di Vincenzo Ferrari

Nota redazionale – Scritto destinato al Liber amicorum in onore di Maurizio Converso.

  1. Saudade.

Cittadella del Capo, negli anni sessanta del secolo scorso, prima che l’edilizia e l’antropizzazione selvaggia deturpassero la costa tirrenica cosentina, era il luogo delle nostre dimore estive. Di giorno ci si spostava, con la barca a remi, lungo scogliere incontaminate e spiagge deserte: lunghe remate sotto il sole bollente, nuotate vigorose ed immersioni in apnea nel mare limpido e fresco. Di sera il giardino di casa Converso accoglieva tutti: balli più o meno scatenati (i lenti erano sostanzialmente proibiti da un cartello riproducente un segnale stradale di divieto di sosta nel quale si scorgeva la sagoma di una coppia abbracciata), amori più o meno platonici (severamente controllati dallo stesso cartello), spensieratezza giovanile e gioia esistenziale.

Negli anni seguenti la percezione dell’esistenza, per il naturale avanzare della vita, si estendeva alla problematicità dei fatti che in essa accadono: minore spensieratezza e maggiore consapevolezza del dramma esistenziale animavano discussioni, talvolta particolarmente accese fino ad invadere la vicina piazzetta del borgo marinaro, con numerosi spettatori estranei alla compagnia, che si intrattenevano ad ascoltare variegati confronti, per lo più di ordine filosofico, nei quali i contendenti ricercavano quei punti di riferimento che potessero dare un senso alla propria dimensione esistenziale.

I sentimenti di allora sono vivi nel ricordo, come viva è la consapevolezza che la scelta di frequentare la facoltà di giurisprudenza non fu casuale e venne ispirata dall’entusiasmo con cui il mio amico Maurizio mi parlò della bellezza della ricerca giuridica cui lui già si dedicava, facendomi comprendere che il diritto è materia vivente, mutevole nello spazio e nel tempo, totalmente calata nell’esistenza. Quell’entusiasmo, nonostante gli immancabili “colpi dell’avversa fortuna”, credo che l’abbiamo mantenuto entrambi, se ancora oggi non abbiamo rinunciato a ricercare la nostra dimensione esistenziale nella giuridicità dei fatti della vita.

  1. La ‘scoperta’ del Repertorio del Foro italiano.

Fu nel 1976 che varcai per la prima volta l’ingresso di via Pietro Cossa 41, colpito dal vetro satinato della porta sul quale si leggeva (ed ancora oggi si legge) “IL FORO ITALIANO fondato nel 1876”. Cento anni di Rivista «Il Foro italiano» ed altrettanti di «Repertorio Generale di Giurisprudenza» mi accoglievano e, con gli auspici di Maurizio Converso, iniziavo la mia ininterrotta collaborazione, oramai quarantennale, sulle ultracentenarie colonne.

All’epoca il Foro italiano era diretto da Virgilio Andrioli, Giuseppe Branca e Carlo Scialoja, saldi riferimenti nella memoria, mentre il Repertorio era affidato ad Onofrio Fanelli, tutt’ora guida preziosa dell’indomita compagine redazionale. Maurizio, nonostante la giovane età, aveva già acquisito un ruolo di primo piano, dedicandosi integralmente alla grande opera della quale è stato asse portante per decenni (oggi dirige la banca dati «Merito ed extra», nuovo archivio a complemento dell’assetto tecnologicamente avanzato datosi dal Foro on-line). Da lui sono stato iniziato ai ‘misteri’ della ricerca giurisprudenziale. Misteri che ancora adesso pratico preferendo al video il contatto fisico, tattile e olfattivo con i fascicoli e i volumi cartacei, mentre lui si è proiettato verso il futuro divenendo il massimo esperto di tecniche e tecnologia della documentazione giuridica, tanto da essere incaricato dell’insegnamento di informatica giuridica e logica giuridica in diverse università italiane1.

Una delle prime cose che mi ha detto e che, non solo non dimentico, ma verifico e sperimento quotidianamente sul campo, riguardava il ruolo centrale che ai fini dell’affidabilità della ricerca assume il Repertorio, definendolo un ‘ordinatore mentale’. Questo concetto mi ha fatto comprendere con immediatezza che gli studi giuridici, per essere proficui ed efficaci, non debbono fare affidamento sulla capacità di memorizzare i testi, bensì debbono essere condotti con metodo.

