di Vincenzo Ferrari

Nota a Cassazione – sezione lavoro – ordinanza 3 febbraio 2023, n. 3366, pubblicata in “Il Foro italiano”, 2023, I, 732

Principio affermato dalla Suprema Corte: “In applicazione del canone logico-sistematico di cui all’art. 1363 c.c., l’art. 54 del c.c.n.l. lavoro idraulico-forestale e idraulico-agrario 2010-2012, prevedendo che ai lavoratori che utilizzino il proprio mezzo di trasporto allo scopo di raggiungere il posto di lavoro spetti un rimborso chilometrico, testualmente affermandone la natura di «mera restituzione di somme anticipate dal lavoratore per conto del datore di lavoro», va interpretato superando l’espressione letterale del testo e qualificando tali somme, erogate in misura fissa e continuativa, come indennità di natura retributiva”.

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La fattispecie concreta vagliata dall’ordinanza n. 3366 del 2023, attenendo ad una indennità della quale le parti stipulanti hanno concordato la funzione di «rimborso e mera restituzione di somme anticipate», viceversa qualificata giudizialmente di natura retributiva, induce ad interrogarsi sulla validità del canone ermeneutico applicato dalla Suprema corte per giungere all’individuazione di una «comune intenzione delle parti» manifestamente diversa da quella palesata nel testo della norma, utilizzando il contesto delle norme di autonomia collettiva in cui essa si colloca.

La giurisprudenza di legittimità antecedente alla modificazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. — novellato parificando la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro a quella delle norme di diritto (art. 2 d.leg. 2 febbraio 2006 n. 40) — riservava al giudice del merito il compito di interpretare le norme contrattuali e consentiva il ricorso in Cassazione — oltre che per vizio motivazionale nei limiti posti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. — solo per violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli art. 1362 ss. c.c. (cfr. Cass. 7 gennaio 2004, n. 47, Foro it., 2004, I, 1796, con nota di richiami).

Dopo la novella legislativa, che ulteriormente ha previsto, a pena di improcedibilità, l’onere di deposito dei contratti e accordi collettivi di diritto privato (art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., nella formulazione di cui all’art. 7 d.leg. 2 febbraio 2006 n. 40), la giurisprudenza si è orientata a ritenere, per un verso, che l’onere ha per oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive su cui il ricorso si fonda, ma anche il testo integrale del contratto o accordo collettivo nazionale contenente tali disposizioni (cfr. sez. un. 23 settembre 2010, n. 20075, id., 2011, I, 2446, con nota di Laddomada, e Mass. giur. lav., 2011, 284, con nota di Vallebona; Lavoro giur., 2011, 378, con nota di Barracca; Riv. dir. proc., 2011, 718, con nota di Guarnieri) e, per l’altro, che l’interpretazione delle clausole contrattuali debba assurgere, pur basandosi sugli art. 1362 ss. c.c., a criterio interpretativo diretto e non più a canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione (cfr. Cass. 19 marzo 2014, n. 6335, Foro it., Rep. 2014, voce Cassazione civile, n. 91; 7 maggio 2013, n. 10559, ibid., n. 95, e Riv. giur. lav., 2014, II, 493, con nota di Trisorio Liuzzi).

Il tema dell’interpretazione dei contratti collettivi ha quindi conosciuto, dopo l’entrata in vigore del d.leg n. 40 del 2006, un percorso argomentativo diverso da quello che la giurisprudenza continua ancora oggi ad affrontare con riferimento alla complessa tematica del rapporto tra i criteri soggettivi di interpretazione dei contratti individuali, fornendo risposte oscillanti al quesito se l’interpretazione letterale sia da sola sufficiente o se, invece, si ponga in relazione di complementarietà con il criterio sistematico.

Il problema che la giurisprudenza non ha univocamente risolto, con riferimento ai contratti individuali, risiede nella valenza da riconoscere al tenore letterale della clausola che risulti, almeno apparentemente, bastevole a comprendere la volontà dei contraenti, posto che l’art. 1362 c.c. onera l’interprete di «indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole».

Cass. 5 maggio 2022, n. 14320, Foro it., 2022, I, 2419, con nota di Orlando, affrontando la controversa questione del quando l’operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente e definitivamente conclusa, nega che ciò corrisponda alla sufficiente chiarezza dell’interpretazione letterale. Mentre Cass. 20 maggio 2022, n. 16351, ForoPlus, e Diritto & giustizia, 2022, con nota di Tencati, afferma che ai fini dell’interpretazione del contratto rileva il senso letterale delle parole e solo se esso risulti ambiguo può farsi ricorso agli strumenti interpretativi contemplati agli art. 1362 ss., per cui si dovrebbe fare riferimento al significato letterale delle espressioni usate e quando esso risulti univoco non sarebbe consentito il ricorso ad ulteriori criteri interpretativi. Tali criteri esplicherebbero, dunque, solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui una clausola si presti a diverse e contrastanti interpretazioni (cfr. Cass. 11 marzo 2014, n. 5595, Foro it., Rep. 2014, voce Contratto in genere, n. 347, e Nuova giur. civ., 2014, I, 616, con nota di Corallo).

