di Vincenzo Ferrari

Nota redazionale – Nota a Cassazione, sezione lavoro, sentenza 13 ottobre 2015, n. 20540, pubblicata in Foro italiano, 2015, I, 3832.

La questione che si pone, mentre in dottrina si anima un vivace dibattito destinato ad incrementarsi quotidianamente con prese di posizione le più disparate, attiene al significato, sul piano della semantica giuridica, dell’espressione “insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore”, enunciata dall’art. 3, 2° comma, d. leg. 4 marzo 2015 n. 23, per tipizzare l’unica ipotesi di “fattispecie di licenziamento disciplinare” (a fronte del plurale adoperato dall’art. 7, lett. c, legge delega 10 dicembre 2014 n. 183: “specifiche fattispecie”) nella quale è previsto il diritto alla reintegrazione. Il legislatore delegato del c.d. Jobs Act riconnette l’operare di un meccanismo sanzionatorio di tipo rispristinatorio-risarcitorio, in luogo di quello puramente indennitario introdotto innovativamente per la generalità dei casi di licenziamento disciplinare illegittimo, alla dimostrazione in giudizio dell’insussistenza del “fatto materiale” oggetto di contestazione1.

Il concetto di “fatto materiale” sta assumendo, nel proliferare del dibattito, una valenza semantica divergente dalla nozione di “fatto giuridico”, anche perché l’aggettivazione introdotta dal legislatore delegato non ha inciso parimenti sull’enunciato di “fatto contestato”, senza aggettivazioni, che permane nell’art. 18, 4° comma, legge n. 300/1970 come modificato dalla riforma Fornero2.

E’ stato rilevato che la locuzione, tuttavia, non può definirsi originale3. Sembrerebbe che il legislatore delegato abbia parafrasato quanto emerge da un obiter dictum di Cass. 6 novembre 2014 n. 236694, nella cui motivazione si fa riferimento alla materialità del fatto disciplinare per tenerlo distinto dalla sua qualificazione come giusta causa o giustificato motivo. Nella giurisprudenza di merito, ante d. leg. 23/2015, si è sostenuto che il fatto contestato, la cui insussistenza comporta l’applicazione dell’art. 18, 4° comma, legge 300/1970, va inteso con riferimento non solo alla sua componente oggettiva (fatto materiale) ma anche a quella soggettiva (fatto giuridico) comprensiva della valutazione in ordine al dolo o alla colpa del lavoratore e alla proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione5.

La sentenza in epigrafe, sia pure con motivazione estremamente sintetica sul punto, prende posizione nettamente a favore della tesi secondo cui l’irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale. E’ prevedibile che il dictum della sezione lavoro, autorevole e icastico (“non è plausibile che il legislatore, parlando di «insussistenza del fatto contestato», abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità”), rinfocolerà ulteriormente il dibattito dottrinale sulla distinguibilità tra fatto “nudo e crudo”6 e qualificazione giuridica dello stesso fatto7.

La distinzione tra “fatto materiale” e “fatto giuridico” non si ritrova nelle teorie generali8, essendo il tema del “fatto giuridico” discettato fin dall’origine9 sotto il profilo del legame tra fatto e vicenda, per essere poi ricondotto nell’ambito della fattispecie10. E’ nota, poi, la definizione del fatto giuridico come “qualsiasi situazione del mondo dell’essere prevista dal diritto come causa di effetti giuridici”11, diffusamente tradotta, in ambito manualistico, nel concetto di fatto giuridicamente rilevante.

La dottrina lavoristica non è refrattaria a tale impostazione12, tuttavia propende per una concezione della rilevanza giuridica legata alla distinzione tra fatto e valutazione13, dando rilievo al fatto nella sua rilevanza disciplinare, se accaduto veramente e commesso dal lavoratore14, sicché il fatto deve ritenersi insussistente, non solo quando non è accaduto, ma anche quando sia accaduto e non sia stato commesso dal lavoratore o non gli sia comunque imputabile.

Con questa concezione si confronta la intentio legis dell’art. 3, 2° comma, d. leg. 4 marzo 2015 n. 23, chiaramente informata a rendere certa la fattispecie disciplinare alla quale, nella generalizzata regressione verso tutele di tipo indennitario, è stata riservata la tutela di tipo ripristinatorio-risarcitorio. Certezza che potrebbe risultare minata, nei sottesi timori del legislatore, dall’indulgere verso opzioni interpretative (dei giudici del lavoro) che prendessero in considerazione elementi valutativi ulteriori rispetto al dato puramente fenomenico definito, nel linguaggio adoperato dalla norma, come “fatto materiale”. La riprova di tale accezione semantica si ha ponendo attenzione alla precisazione con cui la norma circoscrive la fattispecie, prevedendo che la dimostrazione dell’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore debba rimanere avulsa da “ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento”.

La norma, di tutta evidenza, è un corollario del nuovo teorema sui licenziamenti confezionato dal legislatore che, attraverso il superamento della dialettica fra tutela reale e tutela obbligatoria articolatasi in oltre quaranta anni di giurisprudenza, predica la generale tutela indennitaria contro i licenziamenti illegittimi, con specifiche eccezioni che, confermando la regola generale, devono ritenersi di stretta interpretazione.

