autonomamente dalle organizzazioni private dedite alla progettazione delle configurazioni architettoniche del cyberspazio, in assenza di una direttiva di matrice statuale. In questo caso, deve affermarsene la natura convenzionale, derivante dall’accettazione che di esse l’utente fa, al momento della conclusione del contratto di accesso alla «rete» con il fornitore del servizio. Ciò malgrado, potrà comunque sostenersene il carattere «giuridico», ponendosi siffatte «regole tecniche», quali strumenti di origine negoziale tendenti a svolgere una funzione sussidiaria rispetto alla legislazione in senso formale, in quanto con questa convergenti nella finalità disciplinare del web.

6. I profili caratterizzanti della lex informatica e la convergenza di scopo con la legislazione di fonte statuale

La lex informatica – nella ricostruzione fornita dal Reidenberg – presenta alcuni profili caratterizzanti che, malgrado la distinguano dalla legislazione in senso formale, ne mettono in luce la convergenza di scopo con quest’ultima nella finalità di regolazione della condotta degli utenti della «rete».

La normativa di fonte statuale – che trova la propria matrice genetica nella sovranità dello Stato –, infatti, si compendia di un insieme di disposizioni – impositive, sanzionatorie, permissive – che costituiscono l’unità minima del sistema giuridico, il quale a sua volta spiega la propria funzione regolativa nel contesto della giurisdizione, ossia in un ambito spaziale identificato sulla base del dato della territorialità, attraverso l’attività di organi e l’esecuzione di procedimenti a loro volta predeterminati.

Al tempo stesso, convergono nella finalità disciplinare – seppure ad un livello inferiore rispetto alle regole di origine pubblicistica – anche le convenzioni negoziali, espressione dell’autonomia riconosciuta ai privati, le quali, nel rispetto della legislazione in senso formale, esplicano, comunque, una funzione regolativa della relazione giuridica instaurata tra le parti con il contratto72.

L’effettività dell’ordinamento giuridico è poi garantita essenzialmente attraverso la previsione di misure coercitivo-sanzionatorie, la cui applicazione è demandata in via esclusiva al potere giudiziario, che ne deve assicurare l’osservanza secondo criteri di giudizio e procedure preventivamente stabiliti dalla stessa legge73.

La lex informatica, invece, trova la sua unità disciplinare minima nell’«architettura» del web – che definisce i criteri di funzionamento generale del sistema -, ossia in quella serie di opzioni tecniche da cui deriva la regolazione dei flussi di informazione, destinate ad applicarsi nel contesto del network, ossia nella «rete globale» immateriale, priva dei confini fisici propri della giurisdizione statuale74.

Ciò nondimeno, può instaurarsi un rapporto di complementarietà tra decisioni politiche e lex informatica, nel senso che l’autorità statuale può perseguire finalità disciplinari del network – con riguardo a determinati settori – influenzando o imponendo l’adozione di specifici standard tecnici, idonei a consentire la regolazione del flusso delle informazioni digitali, con l’effetto di realizzare – seppur indirettamente – un risultato di ordine politico75.

Inoltre, accanto a standard tecnici inflessibili, la disciplina elettronica può contemplare delle forme di personalizzazione delle opzioni concretamente fruibili dall’utente nella navigazione, che si estrinsecano attraverso specifiche configurazioni di sistema che quest’ultimo può scegliere di utilizzare o meno; in questo senso, realizzando una compartecipazione dei singoli nella funzione regolamentare, analogamente a quanto accade con riguardo alla legislazione in senso formale, che può essere affiancata – nei limiti dalla stessa stabiliti – da regole convenzionali liberamente poste dai privati in esercizio della loro autonomia negoziale.

Un preciso riscontro in tal senso, può ricavarsi – come evidenziato dalla dottrina in commento – dalla configurazione personalizzata dei browser di internet, che contengono files di autenticazione, i quali registrano i circuiti di traffico web dell’utente, stabilendo criteri predefiniti per la selezione e la raccolta di dati personali, che quest’ultimo può anche scegliere di disattivare76.

Una significativa differenza rispetto alla legislazione in senso formale può tracciarsi sotto il profilo dell’applicazione delle regole di condotta, atteso che nel contesto del cyberspazio la lex informatica si pone quale strumento di governance, composto da disposizioni suscettibili di applicazione automatica ed autoesecutiva, le quali sono generalmente strutturate in modo da prevenire il compimento di determinate azioni da parte dei fruitori della «rete», così assicurando un elevato livello di effettività77.

Ciò sembra essere dimostrato innanzitutto dai programmi di «filtraggio» delle informazioni, la cui operatività automatica preclude anticipatamente la circolazione in rete di specifici dati, ma anche dai programmi che presiedono alle transazioni commerciali online, i quali verificano in via preventiva – attraverso l’impiego di chiavi di accesso crittografiche (password) – la sussistenza in capo all’utente delle credenziali e delle autorizzazioni richieste per accedere al servizio, in assenza bloccandone l’esecuzione78.

Tali modalità di funzionamento evidenziano le peculiarità applicative della lex informatica, che raggiunge la sua finalità regolativa delle condotte dei soggetti della «rete» attraverso regole tecniche ad operatività automatica e preventiva, e, come tali, suscettibili di auto-applicazione.

7. La funzione di uniformazione disciplinare a livello «globale» della lex informatica e la sua idoneità a favorire lo sviluppo del mercato «digitale» per mezzo di soluzioni tecniche

Dalle osservazioni che precedono emerge come la frammentarietà delle legislazioni nazionali costituisca di per sé un limite insanabile per un’efficiente disciplina del cyberspazio, le cui connotazioni «a-temporali» ed «a-spaziali», lo rendono sostanzialmente avulso da ogni tentativo di regolamentazione, che possa ritenersi dotato dei caratteri dell’effettività e della uniformità transazionale.

Tali considerazioni si pongono alla base delle riflessioni della dottrina nordamericana che ha individuato nella lex informatica lo strumento più adeguato di regolazione del web, in quanto dotata di un elevato grado di flessibilità, che la rende compatibile con le peculiarità strutturali e funzionali della «rete» ed, in ultima analisi, anche con la realizzazione di finalità rientranti nelle linee di intervento politico dell’autorità statuale79.

Siffatta affermazione troverebbe la propria ratio giustificativa in almeno tre caratteristiche peculiari della lex informatica, strettamente connesse al suo consistere in soluzioni di ordine eminentemente tecnico, incidenti sulle modalità di accesso e di gestione del flusso di informazioni telematiche.

Il primo profilo che viene in considerazione è quello relativo alla determinazione del contesto giurisdizionale nel quale le regole di condotta possono trovare applicazione con risultato di effettività. A questo proposito è un dato pacifico – ampiamente accennato nelle pagine che precedono – che la maggior parte delle attività telematiche sono a base transnazionale, intercorrendo tra utenti ovvero tra utenti e siti web collocati in parti diverse del pianeta, e sottoposti individualmente all’autorità di Paesi differenti, le cui legislazioni potrebbero prevedere discipline divergenti e di conseguenza ineseguibili, tenuto conto del fatto che andrebbero attuate in contesti territoriali sottoposti alla sovranità di altri Stati. Per contro, la lex informatica, consistendo in regole ed opzioni di natura tecnologica, in quanto attinenti alla configurazione del sistema telematico ed alle impostazione di protocolli di rete e di software, non incontra il limite giurisdizionale dei confini fisici nazionali. L’ambito (od impropriamente la «giurisdizione») in cui trovano applicazione siffatte regole è l’intera «rete globale», cosicché esse consentirebbero di superare la frammentarietà strutturale della normazione di derivazione statuale80.

Il secondo profilo qualificante della lex informatica attiene alla flessibilità delle «disposizioni tecniche» che consentirebbe alle stesse di meglio adattarsi all’esigenza disciplinare delle attività transnazionali, incrementando il livello di certezza del regime regolativo applicabile, così favorendo lo sviluppo e l’estensione dei flussi di informazione online e segnatamente del mercato digitale.