Il metodo del Foro italiano assicura la puntualità dei riferimenti nelle note della rivista attraverso il sistema dei richiami a catena: ogni nota garantisce la completezza del percorso a ritroso fino ad una precedente nota, alla quale viene passato il testimone che, volendolo il lettore, gli consentirà di risalire fino al 1876. Le note corredano massime la cui redazione si basa, non su meri riassunti di parti della motivazione della decisione giurisprudenziale annotata, bensì sull’individuazione in essa del decisum (o dei decisa) da esporre in concisi concetti.

Nel Repertorio confluiscono annualmente tutte le massime (non solo dal Foro italiano, ma anche provenienti da altre riviste) che concettualizzano la giurisprudenza pubblicata nell’anno, nonché i riferimenti alla bibliografia edita nello stesso anno e gli estremi degli atti normativi entrati in vigore nel medesimo lasso di tempo.

Fondamentale, sia per il Foro sia per il Repertorio, è il sistema di indici (delle voci, fisso per articoli, fisso delle leggi e dei decreti, variabile per articoli della Costituzione, dei codici e delle leggi, delle decisioni, dei nomi degli autori, dei nomi delle parti) che, oltre ai sommari delle singole voci, permettono di ‘viaggiare’ efficacemente in lungo e in largo nella generalità delle materie trattate, consentendo percorsi specifici ed affidabili, ma anche veri e propri viaggi nello ‘spazio-tempo’ della giurisprudenza. Di ogni singolo istituto giuridico, in qualsiasi branca dell’ordinamento, è possibile ripercorrere l’evoluzione storica risalendo fino al 1876 (non a caso a ridosso dell’installazione in Roma della capitale dell’Italia unita) e scandagliare l’articolazione nel territorio della giurisprudenza di merito.

Oggi si parla di navigazione nel ‘cyberspazio’, potenziata da nuove tecnologie che affrancano il ricercatore dalle fatiche della consultazione cartacea, ma nulla può sostituire il piacere della navigazione manuale nello ‘spazio-tempo’ della giurisprudenza. Piacere che si dischiude, però, solo a chi ha effettivamente scoperto quella meravigliosa macchina del tempo che è il Repertorio del Foro italiano.

  1. La massimazione della giurisprudenza e la prassi giudiziaria.

La massima giurisprudenziale, come diceva il Prof. Andrioli, dovrebbe essere formulata in modo da stimolare nel lettore la curiosità di conoscere l’intera motivazione, ma la prassi giudiziaria ha fatto assurgere la massima a dato conoscitivo autoreferenziale: i giudici scrivono le sentenze basandosi sulle massime ed altrettanto fanno gli avvocati negli scritti difensivi. Ne risulta che la giurisprudenza si forma su dati concettuali filtrati dall’opera dei massimatori, che, per quanto fedele al testo, è pur sempre un’interpretazione di ciò che il testo della motivazione afferma.

La giurisprudenza si alimenta delle stesse massime che produce, dando vita ad un tessuto normativo che sostanzialmente si sovrappone a quello degli enunciati legislativi, fino a sostituirlo. Ciò induce gli attori del processo (giudici ed avvocati) a ‘ragionare per sentenze’ prescindendo dalla formulazione del testo normativo ed affidandosi agli enunciati delle massime giurisprudenziali. Si tratta di un fenomeno ben conosciuto dagli operatori del diritto, che tuttavia sarebbe riduttivo spiegare come una sorta di deviazione della prassi giudiziaria.

Il fenomeno investe in modo massiccio la giurisprudenza di merito, come si può del resto rilevare consultando la banca dati «Merito ed extra» (con grande lungimiranza ideata e sviluppata per il Foro italiano da Maurizio Converso), ma non lascia del tutto indenne la giurisprudenza di legittimità, più propensa a ragionare sulle motivazioni anziché sulle massime, con l’esito di scoprire anche qualche sorpresa indotta dal tralaticio adagiarsi su una massima giurisprudenziale2.