Il problema non è terminologico, ma ermeneutico.

Quando e quanto la norma possa reggere sul piano dei principi costituzionali e comunitari di ragionevolezza e proporzionalità, è tutto da verificare, pur considerando che il giudice delle leggi, in sede di decisione di ammissibilità del referendum sull’art. 18 legge 300/1970, ha affermato che la tutela reale, per quanto espressiva di esigenze ricollegabili a principi costituzionali (art. 4 e 35 Cost.) che hanno portato, nel tempo, ad introdurre temperamenti al potere di recesso del datore di lavoro, secondo garanzie affidate alla discrezionalità del legislatore, non può considerarsi l’unico possibile paradigma attuativo dei principi medesimi15.

Sul piano della semantica giuridica, le locuzioni “fatto materiale” e “fatto giuridico” non esprimono alcuna dicotomia di concetti, bensì un’endiadi con la quale vengono descritte le sfaccettature di un medesimo fenomeno: il “fatto” nei due versanti (esistenziale e giuridico) che si compenetrano fino ad immedesimarsi. La giuridicità del fatto è insita nella sua materialità. Ma questo, forse, il legislatore non lo sa.

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Note

1 Per un’attenta ricostruzione della norma, nel quadro delle modificazioni indotte dal Jobs Act, vedi P. CURZIO, Il licenziamento ingiustificato, in Foro it., 2015, V, 244.

2 Sul punto, cfr. R. RIVERSO, I licenziamenti disciplinari: irrazionalità normative e rimedi interpretativi, in Riv. it. dir. lav., 2013, I, 961; F.V. PONTE, L’insussistenza del fatto contestato e il giudizio di proporzionalità: elementi costitutivi della fattispecie e interpretazione del giudice alla stregua del nuovo art. 18, comma 4, legge 20 maggio 1970 n. 300, in Argomenti dir. lav., 2013, 1166.

3 Vedi M. DE LUCA, Fatto materiale e fatto giuridico nelle riforme della tutela reale contro i licenziamenti illegittimi: note minime sulla prima sentenza in materia della Corte di Cassazione, id., 2014, 1267.

4 In Foro it., 2014, I, 3418, con nota di M. DE LUCA, in Giur. it., 2014, 2788, con nota di FIORILLO, in Riv. it. dir. lav., 2015, II, 25, con nota di DEL PUNTA e MARTELLONI, in Riv. giur. lav., 2015, II, 271, con nota di CALVELLINI, in Lavoro giur., 2015, 152, con nota di BUCONI, in Lavoro e prev. oggi, 2015, 215, con nota di VICECONTE, in Dir. relazioni ind., 2015, 229, con nota di FERRANTE.

5 Cfr. Trib. Ravenna 18 marzo 2013, Foro it., Rep. 2013, voce Lavoro (rapporto), n. 1322, in Argomenti dir. lav., 2013, 1166, con nota di PONTE, in Lavoro giur., 2013, 567, con nota di FERRARA, in Riv. critica dir. lav. privato e pubbl., 2013, 163, con nota di PIRONTI, in Riv. giur. lav., 2014, II, 127, con nota di TALARICO, in Dir. relazioni ind., 2013, 789, con nota di DEL FRATE.

6 Espressione di F. CARINCI, Il licenziamento disciplinare all’indomani del d. lgs. n. 23/2015, W.P.C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”. IT, 23/2015.

7 Distinguibilità che ritiene assoluta A. VALLEBONA, Breviario di diritto del lavoro, Torino, 2012, 358, ma che nega V. SPEZIALE, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, in Riv. it. dir. lav., 2012, I, 535.

8 Per una esaustiva disamina, vedi R. SACCO, con la collaborazione di P. CISIANO, Il Fatto, L’Atto, Il Negozio, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Torino, 2005, 7 seg.

9 Cfr. von SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, III, trad. it. di V. Scialoja, 1891, 104.

10 F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, IX edizione, rist. 1983, 103 seg.

11 Vedi S. PUGLIATTI, I fatti giuridici, revisione e aggiornamento di A. Falzea con prefazione di N. Irti, Milano, 1996, 3.

12 Cfr. M. PERSIANI, Il fatto rilevante per il lavoratore illegittimamente licenziato, in Argomenti dir. lav., 2013, 1.

13 Cfr. A. PERULLI, Fatto e valutazione giuridica del fatto nella nuova disciplina dell’art. 18 St. Lav.: ratio ed aporie dei concetti normativi, id., 2012, 794.

14 Cfr. G. SANTORO PASSARELLI, Diritto dei lavori, Torino, 2014, 367.

15Vedi Corte cost. 7 febbraio 2000 n.46, in Foro it., 2000, I, 699, con nota di ROMBOLI, e ibid., 1402, con nota di DE LUCA; in Giur. it., 2000, 1548, con nota di DE FIORES; in Mass. giur. lav., 2000, 376, con nota di RENDINA; in Riv. critica dir. lav., 2000, 85, con nota di FEZZI; in Nuove autonomie, 2000, 75, con nota di TERESI.

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