Siffatto obiettivo, che nel contesto giuridico in senso stretto è perseguito attraverso la deregulation delle attività economiche e l’ampliamento degli ambiti di intervento dell’autonomia contrattuale, demandando alla prassi commerciale il compito di elaborare i criteri di regolazione delle transazioni, nel cyberspazio si realizza mediante il riconoscimento di un ampio margine di «personalizzazione» delle diverse configurazioni di sistema da parte dell’utente, ovvero delle opzioni tecniche che presiedono al funzionamento dei protocolli di rete e dei software, restringendo od ampliando l’accesso e la circolazione delle informazioni digitali. In questo senso è possibile sia adeguare le configurazioni di sistema ai limiti specifici derivanti dalla singola legislazione nazionale; sia effettuare una selezione ed un controllo preventivo dei contenuti dei siti web ovvero del livello di privacy che il soggetto della «rete» ritiene più opportuno con riferimento ai propri dati personali81.

In questo senso, quindi, il legislatore traccia le linee guida tendenti a regolare le misure tecniche poste a tutela degli utenti, ma con un approccio minimale; spetterà, poi, al singolo fruitore della «rete» decidere se innalzare o meno i livelli di sicurezza tecnica posti a presidio dei contenuti e delle informazioni personali, compiendo un atto di autoresponsabilità.

Flessibilità normativa e personalizzazione degli strumenti tecnici nella sostanza convergono verso forme di accountability82, volte a rimettere la stabilizzazione del livello di sicurezza del sistema alla valutazione dell’utente, il quale dispone a tal fine di precise opzioni di natura tecnologica.

Il terzo ed ultimo profilo caratterizzante della lex informatica che viene in considerazione attiene alla dimensione applicativa delle regole che la compongono. È noto, infatti, che le norme in senso formale – segnatamente per ciò che concerne quelle sanzionatorie – trovano applicazione successiva alla condotta che vogliono reprimere. Tuttavia, tale dato le rende sostanzialmente ineffettive nel contesto della «rete», sia perché sono spesso ineseguibili nei confronti di un soggetto che ha la propria sede fisica in un ambito giurisdizionale sottoposto all’autorità di un altro Stato, sia per la difficoltà ad identificare l’utente che abbia commesso una specifica infrazione. Al contrario la lex informatica presenterebbe la possibilità di adottare soluzioni tecniche che anticipatamente sono in grado di valutare la conformità delle azioni che l’utente può compiere con uno specifico sistema giuridico, consentendole o inibendole in via preventiva83. Inoltre, e per conseguenza, si tratta di regole suscettibili di auto-esecuzione, operando automaticamente, senza la necessità di un’autorità terza che intervenga ex post per assicurarne l’applicazione84.

8. Considerazioni conclusive sul rapporto tra Stato, mercato e tecnica e prospettive di sviluppo: verso un regime «ibrido» di regolazione del cyberspazio

Le considerazioni che precedono tendono a stabilire tra lex informatica e norme statuali un regime di sistemi paralleli, tendenti ad interagire nella regolazione di determinati settori, refrattari a subire la portata direttiva degli strumenti giuridici tradizionali.

L’intensificazione di tale rapporto relazionale rappresenta allo stato attuale l’unica chance di sviluppo «regolato» e «sostenibile» del cyberspazio e delle potenzialità commerciali che lo stesso presenta; altrimenti, il ritmo trascinante dell’evoluzione tecnologica – che trova costantemente forme più complesse e più rapide per la circolazione dei flussi di informazione – e l’accentuarsi dei profili della «a-territorialità» e della «a-temporalità» della «rete», tenderanno maggiormente a marginalizzare la portata disciplinare della normativa statuale, compromettendone in radice la capacità disciplinare85.

Lo scenario che si presenta induce, quindi, a prospettare l’affermazione di un singolare modello trifasico di formazione delle «regole», deputate alla disciplina del web a livello globale – con conseguente arricchimento del catalogo dei fattori idonei a produrre diritto -, nel quale si realizza l’interazione delle principali forze propulsive interessate nel settore di riferimento: il mercato, lo Stato e la tecnica.

Secondo uno schema, che potremmo definire ideale, l’autorità statuale dovrebbe stabilire le linee politiche e gli obiettivi disciplinari del web; la lex informatica dovrebbe apprestare le soluzioni tecniche funzionali alla realizzazione delle predette finalità, mediante l’elaborazione di precisi modelli e configurazioni operative; il mercato, proiettato in una dimensione transnazionale, a sua volta dovrebbe favorire la diffusione di siffatti standard tecnologici e, conseguentemente, l’uniformazione dei criteri regolativi del cyberspazio, i quali assurgerebbero a strumento flessibile e condiviso, idoneo allo sviluppo delle transazioni commerciali su larga scala.

Nella realtà pratica, tuttavia, più frequente sarà l’enucleazione di un sistema bifasico di disciplina del web, secondo un duplice assetto alternativo: da un lato, come precedentemente affermato, è possibile che si instauri un regime di interazione tra legislatore e lex informatica, per cui il primo stabilisce le linee politiche da realizzarsi mediante l’adozione di determinati standard tecnici86; dall’altro lato – in una prospettiva degenerativa -, non può negarsi che, nella «para-anarchia» digitale, il mercato possa assumere di per sé il ruolo di fonte genetica della lex informatica, stimolando l’adozione di criteri tecnici funzionali all’affermazione di interessi meramente lucrativi – analogamente a quanto accadde con la lex mercatoria – aventi portata antitetica rispetto al complesso di valori inviolabili su cui è edificato l’ordinamento87.

Quest’ultima evenienza richiede, quindi, un approccio politico differente, che passa necessariamente per l’adozione di interventi normativi caratterizzati da un intenso margine di flessibilità – nei settori in cui non siano messi in gioco interessi fondamentali –, idonei alla predisposizione di strumenti di azione tecnologica suscettibili di adeguarsi all’attuale assetto globale del mercato, ma comunque, in grado di svolgere una funzione di controllo e direzione sul medesimo, senza finirne il balìa88.

L’intervento del legislatore, in sostanza, assume una portata irrinunciabile ed una dimensione plurilaterale: da una parte deve definire le linee e gli obiettivi alla cui realizzazione la «tecnica» deve essere funzionale; dall’altra deve svolgere un ruolo di garanzia rispetto a fenomeni distorsivi a cui la tecnologia spinta dalle istanze utilitaristiche del mercato può tendere, con conseguente compressione o soppressione di interessi non negoziabili, quali in particolare quelli riconducibili al supremo valore della dignità umana89.

In questo senso, la necessità del recupero di un ruolo centrale da parte dello Stato, richiede l’intensificazione dei processi partecipativi dei poteri pubblici nell’elaborazione degli standard tecnici del web, da perseguirsi soprattutto mediante la predisposizione di norme-quadro, idonee ad indirizzare la creazione delle configurazioni e dei programmi di sistema, da cui derivano le regole «tecniche» di funzionamento della «rete», in questo modo risolvendo ab origine gli eventuali deficit di democraticità che possono celarsi nella predisposizione del «codice» strutturale90.

Siffatto modello lungi dal determinare una compromissione del principio della «neutralità tecnologica» – che vuole la politica astenersi dall’intervenire nel contesto dell’evoluzione della «tecnica» -, favorirebbe l’orientamento dello sviluppo tecnologico ed economico nel senso della «sostenibilità» assiologica, consentendo una razionalizzazione dei processi produttivi nel contesto dei principi fondamentali dell’ordinamento – universalmente improntati al riconoscimento ed alla garanzia dei diritti inviolabili della persona – al di fuori dei quali non può essere affermata la legittimità di alcuna attività giuridicamente rilevante91.

Emerge, quindi, un’intensa commistione tra strumenti legali ed extra-legali di regolazione del cyberspazio, la cui interconnessione rappresenta un punto di equilibrio, al tempo stesso, per l’evoluzione del web e per la tutela di valori ed interessi meritevoli che potrebbero venir compromessi dalle spinte lucrative che sottendono al progresso tecnologico. Si tende, pertanto, alla configurazione di un regime ibrido di disciplina, nel quale il «diritto» si pone quale correttivo volto ad orientare ed a razionalizzare il meccanicismo astratto della «tecnica»92.