  1. La giurisprudenza come fonte del diritto.

Autorevole dottrina3 ha osservato come nel rinnovato sistema delle fonti del diritto non sia più attuale la centralità del testo scritto, interpretabile esclusivamente con modalità e limiti descritti dall’art. 12 disp. prel. cod. civ., assumendo l’interprete un ruolo primario ed essenziale nella comprensione della norma giuridica, che non vive più soltanto nell’enunciato normativo, bensì è frutto di una ponderazione assiologia del testo scritto che solo l’interprete può condurre completando l’opera del legislatore.

Il ruolo di interprete compete tanto alla giurisprudenza quanto alla dottrina, mentre a quest’ultima va riconosciuto soprattutto il valore di fonte culturale, alla giurisprudenza, ed in particolare a quella di legittimità, non può disconoscersi una effettiva funzione di fonte del diritto4.

Si tratta, però, di una fonte extra ordinem, non collocabile nella gerarchia del sistema, in quanto non contemplata dall’art. 1 disp. prel. cod. civ., tuttavia da inquadrarsi come fonte de facto5. Ciò comporta che la giurisprudenza non soggiace alla gerarchia delle fonti-atto, bensì va collocata, quale fonte-fatto, nel rinnovato assetto del sistema delle fonti, derivante dalla novellazione dell’art. 117 Cost., per cui soggiace alla gerarchia dei valori, cui può dare attuazione solo attraverso un’interpretazione di tipo assiologico6, ponendo il problema della corretta individuazione della norma applicabile al caso concreto.

Negli ordinamenti di common law il problema viene affrontato modulando il principio del precedente vincolante, mentre in quelli di civil law, annettendosi al precedente solo carattere persuasivo e non vincolante, la giurisprudenza dovrebbe mantenere funzione interpretativa, quale fonte culturale al pari della dottrina. La necessità di fronteggiare con strumenti adeguati la domanda di giustizia, che non sempre può risultare appagata dalle previsioni astratte delle norme legislative, costringe l’interprete a travalicare i limiti della funzione ed è quanto è accaduto in Italia, dove si è fatta assurgere al rango di ‘diritto vivente’ la giurisprudenza di legittimità7, venendo a determinarsi problemi di tutela dell’affidamento8 e ad alimentarsi dibattiti sulla funzione creatrice della giurisprudenza9 e sulla funzione nomofilattica10.

Non si è mancato di rilevare come “il perseguimento della ragionevole durata del processo ha portato la giurisprudenza degli ultimi anni ad adottare soluzioni che, paradossalmente, riducono gli spazi di effettività della tutela giurisdizionale, in nome di un eccessivo ossequio della rapidità «a tutti i costi» e rendono, di conseguenza, meno competitivo l’ordinamento nell’aspetto dinamico del diritto vivente”11. La tematica è indubbiamente complessa e coinvolge variegati aspetti, anche di natura processuale12.

Al diritto vivente va comunque riconosciuto di avere dato effettività di fonte del diritto alla giurisprudenza di legittimità, talvolta creando norme prive di enunciato legislativo, ricavate dal contesto ordinamentale attraverso interpretazioni costituzionalmente orientate, delle quali sarebbe lungo l’elenco. Basti qualche significativo esempio, come la creazione della norma che riconosce copertura assicurativa all’infortunio sul lavoro in itinere, poi recepita dal legislatore13, la creazione della norma sulla risarcibilità del danno biologico, parimenti recepita dal legislatore14, le alterne vicende delle diverse voci di danno non patrimoniale15 e, da ultimo, la negazione del danno tanatologico ad opera delle Sezioni unite16.

  1. La giurisprudenza come ermeneutica esistenziale.

Sosteneva il compianto Angelo Lener, a dispetto dell’amaro destino rimasto punto di riferimento inamovibile in questi quaranta anni di impegno nell’informazione giuridica, che occorre sfuggire alle pulsioni di un laboratorio puramente mentale e ciò è possibile individuando un referente obiettivo, come la giurisprudenza, al fine di pervenire ad un “inquadramento ragionato e sistematico dell’informazione inteso a presentare il momento, e le linee dell’evoluzione, della realtà sociale ed istituzionale ordinata nelle forme del diritto”17.