In tema di interpretazione del contratto collettivo, viceversa, viene univocamente affermata la necessità di procedere, ai sensi dell’art. 1363 c.c., al coordinamento delle varie clausole contrattuali anche quando l’interpretazione possa essere compiuta sulla base del senso letterale delle parole senza residui di incertezza, poiché l’espressione «senso letterale delle parole» deve intendersi come riferita all’intera formulazione letterale della dichiarazione negoziale e non limitata ad una parte soltanto qual è una singola clausola del contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e confrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato, tenendo altresì conto del comportamento, anche successivo, delle parti (cfr. Cass. 28 novembre 2019, n. 31153, ForoPlus; 19 settembre 2014, n. 19779, Foro it., Rep. 2014, voce Lavoro (contratto), n. 39; 17 febbraio 2010, n. 3685, id., Rep. 2010, voce cit., n. 39).

La divergenza, pur trattandosi sempre di applicare le regole di ermeneutica contrattuale dettate dal codice civile, trova origine nell’introduzione della possibilità di ricorre in Cassazione per violazione di contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (resta riservata al giudice di merito l’interpretazione di contratti e accordi aziendali, sindacabili in sede di legittimità soltanto con riguardo ai vizi di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: v. Cass. 20 febbraio 2020, n. 4460, id., Rep. 2020, voce Cassazione civile, n. 67; 4 febbraio 2010, n. 2625, id., Rep. 2010, voce Lavoro (rapporto), n. 867, ma di diverso avviso è Cass. 23 maggio 2019, n. 14060, id., Rep. 2020, voce Cassazione civile, n. 47, e Riv. giur. lav., 2019, II, 613, con nota di Boccafurni). Tuttavia, la novellazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ha equiparato solo sul piano processuale la norma contrattuale collettiva alla norma di legge, impedendone l’assoggettamento sostanziale all’art. 12 disp. prel. c.c. finanche per gli accordi collettivi nazionali sottoscritti dall’Aran (cfr. Cass. 5 maggio 2005, n. 9342, Foro it., Rep. 2006, voce Impiegato dello Stato, n. 905), relativamente ai quali le sezioni unite hanno escluso che sussista l’onere di deposito integrale, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., ritenendoli soggetti al principio «iura novit curia» (v. sent. n. 20075 del 2010, cit.; 5 marzo 2019, n. 6394, id., Rep. 2019, voce Lavoro (contratto), n. 36; 16 settembre 2014, n. 19507, id., Rep. 2015, voce cit., n. 36).

Nella contrattazione collettiva la comune volontà delle parti contrattuali non sempre è agevolmente ricostruibile attraverso il mero riferimento al senso letterale delle parole, atteso che la natura di detta contrattazione, spesso articolata in diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale, ecc.), la vastità e la complessità della materia trattata in ragione della interdipendenza dei molteplici profili della posizione lavorativa, il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali non necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il carattere vincolante che non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi, costituiscono elementi tutti che rendono indispensabile nella materia della contrattazione collettiva un’utilizzazione dei generali criteri ermeneutici che di detta specificità tenga conto, con conseguente assegnazione di un preminente rilievo al canone interpretativo dettato dall’art. 1363 c.c. (v. Cass. n. 31153 del 2022, cit.; 12 luglio 2010, n. 16295, id., Rep. 2011, voce cit., n. 95). Specificità derivante anche dalla possibilità che insorga contrasto tra contratti collettivi di diverso ambito territoriale, con conseguente necessità di darvi soluzione senza potere ricorrere ai principi di gerarchia e di specialità propri delle fonti legislative, ma desumendo l’effettiva volontà delle parti sociali attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutte pari dignità e forza vincolante (cfr. Cass. 2 marzo 2021, n. 5651, id., Rep. 2021, voce cit., n. 32; 18 maggio 2010, n. 12098, id., Rep. 2011, voce cit., n. 96).

Come per tutte le tipologie di contratti di diritto comune, anche per i contratti collettivi l’interpretazione deve intercettare, come statuisce l’art. 1362 c.c., «la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole», però la struttura della contrattazione impone all’interprete di indagarne la consistenza, in base al criterio fissato dall’art. 1363 c.c., dando prioritario rilievo al contesto complessivo rispetto al testo della singola clausola. A tale principio nomofilattico si è conformata la decisione in epigrafe, facendo prevalere la logica del contesto sull’espressione letterale del testo e confermando non esser vero che «in claris non fit interpretatio»: et in claris interpretatio necesse est!

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