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Note

1 F. Di Ciommo, La responsabilità civile in internet: prove di governo dell’anarchia tecnocratica, in Resp. civ., 2006, p. 550 ss., afferma che «Parlare di rivoluzione non è affatto esagerato», infatti, «l’avvento della tecnologia digitale […] in breve tempo ha cambiato il modo in cui l’uomo si relaziona con i prodotti, con le informazioni, con i suoi simili e con se stesso; in definitiva essa ha cambiato il modo in cui l’uomo abita la terra, sublimando quel concetto di ambiente tecnologico […] un ambiente nel quale le dimensioni spaziali e temporali, su cui ragionava Aristotele, semplicemente non esistono più. Di fronte ai nuovi scenari, sopraffatto da una globalizzazione economica e culturale che appare inarrestabile, il diritto occidentale, ancorato al concetto di Stato nazionale, e già per questo in crisi, sembra mostrare definitivamente le corde».

2 F. Galgano, Trattato di diritto civile, I, Padova, 2009, p. 83; Id., La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005, p. 43; R. David, Il diritto del commercio internazionale: un nuovo compito per i legislatori nazionali o una nuova lex mercatoria?, in Riv. dir. civ., 1976, p. 577.

3 G. Alpa, Trattato di diritto civile, I, Storia, fonti, interpretazione, Milano, 2000, p. 463.

4 G. Teubner, Regimi privati globali. Nuovo diritto spontaneo e costituzione duale nelle sfere autonome della società globale, in Id., La cultura del diritto nell’epoca della globalizzazione. L’emergere delle costituzioni civili, trad. di R. Prandini, 2005, Roma, p. 58.

5 N. Irti, Nichlismo giuridico, Roma-Bari, 2004, p. 22 ss.; Id., Norme e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari, 2001, p. 149, rileva come «è superfluo fermarsi sull’alleanza fra capitalismo e tecnica, se non per rammentare che la rete telematica ha generato uno spazio fuori da ogni territorio e da ogni storia: un non-luogo astratto ed artificiale, dove si svolgono gli affari dell’economia planetaria. Il concetto di spazio, che soleva designare la totalità fisica di terra acqua aria, viene sottoposto ad un processo di astrazione, ridotto a pura artificialità tecnica».

6 F. Galgano, Trattato di diritto civile, cit., p. 83, affermato che «per nuova lex mercatoria oggi si intende un diritto creato dal ceto imprenditoriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati, e formato da regole destinate a disciplinare in modo uniforme, al di là delle unità politiche degli Stati, i rapporti commerciali che si instaurano entro l’unità economica dei mercati. L’antica lex mercatoria aveva preceduto l’avvento degli Stati moderni (dai quali sarebbe stata poi recepita come diritto statuale e collocata nei codici di commercio); la sua funzione era consistita nel derogare, per i rapporti commerciali, al diritto civile di allora, ossia al diritto romano, rivelatosi non più congeniale alle esigenze dei traffici. La nuova lex mercatoria opera, per contro, entro una realtà caratterizzata dalla divisione politica dei mercati in una pluralità di Stati; la sua funzione è di superare la discontinuità giuridica da questi provocata».

7 F. Galgano, Lex mercatoria, Bologna, 2001, p. 234.

8 F. Di Ciommo, o.c., p. 550, evidenza come «una volta che lo “spazio” transazionale, in cui sempre più si sviluppano il commercio e le relazioni interpersonali, prende il posto dei “territori” nazionali, l’idea di un diritto, la cui forza deriva dal procedimento di formazione statuale, esce oltremodo indebolita. Inoltre, un diritto di tal fatta, che nasce e si modifica attraverso procedimenti legislativi spesso complessi, non sembra in grado di rispondere in maniera rapida ed efficiente ai mutamenti sociali e alle nuove istanze regolatorie».

9 F. Galgano, Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, in Contr. impr., 1999, p. 197 ss., osserva come «L’avvento della società post-industriale non reclama, come reclamò l’avvento dell’era industriale, profonde riforme legislative: il quadro del diritto codificato resta immutato. Ma resta immutato perché sono altri, non già le leggi, gli strumenti mediante i quali si attuano le trasformazioni giuridiche. Il principale strumento della innovazione giuridica è il contratto. Le concezioni classiche del diritto non collocano il contratto fra le fonti normative; ma, se continuassimo a concepire il contratto come mera applicazione del diritto, e non come fonte di diritto nuovo, ci precluderemmo la possibilità di comprendere in qual modo muta il diritto del nostro tempo»; Id., Le fonti del diritto nella società post-industriale, in Sociol. dir., 1990, p. 158; L. Franzese, Contratto negozio e lex mercatoria tra autonomia ed eteronomia, in Riv. dir. civ., 1997, p. 794; v. anche A. Lasso, Crisi della legge ed autorità del mercato, in Autorità e crisi dei poteri, a cura di P.B. Helzel e A. J. Katolo, Padova, 2012, p. 58 ss.

10 G. Teubner, o.c., p. 59 ss., il quale afferma che «La fonte del nuovo diritto globale […] non è più soltanto la politica istituzionale – che non è ancora veramente una politica globale, ma soltanto inter-nazionale. A generarlo sono soprattutto gli altri sottosistemi sociali che nella “corsa alla globalizzazione” sono da tempo in vantaggio rispetto alla politica. L’economia e le altre sfere sociali – come la scienza, la tecnologia, i mass media, la sanità, l’istruzione, i trasporti e così via – sviluppano nel loro specifico avanzare verso la globalizzazione un enorme fabbisogno normativo, che lungi dal venire soddisfatto da istituzioni nazionali o inter-nazionali, trova un’immediata risposta giuridica già all’interno di queste stesse sfere». Di conseguenza, l’a. ritiene che «i regimi privati globali stanno sempre più producendo un diritto che fa a meno dello Stato (law without the state), della legislazione nazionale o dei trattati internazionali. Cresce ovunque un incontrollabile proliferazione di regolamenti privati, accordi e soluzioni di contenziosi: in una parola la produzione del diritto avviene “accanto, a fianco dello Stato”. Le richieste che la società globale pone a questo diritto auto poietico, non riguardano fondamentalmente il controllo politico dei processi sociali; originano piuttosto da bisogni originali di sicurezza delle aspettative e della necessità di risolvere i conflitti».

11 G. Teubner, o.c., p. 60, il quale rinvia all’opera di P. Muchlinsky, “Global Bukowina” Examined: Viewing the Multinational Enterprises as a Transnational Law-Making Community, in G. Teubner (a cura di) Global Law Without A State, Dartmouth Gower, 1997.

12 G. Teubner, o.c., p. 63, ritiene che i predetti «regimi privati» non risultino da «un coordinamento informale tra azioni e in un graduale processo d’interazioni ripetute, bensì attraverso una statuizione che avviene in processi decisionali di organizzazioni formali specializzate».

13 G. Teubner, o.c., p. 63 ss., afferma che «la specificità del diritto neo-spontaneo sta solo nel fatto che esso è fondato non su una decisione governativa dello Stato, bensì da processi sociali più o meno organizzati, ognuno dei quali genera una selettività molto specifica di produzione giuridica».

14 P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, p. 296, osserva come «in epoca di crisi della sovranità, e, dunque, della legge, l’autonomia privata (o, meglio, negoziale) è chiamata a svolgere un ruolo organizzativo di sottosistemi sociali. Il fenomeno della c.d. autodisciplina contribuisce a riflettere su una nuova teoria delle fonti, che consideri l’autoregolamentazione di categoria come strumento strutturale di produzione di regole efficaci anche di là dal determinato ambito di soggetti che le pongono»; M. Luberto, Il negozio giuridico come fonte del diritto: alcune osservazioni sulla crisi della legge, in Sociol. dir., 2000, p. 89; T. Mazzarese, Metanorme. Rilievi critici su un concetto scomodo della teoria del diritto, in P. Comanducci (a cura di), Struttura e dinamica dei sistemi giuridici, Milano, 1996, p. 131.