Questa impostazione culturale consente di apprezzare il valore della giurisprudenza in quanto ‘specchio’ che, riflettendo i fatti esistenziali in modo obiettivo, ne consente quell’inquadramento ragionato e sistematico che è proprio della scienza giuridica. Si tratta di un approccio in apparenza eminentemente pratico, che però rivela un esteso impianto teorico sol che si consideri come la riflessione speculare, nella metafora che ho voluto utilizzare, semplifica concetti ben più articolati e profondi. Mi riferisco alle teorie che fanno capo alle opere di Martin Heidegger (in particolare: Sein und Zeit, Halle, 1927), donde si ricava, tra l’altro, il concetto che “essere nel mondo” (Dasein), vale a dire ‘esistere’, non consente di per sé la comprensione dei fatti che connotano l’esistenza, ma occorre un ‘linguaggio’ che possa consentire l’accesso alla comprensione, poiché “il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo”18.

I fatti esistenziali, per essere compresi, necessitano di essere raccontati ed a tale necessità risponde il linguaggio della giurisprudenza che, senza distorcerli, li prospetta nella loro crudezza oggettiva, facendone emergere l’intrinseca giuridicità, attraverso la connessione ad essi di effetti giuridici. Secondo Salvatore Pugliatti, per fatto giuridico deve intendersi “qualsiasi situazione del mondo dell’essere prevista dal diritto come causa di effetti giuridici”19.

La giurisprudenza, dunque, è il luogo privilegiato, se non vuol dirsi unico, per comprendere in modo autentico la giuridicità dei fatti nella loro genesi ontoesistenziale20. In tal senso essa è un linguaggio ed assolve ad una funzione ermeneutica che, nelle incertezze dell’evoluzione ordinamentale, allorché sembra che non possa trovarsi riparo alla caducità delle norme, può rivelarsi persino un ancoraggio salvifico21.

  1. Chiosa a chiusa.

L’esistenza è costituita dai fatti della vita che il linguaggio poetico riesce a descrivere con sublime sintesi. Eugenio Montale22 li paragona ai “cocci aguzzi di bottiglia” posti sulla sommità di un rovente muro d’orto, il cui “seguitare” fa “sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio”. A questa percezione globale, complessiva e tendenzialmente pessimistica, la giurisprudenza può dare una risposta, tutt’altro che semplicisticamente ottimistica, ma realistica, nel fare emergere nella loro oggettività la singolarità dei fatti, descrivendone analiticamente la valenza giuridica in modo da consentirne la comprensione e il governo. Ciò è possibile, però, se si posseggono le tecniche della documentazione giuridica, senza le quali anche la giurisprudenza resterebbe una inconoscibile massa informe di dati.

Nella documentazione giuridica, che a pieno titolo va oggi considerata supporto essenziale ed insostituibile della scienza giuridica, si compiono quelle alchimie ricostruttive di percorsi logici ed argomentativi, solo apparentemente tecniche (nel senso spiegato da Heidegger: “l’essenza più profonda della tecnica non è nulla di tecnico”23), attraverso le quali è possibile la comprensione dei fatti dell’esistenza.

Oggi l’ermeneutica giurisprudenziale non può prescindere da questa tecnica che ritrova la propria essenza in “nulla di tecnico” e che, a sua volta, non può fare a meno della scienza giuridica correndo, altrimenti, il rischio di incorrere nell’errore che il genio umano ha riconosciuto e condannato da sempre: “quelli che usano la pratica senza la scienza sono come i nocchieri che entrano in naviglio senza timone o bussola”24.

L’intreccio fra scienza e tecnica costituisce il banco di prova per i giuristi dell’età post-moderna, nella quale sembrano saltare tutti gli ancoraggi di tipo dogmatico cui si è affidata la certezza del diritto in passato. L’approccio deve essere necessariamente di tipo epistemologico ed educativo25, per scongiurare il rischio di non riuscire più a distinguere il caos del mondo dalle ordinate forme del diritto e per consentire alla giurisprudenza di continuare ad elaborare efficacemente i canoni ermeneutici dell’esistenza.

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Note

1 Cfr. il sito www.bitinia.com/uniroma3/

2 Si veda, in motivazione, Cass. 13 giugno 2014 n. 13537, in «Foro it»., 2014, I, coll. 2470 segg., con nota di R. PARDOLESI, nella quale si segnala che la giurisprudenza di legittimità prodottasi negli ultimi cinquant’anni sull’applicazione, al risarcimento danni da morte, del principio della compensatio lucri cum damno, si fonda tutta su una sentenza capostipite, Cass. 7 febbraio 1958 n. 370, che non riguardava il problema.