15 F. Di Ciommo, o.c., p. 550, il quale rinvia ulteriormente ad H. Berman, Law and Revolution. The Formation of the Western Legal Tradition, Cambridge, 1983, rilevando come «L’evoluzione delle società tecnologizzate, sul finire del XX secolo, ha subito una rapidissima, forse imprevista, accelerazione. Due i fattori che in tale torno di anni hanno determinato un cambiamento radicale del nostro modo di vivere. Il primo è rappresentato dalla semplificazione delle modalità di utilizzazione delle risorse informatiche; il secondo dalla diffusione capillare che la rete internet e le tecnologie digitali hanno avuto in tutto il mondo».

16 F. Di Ciommo, o.c., p. 552, sottolinea come «All’interno del web l’utente, sfruttando la tecnologia ipertestuale, può muoversi liberamente scegliendo cosa fare e come farlo, cosa cercare e attraverso quali traiettorie; proprio per questo la c. d. navigazione in internet è definita “interattiva”: l’utente non subisce, più o meno, passivamente la comunicazione che gli arriva dal medium, come accade per la televisione o per la radio (almeno intese in senso tradizionale), ma muove egli stesso alla ricerca dei contenuti di cui ha bisogno e può addirittura partecipare all’offerta in rete dei contenuti considerato che è molto semplice per chiunque pubblicare (rectius, immettere) materiali in internet»; N. Irti, o.u.c., p. 150, sostiene che «lo spazio telematico è sciolto dalla fisicità: non tanto sta oltre i confini territoriali, quanto non ha confini. La tensione globale, propria del moderno capitalismo, vi raggiunge il grado più alto e rarefatto. La razionalità dell’economia può dispiegarsi con inaudita pienezza: i negozi prendono carattere di assoluta oggettività; le parti, spogliate di qualsiasi identità, svolgono funzioni tipiche di mercato; gli attriti psicologici sono prevenuti e repressi; il tempo non è più storia, ma, nella “assolutezza della momentaneità” (per dirla con Bruno Romano), criterio di calcolo quantitativo (tante merci prodotte o scambiate in un anno, un mese un giorno)».

17 Si rinvia sul punto al fondamentale insegnamento di P. Perlingieri, o.c., p. 472, il quale ha rilevato come «lo sviluppo storico del mercato, nella gran varietà delle sue forme, ha messo in luce il progressivo bisogno di direzione etica e giuridica della vita economica. Le stesse accezioni del mercato sono diverse: esso è inteso ora come istituzione produttrice di proprie regole finalizzare alla determinazione dei prezzi e dei comportamenti, ora, in senso ideologico, come area di libertà idonea a strutturare conseguentemente le azioni legali degli individui; e, in questo autoregolato, finisce con il contenere nel suo interno le stesse relazioni sociali contribuendo a trasformarle, a influenzarle consistentemente».

18 S. Rodotà, Una Costituzione per Internet, in Politeia, 2006, p. 177, rileva come «Internet non è soltanto il più grande spazio pubblico che l’umanità abbia mai conosciuto. È un luogo dove la vita cambia qualità e colore, dove sono possibili l’anonimato e la moltiplicazione delle identità, la conoscenza e l’ubiquità, la libertà piena e il controllo totale».

19 S. Rodotà, o.c., p. 177.

20 F. Di Ciommo, o.c., p. 551, rileva come «sono gli stessi operatori economici a non voler rinunciare alla presenza rassicurante del diritto. Da più parti, infatti, si chiede all’ordinamento giuridico, ed al fattore politico che lo promuove, di affermare la propria autorità e di garantire ai mercati la certezza ed il clima di fiducia che questi ultimi da soli non sono in grado di mantenere nel tempo. In altre parole, le società tecnologizzate, sempre più governate dalle multinazionali che sostengono i partiti politici e promuovono a livello globale lo sviluppo economico e tecnologico, oggi si aspettano che il diritto fornisca la cornice nella quale si possa svolgere al meglio tale sviluppo. Ciò, tuttavia, senza soffocare l’autonomia privata, ed anzi dimostrando che le regole giuridiche sanno essere discrete – si potrebbe dire miti – e capaci di far sentire la loro presenza soltanto quando serve: quando, cioè, non vi siano strumenti alternativi in grado di perseguire con eguale efficacia ed efficienza gli obiettivi auspicati».

21 v. S. Rodotà, o.c., pp. 179 (corsivo mio) e 181. L’a. sostiene, infatti, che «Internet sta realizzando una nuova, grande redistribuzione del potere. Per questo è continuamente a rischio. In nome della sicurezza si restringono libertà. In nome di una logica di mercato miope si restringono possibilità di accesso alla conoscenza. Alleanze tra grandi imprese e Stati autoritari impongono nuove forme di censure. Internet non deve divenire uno strumento per controllare i milioni di persone che se ne servono, per impadronirsi di dati personali contro la volontà degli interessati, per chiudere in recinti proprietari le nuove forme di conoscenza. Per scongiurare questi pericoli non ci si può affidare soltanto alla naturale capacità di reazione di Internet. È tempo di affermare alcuni principi come parte della nuova cittadinanza planetaria».

22 R. Pardolesi, A. Renda, Appunti di viaggio nel capitalismo digitale: reti e retaggi culturali nel diritto antitrust, in La concorrenza tra economia e diritto, a cura di N. Lipari e I. Musu, Bari, 2000, p. 147.

23 N. Irti, Nichlismo giuridico, cit., p. 22 ss.

24 Si rinvia sul punto alla compiuta ed approfondita analisi di F. Di Ciommo, o.c., p. 554, il quale rileva come sia possibile «osservare che l’internauta mentre naviga, o si limita ad immettere materiali in rete, rimane nella sua stanza, nel suo ufficio, ovvero nel luogo pubblico dal quale accede alla rete; e tuttavia egli non è nemmeno in quel posto, considerato che tale attività è realizzata attraverso un sistema che si basa sull’immaterialità ed è dunque essa stessa non geograficamente localizzabile». In tal senso, «l’individuazione – già di per sé tecnicamente difficile – del locus in cui il soggetto, responsabile del compimento di una certa attività illecita in internet, si trovava al momento in cui i materiali oggetto della diffusione lesiva sono stati veicolati in rete, in teoria può non essere considerata sufficiente a ritenere di aver rintracciato il luogo in cui detta attività è compiuta ed ancor meno, come evidente, il luogo nel quale gli effetti dannosi della stessa si sono realizzati»; Id., Profili di responsabilità del commercio elettronico, in Manuale di commercio elettronico, a cura di E. M. Tripodi, F. Santoro e S. Messineo, Milano, 2000, p. 486 ss.

25 G. Finocchiaro, Lex mercatoria e commercio elettronico. Il diritto applicabile ai contratti conclusi su Internet, in Contr. impr., 2001, p. 572; M. R. Burnstein, Conflicts on the Net: Choise of Law in Transnational Cyberspace, in Vanderbilt J. Trans. L., 1996, p. 80.

26 G. Perlingieri, Il contratto telematico, in D. Valentino (a cura di), Manuale di diritto dell’informatica, 2° ed., Napoli, 2011, p. 266.

27 F. Sarzana, I contratti di Internet e del commercio elettronico, Milano, 2001; S. Sica, Il sistema delle responsabilità, in Il commercio elettronico, a cura di S. Sica e G. Comandè, Torino, 2001, p. 221.

28 G. Alpa, Premessa, in E. Tosi (a cura di) I problemi giuridici di internet, Milano, 2001, p. XIII.

29 F. Di Ciommo, La responsabilità civile in internet: prove di governo dell’anarchia tecnocratica, cit., p. 552.

30 J. Goldsmith, T. Wu, Who Controls the Internet? Illusion of a Borderless World, Oxford, 2006.

31 Si rinvia alle tesi di L. Lessig, The Law of the Horse: What Cyberlaw Might Teach, in Harward L. Rev., 1999, p. 501 ss.

32 Al riguardo si pone il fondamentale contributo di G. Finocchiaro, o.c., p. 597 – che a sua volta rinvia alle teoria sostenute da M. Froomkin, The Internet as a Source of Regulatory Arbitrage, in Borders in Cyberspace, a cura di B. Khain e C. Nesson, Cambridge, 1997, p. 129 – la quale rileva come «La tesi di Internet come ordinamento giuridico autonomo muove dalla connotazione di Internet come un mondo parallelo, nel quale vigono particolari regole sociali. Generalmente ad esempio di queste regole sociali viene citata la cosiddetta Netiquette, cioè quell’insieme di norme di comportamento osservate dagli utenti di Internet». Tuttavia, l’a. precisa come «queste tesi, che sostanzialmente configurano internet come un territorio senza diritto o senza il diritto tradizionale, non hanno retto dinanzi alle pressanti esigenze di regolare in qualche modo i conflitti che pure sono sorti su Internet e che hanno richiesto l’applicazione di una qualche regola giuridica».

33 N. Weinstock, Cyberspace Self-Governance: A Skeptical View from Liberal Democratic Theory, in California L. Rev., 2000, p. 395.

34 In tal senso, molto chiaramente, G. Finocchiaro, o.c., p. 599, la quale, ripercorrendo le linee essenziali del prefato orientamento dottrinale, rileva come «La tecnologia può impedire o favorire certe azioni e al riguardo viene presentato l’esempio della scelta effettuata dal governo statunitense con il “Digital Telephony Act”: di fronte all’alternativa fra un sistema di comunicazione telefonica che rendesse facili le intercettazioni e uno che le rendesse, invece, più difficili da realizzare, fu scelto il primo sistema, affinché il governo potesse facilmente intercettare le comunicazioni telefoniche, essendo a ciò legittimato. Il governo avrebbe, in alternativa, potuto legiferare in materia, ma attraverso una scelta tecnica, più facilmente sotto il profilo della comunicazione e, in questo caso, anche sotto il profilo politico, sono stati raggiunti gli stessi risultati». Ulteriormente l’a. fa riferimento all’uso «della piattaforma P3P che consente ai siti web di dichiarare le pratiche concernenti la privacy adottate o all’utilizzo dei cosiddetti cookies, programmi che consentono di monitorare gli spostamenti dell’utente su un sito». Infatti, la «mera conoscenza da parte dell’utente dell’esistenza o meno di queste tecniche muta le modalità di fruizione del web e condiziona, nel caso specifico, l’esercizio di un diritto».

35 G. Finocchiaro, o.c., p. 600, la quale rinvia alle considerazioni espresse da J. R. Reidenberg, Lex informatica: The Formulation of Information Policy Rules Through Tecnology, in Texas L. Rev., 1998, p. 553 ss.

36 J. Dratler, Cyberlaw: Intellectual Property in the Digital Millenium, New York, 2000, p.77; successivamente e con riferimento ad un caso specifico v. M. Strasser, A New Paradigm in Intellectual Property Law?, The Case Against Open Sources, in Stanford Tech. L. Rev., 4, 2001, p. 34.

37 v. E. Tosi, Le responsabilità civili dei prestatori di servizi della società dell’informazione, in Resp. civ., 2008, p. 197 ss.; R. Bocchini, La responsabilità civile degli intermediari del commercio elettronico, Napoli, 2003, p. 123 ss.

38 Si veda in tal senso il «Considerando» n. 40 della Direttiva 2000/31/CE, secondo cui «Le attuali o emergenti divergenze tra le normative e le giurisprudenze nazionali, nel campo della responsabilità dei prestatori di servizi che agiscono come intermediari, impediscono il buon funzionamento del mercato interno, soprattutto ostacolando lo sviluppo dei servizi transnazionali e introducendo distorsioni della concorrenza. In taluni casi, i prestatori di servizi hanno il dovere di agire per evitare o per porre fine alle attività illegali. La presente direttiva, dovrebbe costituire la base adeguata per elaborare sistemi rapidi e affidabili idonei a rimuovere le informazioni illecite e disabilitare l’accesso alle medesime. Tali sistemi potrebbero essere concordati tra tutte le parti interessate e andrebbero incoraggiati dagli Stati membri. È nell’interesse di tutte le parti attive nella prestazione di servizi della società dell’informazione istituire e applicare tali sistemi. Le disposizioni della presente direttiva sulla responsabilità non dovrebbero impedire ai vari interessati di sviluppare e usare effettivamente sistemi tecnici di protezione e di identificazione, nonché strumenti tecnici di sorveglianza resi possibili dalla tecnologia digitale, entro i limiti fissati dalle direttive 95/46/CE e 97/66/CE».

39 Sui profili generali dell’azione uniformatrice del legislatore italo-europeo si rinvia a V. Ferrari, P. Laghi, Diritto europeo dei contratti, Milano, 2012.

40 In questo senso P. Perlingieri, o.c., p. 474, che rileva come «la sfrenata libertà del mercato si traduce in lotta e conflitto, rischiando di affogare “nell’acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell’esaltazione religiosa” ed etica, di relegare la dignità personale a semplice valore di scambio, esponendo i soggetti deboli, sopraffatti o sfruttati, alla marginalità. In tal modo il mercato si configura come uno strumento di indebolimento delle relazioni sociali, che conduce gli uomini ad una mercantilizzazione infinita ed al conflitto continuo che non può trovare una riduzione o una mediazione nella politica senza restringere le libertà economiche, senza inquinare il quadro delle libertà civili e quindi la stessa democrazia».

41 P. Perlingieri, o.c., p. 475.

42 Sia consentito il rinvio a P. Laghi, L’incidenza dei diritti fondamentali sull’autonomia negoziale, Padova, 2012, p. 38.

43 F. Galgano, o.u.c., p. 195.

44 U. Galimberti, Psiche e techne, Milano, 1999, p. 33.

45 G. Finocchiaro, Riflessioni su diritto e tecnica, in Dir. inf., 2012, p. 832 ss.

46 S. McCaulay, L. Friedman e J. Stookey, Law and Society: Readings on the Social Study of Law, New York, 1995.

47 Osserva L. Lessig, o.c., p. 505 ss., che «Many believe that cyberspace simply cannot be regulated. Behavior in cyberspace, this meme insists, is beyond government’s reach. The anonymity and multi-jurisdictionality of cyberspace makes control by government in cyberspace impossible. The nature of the space makes behavior there unregulable. This belief about cyberspace is wrong, but wrong in an interesting way. It assumes either that nature of cyberspace is fixed – that its architecture, and the control it enables, cannot be changed – or that government cannot take steps to change this architecture. Neither assumption is correct. Cyberspace has no nature; it has no particular architecture that cannot be changed. Its architecture is a function of its design – or […] its code. This code can change, either because it evolves in a different way, or because government or business pushes it to evolve in a particular way. And while particular versions of cyberspace do resist effective regulation, it does not follow that every version of cyberspace does so as well. Or alternatively, there are version of cyberspace where behavior can be regulated, and the government can take steps to increase this regulability».

48 L. Lessig, Code and Other Laws of Cyberspace, New York, 1999, p. 13.

49 A. Rossato, Diritto e architettura nello spazio digitale, Padova, 2006, p. 64.

50 Sul punto di rinvia alla tesi di L. Lessig, The Law of the Horse: What Cyberlaw Might Teach, cit., p. 506 ss., il quale afferma che «behavior […] is regulated by four kinds of constraints. Law (in at least one of it aspects) orders people to behave in certain ways; it threatens punishment if they do not obey […] It promises strict punishment if these orders are not followed. In this way, we say that law regulates. But not only law regulates in this sense. Social norms do as well […]Like law, norms regulate by threatening punishment ex post. But unlike law, the punishments of norms are not centralized. Norms are enforced (if at all) by a community, not by a government. In this way, norms constrain, and therefore regulate. Markets, too, regulate […] the market is able to constrain in this manners only because of other constrains of law and social norms: property and contract law govern the markets; markets operate within the domain permitted by social norms. But given these norms, and given this law, the market presents another set of constraints on individual and collective behavior. And finally, there is a fourth feature of real space that regulates behavior – “architecture”. By “architecture” I mean the physical world as we find it, even if “as we find it” is simply how it has already been made»; L. Tien, Architectural Regulation and the Evolution of Social Norms, in Yale J. L. Tech., 2004, p. 12.