3 Cfr. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Esi Napoli, 2006, p. 564.

4 Cfr. G. GORLA, Dans quelle misure la jurisprudence et la doctrine sont-elles des sources du droit?, in «Foro it.», 1974, V, coll. 241 segg., nonché Postilla sull’uniforme interpretazione della legge e i tribunali superiori, id., 1976, V, col. 129 segg.

5 Cfr. A. PIZZORUSSO, Delle fonti del diritto, in Commentario Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1977, p. 22 e 535.

6 Cfr. P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit.

7 Cfr. R. RORDORF, Stare decisis: osservazioni sul valore del precedente giudiziario nell’ordinamento italiano, in «Foro it.», 2006, V, coll. 279 segg.

8 Cfr. G. COSTANTINO, Gli orientamenti della Cassazione su mutamenti di giurisprudenza e affidamento incolpevole, id., 2011, V, coll. 150 segg.

9 Cfr. S. PATTI, L’interpretazione, il ruolo della giurisprudenza e le fonti del diritto privato, id., 2014, V, coll. 114 segg.

10 Cfr. G.M. BERRUTI, La giurisprudenza fra autorità e autorevolezza:la dottrina delle Corti, id., 2013, V, coll. 181 segg.; C.M. BARONE, Dottrina delle Corti e funzione nomofilattica, ibid., coll. 184 segg.

11 Cfr. D. DALFINO, Ragionevole durata, competitività del processo del lavoro ed effettività della tutela giurisdizionale, id., 2009, V, coll. 180 segg.

12 Su cui si veda A. PROTO PISANI, Giusto processo e giustizia civile nella giurisprudenza della Cassazione, id., 2013, V, coll. 1 segg.

13 Sia consentito il rinvio a V. FERRARI, Ontologia dell’infortunio in itinere, id., 2012, I, coll. 2296 segg.

14 Per riferimenti v. Corte cost. 16 ottobre 2014 n. 235, id., 2014, I, coll. 3345 segg., con nota di A. PALMIERI.

15 Cfr. Cass. 3 ottobre 2013, n. 22585, id., 2013, I, coll. 3433 segg., con note di A. PALMIERI-R. PARDOLESI, Il ritorno di fiamma del danno esistenziale (e del danno morale soggettivo): l’incerta dottrina della Suprema corte sull’art. 2059 c.c., e di G. PONZANELLI, Nomofilachia tradita e le tre voci di danno non patrimoniale; annotata altresì da P.G. MONATERI, L’ontologia dei danni non patrimoniali, in «Danno e resp.», 2014, p. 55; P. RUSSO, La Cassazione e l’anno d’oro del danno esistenziale, in «Resp. civ.», 2014, p. 103.

16 Sent. 22 luglio 2015 n. 15350, in «Foro it.», 2015, I, coll. 2682 segg., con note di A. PALMIERI – R. PARDOLESI,  Danno da morte: l’arrocco delle sezioni unite e le regole (civilisti­che) del delitto perfetto; R. CASO, Le sezioni unite negano il danno da perdita della vita: giorni di un futuro passato; R. SIMONE, La livella e il (mancato) riconosci­mento del danno da perdita della vita: le sezioni unite tra principio di inerzia e buchi neri dei danni non compen­satori.

17 A. LENER, La cultura delle riviste di giurisprudenza, in «Foro it.», 1983,V, coll. 269 segg.

18 M. HEIDEGGER, Lettera sull’umanesimo, trad. it. a cura di F.Volpi, Milano, 1987, p. 267.

19 S. PUGLIATTI, I fatti giuridici, Messina, 1945, p. 3.

20 Cfr. S. COTTA, Il diritto nell’esistenza, Milano, 1991, p. 65.

21 Cfr. N. IRTI, Nichilismo giuridico, Bari, 2004, e ID., Il salvagente della forma, Bari, 2007.

22 Meriggiare pallido e assorto. In Ossi di seppia, 1924.

23 M. HEIDEGGER, La questione della tecnica, trad. it. in Saggi e discorsi, 1976.

24 LEONARDO DA VINCI, Trattato della pittura. Parte seconda. 77 (1651), pubblicato da Newton & Compton Editori, 1996.

25 Sia consentito il rinvio a V. FERRARI, Una pedagogia per l’insegnamento del diritto privato, in «Foro it.», 2015, V, col. 401.

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