51 L. Solum, M. Chung, The Layers Principle. Internet Architecture and the Law, in Notre Dame L. Rev., 2004, p. 815.

52 L. Lessig, o.u.c., p. 511, rileva come i predetti fattori presentino delle modalità di interazione tra di loro. Sicché «in obvious ways they interact. Norms will affect which objects get traded in the market (norms against selling blood); the market will affect the plasticity, or malleability, of architecture (cheaper building materials create more plasticity in design); architectures will affect what norms are likely to develop (common rooms affect privacy); all three will influences what laws are possible».

53 L. Lessig, o.u.c., p. 508 ss., sostiene che «the architecture of cyberspace, or its code, regulates behavior in cyberspace. The code, or the software and hardware that make cyberspace the way it is, constitutes a set of constraints on how one can behave. The substance of these constraints varies – cyberspace is not one place. But what distinguishes the architectural constraints from other constraints is how they are experienced. As with the constraints of architecture in real space – railroad track that divide neighborhoods, bridges that block the access of buses, constitutional courts located miles from the seat of the government – they are experienced as conditions on one’s access to areas of cyberspace».

54 G. Teubner, Costituzionalismo societario: alternative alla teoria costituzionale stato-centrica, in Id., La cultura del diritto nell’epoca della globalizzazione, cit., p. 134.

55 G. Teubner, o.u.c., p. 133 ss., sostiene che «il problema riguarda non tanto l’abuso del potere digitale, quanto piuttosto le conseguenze costituzionali delle differenze strutturali tra “codice” e diritto. Entro il suo ambito di applicazione, il “codice” è in grado di trasformare in maniera sostanziale l’ordine normativo del cyberspazio. La comunicazione sull’Internet non è più controllata dal carattere appellativo delle norme legali, quanto da limiti elettronici. La prima questione rilevante riguarda la caratteristica capacità auto-sanzionatoria del “codice”. Nella prospettiva strumentalista dominante tra i giuristi dell’Internet questo sembra essere il grande vantaggio del “codice”; in una prospettiva costituzionale, tuttavia, esso diventa un incubo per i principi di legalità. Il diritto tradizionale è basato su una separazione istituzionale, procedurale e personale tra la produzione, l’esecuzione e la sanzione del diritto».

56 S. Rodotà, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, Roma-Bari, 2002; A. Shapiro, The Control Revolution, New York, 1999.

57 Sul punto si fa ancora riferimento al pensiero di L. Lessig, o.u.c., p. 541, il quale afferma che «The difference between cyberspace and real space in again one degree. The opportunities for non-trasparent regulation are multiplied in cyberspace, and the fundamental, or constitutional, question is whether we should be concerned. Should our belief in the value of transparency steer us away from regulations through code that hide their policy? Should we demand that the state announce its purpose, or make palin its hand? Cyberspace raises the question of transparency in a new context. When the government regulates indirectly, through the regulation of cyberspace’s code, should it be required to make the regulation transparent? My strong sense, consistent with our tradition, is that the answer should be yes. But it also my strong view that nothing in our present array of constitutional principles would actually require government to do so. If the constitution is to catch up to the problems of cyberspace, it must be able to address these questions».

58 In tal senso, molto chiaramente, G. Finocchiaro, Lex mercatoria e commercio elettronico. Il diritto applicabile ai contratti conclusi su Internet, cit., p. 599.

59 J. R. Reidenberg, o.c., p. 553 ss.

60 H. J. Berman, C. Kaufman, The Law of International Commercial Transactions (Lex Mercatoria), in Harv. Int. L. J., 1978, p. 274; D. L. Burk, Federalism in Cyberspace, in Connecticut L. Rev., 1996, p. 1107.

61 L. Lessig, Reading the Constitution in Cyberspace, in Emory L. Rev., 1996, p. 896; J. R. Reidenberg, Setting Standards for Fair Information Practice in the U.S. Private Sector, in Iowa L. Rev., 1995, p. 508

62 L. Lessig, The Constitution of Code: Limitations on Choice-based critiques of Cyberspace Regulation, in CommLaw Conspectus, 1997, p. 185

63 J. R. Reidenberg, Lex informatica: The Formulation of Information Policy Rules Through Tecnology, cit., p. 555, sostiene che «the characteristics of Lex Informatica provide ways to accommodate different national public policies for controvers problems, such as content restrictions, the treatment of personal information, and the protection of intellectual property circulating on transnational networks. As a consequence, poliymakers can and should look to Lex Informatica as a useful extra-legal instrument that may be used to achieve objectives that otherwise challenge conventional laws and attempts by governments to regulate across jurisdictional lines».

64 Seguendo il pensiero di J. R. Reidenberg, o.u.c., p. 557, può evidenziarsi come la frammentarietà delle discipline nazionali in ordine alla regolamentazione dell’accesso al contenuto digitale della rete, da un lato, determini un depotenziamento del mercato su scala transnazionale, creando, altresì, un’elevata di incertezza giuridica; dall’altro non consenta una piena affermazione delle libertà fondamentali che seppur riconosciute in alcune legislazioni, vengono fortemente limitate in altre. È evidente che tale situazione rappresenta un forte freno alla piena evoluzione del cyberspazio, che non può trovare una fonte sicura di regolamentazione nel tradizionale sistema delle fonti del diritto, caratterizzato dalla vocazione nazionale o sovranazionale che, per quanto condivisa, sarà sempre contrassegnata da un costante profilo di frammentarietà. Pertanto, l’esigenza di una disciplina uniforme viene a riversarsi necessariamente nelle regole di autocondotta che i fornitori di servizi on-line impongono agli utenti ai fini della fruizione del servizio. Si tratta di regole di ordine eminentemente tecnico, che consentendo o proibendo determinate azioni (ovvero rendendole opzionali) finiscono per regolamentare in modo indiretto, ma sostanzialmente uniforme, il comportamento degli utenti. In questo senso, è stato evidenziato come la c.d. Platform for Internet Content Selection (PICS) fornisca una prima valida risposta al riguardo, operando per mezzo di etichette valutative che consentano la selezione dei contenuti del web. Tale sistema presenta, peraltro, una molteplicità di varianti operative: le etichette possono essere predisposte dallo stesso gestore del sito (self-rating), ovvero da agenzie indipendenti deputate allo svolgimento di tale attività (third-party rating), che assicurano l’imparzialità del metodo di catalogazione. Il sistema PICS, in sostanza, permette di effettuare una classificazione standardizzata delle informazioni contenute sul sito, che viene riconosciuta dal software presente nel computer dell’utente, bloccandone automaticamente l’accesso. Soluzione quest’ultima ampiamente adottata al fine di evitare l’accesso incondizionato di minori a siti web contenenti materiale osceno o pornografico, mediante la predisposizione opzionale di specifiche scelte tecniche nel sistema operativo dell’utente, che di fatto consentono un «filtraggio» delle informazioni digitali e, quindi, una regolamentazione sostanziale dell’accesso alle medesime. Tale sistema tecnologico che si fonda sull’associazione di parole-chiave standardizzate connesse a determinate informazioni, può assumere una portata generale e più ampia, divenendo in grado di selezionare preventivamente i contenuti ammissibili nello specifico contesto giurisdizionale nel quale il singolo utente si trova ad operare fisicamente. In altre parole, potrebbe prospettarsi un utilizzo della tecnologia PICS, in virtù del quale, i c. d. proxy – programmi informatici che fungono da collegamento tra il singolo utente ed il server – filtrino preventivamente i contenuti consentiti e quelli illegali, nel contesto giurisdizionale locale in cui l’utente si trova ad operare.

65 J. R. Reidenberg, o.u.c., p. 560, rileva, infatti, come la società dell’informazione, con i suoi sofisticati strumenti di comunicazione telematica a raggio «globale», ponga una intensa esigenza di tutela per ciò che concerne il trattamento di dati sensibili, specialmente con riferimento ai dati personali e, quindi, alla protezione della privacy. Infatti, la capacità degli attuali mezzi informatici di immagazzinare un’infinita quantità di informazioni, rende particolarmente attuale il rischio di un loro utilizzo abusivo che può estrinsecarsi in un indebita invasione nella vita privata di ciascuno ovvero nel loro illegittimo sfruttamento per finalità commerciali. Al riguardo, viene evidenziata l’insufficienza degli interventi normativi finalizzati a disciplinare compiutamente il trattamento dei dati personali su web, considerato che l’enorme flusso di dati che «scorre» per la «rete globale», supera i limiti e la portata direttiva delle giurisdizioni statuali. A fronte di ciò, la lex informatica, soffermandosi sulle potenzialità «architettoniche» della rete, permetterebbe di individuare delle opportune soluzioni, rintracciabili nell’impiego di una serie di accorgimenti tecnici, in grado di assicurare (o almeno incrementarne il livello) la protezione della privacy sull’intero world wide web. Funzionali a tale scopo risultano essere quei programmi che consentono di celare l’identità dell’utente, associando al medesimo un codice numerico (IP o URI) che non permette di accedere a determinate informazioni personali. Si tratta di un sistema di identificazione parziaria del soggetto che accede ad internet, volto a conciliare l’esigenza di controllo e di sicurezza con la protezione di dati sensibili. Allo stesso modo l’utilizzo della tecnologia PICS e di software di «filtraggio» permette di fornire una risposta adeguata all’istanza di tutela di informazioni personali, consentendo agli stessi fruitori della rete di stabilire in via preventiva il livello di tutela ritenuto più opportuno, secondo criteri di personalizzazione. Attraverso tali strumenti, infatti, è possibile non solo selezionare i contenuti digitali a cui si vuole accedere o che si vuole inibire, ma, altresì, di impostare il browser del proprio computer in modo da consentire la connessione soltanto ai quei siti che presentino il livello di privacy desiderato. Funzionale in tal senso appare il sistema P3P (Platform for Privacy Preferences), mediante il quale i siti web forniscono precise indicazioni con riferimento alla gestione delle informazioni reperite dagli utenti, permettendo in questo modo di consentire una valutazione preventiva da parte di questi ultimi, del livello di protezione della privacy offerto, anche con riguardo all’eventuale impiego di cookie, come noto, capaci di tracciare l’attività telematica posta in essere dai visitatori del sito; v. anche G. Finocchiaro, Riflessioni su diritto e tecnica, cit., p. 835 ss.; B. Welbery, Commercio elettronico, 1998, in www.privacy.it

66 J. Zittrain, Normative Principles for Evaluating Free and Proprietary Software, in Univ. Chicago L. Rev., 2004, p. 266; G. d’Ammassa, La legge sul diritto d’autore nell’era multimediale, in Diritto dell’internet, a cura di G. Cassano, G. Scorza e G. Vaciago, Padova, 2013, p. 379.

67 In modo più diffuso, J. R. Reidenberg, o.u.c., p. 565, si sofferma sulle modalità di protezione dei diritti di privativa e della proprietà intellettuale, evidenziando l’inidoneità delle normative tradizionali – frammentate in una pluralità di discipline locali a volte confliggenti – rispetto alle enormi potenzialità diffusive del web. Sono, infatti, molteplici e significativi i problemi che emergono al riguardo, sia con riferimento all’individuazione della normativa applicabile al caso concreto – atteso che alcune legislazioni ritengono ammissibili operazioni che in altre sono vietate – sia relativamente all’effettività della tutela giuridica, considerato che violazioni dei predetti diritti possono consumarsi al di fuori dei contesti territoriali nei quali è prevista una regolamentazione protettiva. In questo senso deve farsi riferimento alla possibilità di memorizzazione e modificazione delle opere digitali presenti sul web, senza che sia possibile apprestare alcuna protezione al diritto d’autore. Ciò soprattutto tenendo in considerazione la continua ed intensa evoluzione che la tecnologia conosce e che fornisce sempre nuove potenzialità, a discapito del fissismo e del particolarismo dell’intervento normativo in senso formale. Sul punto è opportuno rilevare come la configurazione «architettonica» del cyberspazio offre delle soluzioni talvolta dotate di un maggiore profilo di effettività e di uniformità, rispetto a quelle apprestate dalla legislazione in senso formale, quali ad esempio la fruibilità delle opere digitali sulla base di chiavi di lettura che – pur consentendone la consultazione – ne impediscano la memorizzazione, eventualmente accrescendo i livelli di tutela derivanti dalla normativa nazionale, che potrebbe – almeno in linea teorica – permettere la realizzazione di copie da parte dell’utente. Allo stesso modo, l’adozione di misure tecniche – come la predisposizione di middelware, ossia di programmi di intermediazione fra componenti software o di programmi di classificazione – potrebbe inibire o limitare, al rispetto di determinate condizioni, il c. d. web caching, l’attività, cioè, di memorizzazione automatica di pagine web nella memoria locale del computer dell’utente, che si verifica a discapito e senza il consenso del provider del sito ospitante; M. O’Rourke, Property rights and Competition on the Internet: In Search of an Appropriate Analogy, in Berkley Tech. L. J., 2001, p. 561.

68 N. Irti, E. Severino, Le domande del giurista e le risposte del filosofo (un dialogo su diritto e tecnica), in Contr. impr., 2006, p.665.

69 G. Finocchiaro, o.u.c.., p. 835 ss., osserva come la tecnica «spesso non è giuridicamente neutra. Il diritto passa attraverso la tecnica (lex informatica, regole tecniche, norme tecniche)». In questo senso «norme tecniche e norme giuridiche nella comunicazione telematica sono quanto mai commiste. Basti pensare alle problematiche della sicurezza informatica o al meccanismo della firma digitale: in entrambi i casi l’informatica condiziona fin dall’origine, definendone i termini, il lavoro del giurista».

70 F. Di Ciommo, o.u.c., p. 551.

71 G. Finocchiaro, Lex mercatoria e commercio elettronico. Il diritto applicabile ai contratti conclusi su Internet, cit., p. 599

72 M. Luberto, o.c., p. 89.

73 V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1970, p. 23.

74 J. R. Reidenberg, o.u.c., p. 568, afferma che «In the context of information flows on networks, the technical solutions begin to illustrate that network technology itself imposes rules for the access to and use of information. Technological architectures may prohibit certain actions on the network, such as access without security clearances, or may impose certain flows, such as mandatory address routing data for electronic messages. Technology may also offer policymakers a choice of information flow rules through configuration decisions. In effect, this set of impositions on information flow through technological defaults and system configurations offers two types of substantive rules: immutable policies embedded in the technology standards that cannot be altered and flexible policies embedded in the technical architecture that allow variations on default setting».

75 In questo senso può farsi riferimento al protocollo informatico che disciplina la trasmissione di messaggi di posta elettronica, il quale richiede l’indicazione di dati identificativi dell’utente, divenendo per conseguenza funzionale anche ad esigenze di sicurezza generale. Così come la previsione di determinate opzioni che consentono l’identificazione del mittente permettono all’utente di bloccare la trasmissione dei dati, preservandolo da altrui invasioni della propria sfera privata o da comportamenti commerciali abusivi.

76 J. R. Reidenberg, o.u.c., p. 574.

77 J. R. Reidenberg, o.u.c., p. 572, rileva come la «Lex Informatica has distinct enforcement properties. Legal regulation depends primarily on judicial authorities for rule enforcement. Rule violations are pursued on an ex post basis before the courts. Lex Informatica, however, allows for automated and self-executing rule enforcement. Technological standards may be designed to prevent actions from taking place without the proper permissions or authority».

78 In questo senso J. R. Reidenberg, o.u.c., p. 573.

79 J. R. Reidenberg, o.u.c., p. 553, ed ivi ampia bibliografia; v. anche L. Lessig, Code and Other Laws of Cyberspace, cit., p. 13.

80 Afferma, infatti, J. R. Reidenberg, o.u.c., p. 578, che «For the legal regime, various national authorities and policymakers may make legittimate claims to regulate users and information flow. However, the very nature of network behavior makes these claims subject to complex choice of law decisions. States are generally reluctant to impose their laws on activities taking place in foreign jurisdictions. Consequently, jurisdiction becomes a critical threshold obstacle to sensible information policymaking. In contrast, the jurisdiction of Lex Informatica in the network itself. Technologically implemented rules apply throughout the relevant network. As such, Lex Informatica reaches across borders and does not face the same jurisdictional, choice of law problem that legal regimes encounter when networks cross territorial or state jurisdictional lines. Lex Infomatica faces conflict of rules at the gateways between networks. If technological standards on both sides of the gateway are interoperable, information flows can cross the gateway without difficulty. When the standards are not compatible, the flows will be impeded by the difference in technical specifications».

81 Ad esempio utilizzando i sistemi di filtraggio propri della tecnologia PICS e delle sue evoluzioni recenti; sia garantendo la riservatezza delle proprie attività attraverso il ricorso a chiavi crittografate e password, ovvero a filtri di sicurezza che sono operativi nell’intero web, senza limiti territoriali.

82 G. Finocchiaro, Riflessioni su diritto e tecnica, cit., p. 838, giunge a sostenere che «pare preferibile sottolineare l’approccio in base al quale il legislatore della protezione dei dati personali stabilisca le funzioni cui deve assolvere la sicurezza e gli obiettivi. Poi ogni titolare stabilisce, nell’ambito della sua organizzazione, quali eventuali ulteriori misure di sicurezza adottare, ovviamente dovendosi ritenere responsabile per questa scelta. Questa tipologia di responsabilità che si sta affermando e che probabilmente sarà inserita nella revisione della direttiva europea, è nota come accountability. Quindi un approccio funzionale alla sicurezza, la cui declinazione rimane nella responsabilità del titolare del trattamento. I vantaggi sarebbero costituiti dalla maggiore flessibilità: adottare le misure necessarie al caso concreto. Gli svantaggi, da un certo grado di insicurezza per i titolari».

83 Osserva J. R. Reidenberg, o.u.c., p. 578, che «in contrast to the ex post enforcement of legal rules, Lex Informatica relies typically on ex ante measures of self-execution. Filters and translations, for example, apply to block information flows that violate the information policy rules. If a PICS-based filter is applied to screen the content of a web page, those pages rated inappropriate for the user will simply not be displayed – only permissible viewing will take place».

84 Anche in questo caso il riferimento può andare a quelle tecnologie quali i sistemi di filtraggio basati sulla metodologia PICS, che in via preventiva ed automatica, bloccano il contenuto dei siti web contenenti informazioni e materiali digitali a cui l’utente non vuole accedere.

85 N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 2009, p. X, individua le conseguenze del fenomeno globalizzante con riferimento alla fisionomia della regolazione giuridica, che ormai interverrebbe in un contesto «dove non c’è più una pluralità di territori, ma un solo ed unico spazio; dove è caduta l’antica co-estensione di politica diritto economia, giacché quest’ultima ha respiro planetario, mentre gli altri elementi rimangono chiusi nei vecchi confini. La sconfinatezza, in cui domina la nuova alleanza fra economia e tecnica, rifiuterebbe non solo i singoli diritti statuali, ma ogni specie di prescrizione eteronoma. Essa produrrebbe da sé il suo proprio diritto».

86 A livello esemplare può essere richiamato il caso della c. d. firma digitale, rispetto alla cui diffusione ed utilizzazione il legislatore ha svolto un ruolo cardine attribuendogli effetti giuridici validanti e, in determinati casi, imponendone l’impiego; v. al riguardo M. Orlandi, Iposcritture e iperscritture, in R. Clarizia (a cura di), I contratti informatici, Torino, 2007, p. 169.

87 G. Teubner, o.u.c., p. 126 ss., affronta la questione in relazione alle problematiche che potrebbero sorgere in ordine trasparenza ed alla democraticità del processo formativo delle auto-discipline del cyberspazio. Al riguardo afferma che «la regolamentazione nazionale tende a fallire per via dei problemi di implementazione dovuti alla natura transazionale della comunicazione digitale. Al contrario, una regolamentazione dell’Internet da parte di un corpo legislativo internazionale legittimo, desiderata oggi da tutti gli uomini di buona volontà, rischia di fallire per via delle difficoltà che emergerebbero dal cercare di raggiungere un accordo tra governi». Ne deriva, pertanto, da una siffatta situazione, che «l’autoregolamentazione dell’Internet, in quanto sistema autonomo, assuma un valore clamorosamente più alto. Gli osservatori della regolamentazione dell’Internet parlano quindi di una “tendenza all’autoregolamentazione”». Infatti, grazie «ai mezzi di costrizione elettronici, l’Internet può ampiamente fare a meno di una regolamentazione controllata da aspettative socio-legali, e tuttavia i mezzi elettronici sono controllati da norme meta legali. La tendenza va chiaramente nella direzione di regimi regolativi ibridi. In questi casi una lex electronica autonoma, in parallelo alla lex mercatoria, gioca un ruolo importante. I panel di arbitraggio dell’Icann – che decidono, in maniera vincolante e con mezzi di controllo elettronici, sulla base della norma giuridica autonoma e non nazionale del §.12.a delle politiche dell’Icann sul rilascio dei domini – rappresentano una parte rilevante della creazione autonoma di diritto digitale. In un parallelismo quasi perfetto con quanto accade per il diritto del sistema economico globale, la lex electronica solleva il problema della corruzione strutturale, cioè dell’imponente, diretta e non filtrata influenza degli interessi “privati” sul processo di creazione del diritto».

88 G. Finocchiaro, o.u.c., p. 840, osserva che «come il giurista non deve inventarsi tecnologo, benché debba comprendere a fondo la tecnologia, analogamente al tecnico non spetta la scelta dei valori né l’interpretazione del diritto. Il dialogo è essenziale, la comprensione reciproca anche, ma nel rispetto dei rispettivi ruoli. È importante ristabilire rispetto e confini, rivendicando con orgoglio il ruolo del giurista».

89 V. Ferrari, P. Laghi, o.c., p. 47.

90 Secondo J. R. Reidenberg, o.u.c., p. 588, sarebbero sei i tipi di azione che i soggetti pubblici potrebbero intraprendere al fine dirigere l’evoluzione dell’«architettura» del web. Questi vengono individuati in «1) the bully pulpit, (2) participation, (3) funding, (4) procurement, (5) regulated behavior and (6) regulated standards». Infatti, secondo l’a., per lo sviluppo delle regole di politica dell’informazione di cui consta la Lex Informatica, sarebbe necessario il riscorso a strategie e strumenti diversi da quelli riconducibili al tradizionale approccio normativo in senso formale. Tra di esse viene segnalata, inoltre, la particolare opportunità di una partecipazione politica alle varie organizzazioni di settore che si occupano della progettazione su ampia scala delle configurazioni strutturali e progettuali del cyberspazio. Al riguardo, osserva che «Policymakers by necessity must pay closer attention to the activities of these organizations, and they must participate more aggressively if they wish to push technical developments in a direction responsive to public goals and the need for customization capabilities».

91 Si rinvia al fondamentale insegnamento di P. Perlingieri, o.c., p. 477, il quale sostiene la necessità nel contesto delle attività economico-sociale del recupero di una funzione regolatrice dello Stato, quale strumento di orientamento delle medesime verso obiettivi e finalità sostanzialmente compatibili con i valori fondamentali dell’ordinamento. In tal senso, l’a. osserva che «l’istituzionalizzazione del mercato non può prescindere dall’assunzione di un garante esterno, sia esso la morale (laica o religiosa) o il diritto. La società non riducibile al mercato e alle sue sole regole; il diritto, al quale spetta la regolamentazione della società, indica limiti e correttivi, dettati non soltanto dal perseguimento della ricchezza e dalla sua distribuzione, ma da valori e interessi di natura diversa. Il mercato ha bisogno di norme che lo legittimino e lo regolino: tra mercato e diritto non v’è un prima o un dopo, ma una inscindibilità logica e storica. Il mercato è, per definizione, un’istituzione economica e giuridica ad un tempo, rappresentata dal proprio statuto normativo, come tale caratterizzato da scelte politiche».

92 G. Teubner, o.u.c., p. 127.

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