di Onofrio Massarotti

Sommario

  • 1 . Dalla sentenza n.120 del 13 giugno 2018 della Corte Costituzionale poco o nulla è cambiato

  • 2 . Una libertà sindacale che ricalca la norma sulla Rappresentanza Militare

    • 2.1 La Rappresentanza Militare in dettaglio

    • 2.2 L’Associazionismo professionale a carattere sindacale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento militare

  • 3 . Rilievi critici e possibili soluzioni

Lo scritto si sofferma sulla nota sentenza n. 120 del 2018 della Corte Costituzionale ed il rapporto tra la persistente Rappresentanza Militare e le Associazioni professionali a carattere sindacale nate a seguito della recente legge 28 aprile 2022 n. 46, esaminando in dettaglio le prerogative di entrambe, i loro punti comuni e le criticità.

1. Dalla sentenza n. 120 del 13 giugno 2018 della Corte Costituzionale poco o nulla è cambiato.

Il 13 giugno del 2018, con la oramai nota Sentenza n. 120, la Consulta dichiarava l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 1475 del Codice dell’Ordinamento Militare nella parte in cui prevedeva il divieto per i militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale, estendendo di fatto anche agli appartenenti alle Forze armate e ai Corpi di polizia ad ordinamento militare (c.d. pubblico impiego non privatizzato) il diritto di costituirle, seppur con alcune limitazioni.

Prima di analizzare nel dettaglio quali siano queste limitazioni, occorre preliminarmente precisare che le Amministrazioni Statali militari, a differenza di quelle civili disciplinate dal D. Lgs. 165 del 2001 – Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche – sono regolamentate da una normativa speciale: il D. Lgs. 66 del 2010 – Codice dell’Ordinamento Militare (C.O.M.) – e il D.P.R. 90 del 2010 – Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (T.U.R.O.M.) –.

Questi ultimi costituiscono il complesso quadro normativo che impone al militare rigidi doveri e specifiche limitazioni, che si estendono anche alla vita privata e familiare del cittadino in uniforme.

I tre capisaldi su cui si fonda il rapporto di lavoro del personale militare sono: la disciplina militare, il principio gerarchico ed il dovere di obbedienza.

In particolare:

1. l’articolo 1346 C.O.M. delinea i tratti caratteristici della disciplina militare che si sostanziano nell’osservanza consapevole delle norme attinenti lo stato di militare determinandone le posizioni reciproche del superiore e dell’inferiore, le loro funzioni, i loro compiti e le loro responsabilità;

2. l’articolo 626 C.O.M. traccia, invece, l’organizzazione verticistica delle Amministrazioni militari prevedendo una scala gerarchica all’interno della quale ciascun militare ricopre una posizione specifica caratterizzata da un rigido principio gerarchico dal quale deriva il rapporto di subordinazione ed il dovere dell’obbedienza;

3. l’articolo 1347 C.O.M., infine, definisce il dovere all’obbedienza come quel dovere che incombe su tutti i militari nell’eseguire gli ordini attinenti al servizio ed alla disciplina con prontezza, rispetto e lealtà.

In effetti, l’ordine stabilisce all’interno dell’organizzazione militare il rapporto di gerarchia tra chi lo impartisce ed il suo destinatarioi: non ha alcuna rilevanza la forma e l’unica certezza è rappresentata dall’impossibilità del destinatario di optare per un comportamento diverso da quello impostogli. L’ordine, difatti, rappresenta una deroga al principio generale secondo cui nella Pubblica Amministrazione ci si esprime esclusivamente per atti scritti. È un atto amministrativo sui generis che non subisce l’applicazione dei principi generali dell’economicità, imparzialità, pubblicità, trasparenza e obbligo di motivazione per come stabilito dall’art. 1349 del C.O.M.; l’unico limite che incontra è quello della legalitàii ovvero il c.d. ordine illegittimoiiiiv. Il militare pertanto ha il “dovere” di eseguire gli ordini del superiore e la mancata esecuzione degli stessi, così come ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina militare, costituiscono quelli che l’articolo 1352 C.O.M. definisce come illeciti disciplinari.

Per come inizialmente accennato, con l’acquisizione dello status militisv ogni militare è assoggettato ad una rigida disciplina che impone il rispetto di notevoli obblighi e limitazioni che investono anche la vita privatavi. Questi vengono imposti per una moltitudine di motivazioni: dalla tutela del decoro dell’istituzione al mantenimento della coesione interna. Non è azzardato chiedersi se il riconoscimento dei diritti fondamentali alle forze armate ed alle forze di polizia ad ordinamento militare possa in qualche modo minarli mettendo a repentaglio la sicurezza nazionale.

Tra le limitazioni che rivestono particolare interesse c’è sicuramente quella relativa al diritto di “riunione”, riconosciuto dall’art. 17 Cost.: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi […]” e che in ambito militare è disciplinato dall’art. 1470 del C.O.M. che, al comma 1°, lo vieta negli ambienti militari e di servizio eccezion fatta per le riunioni previste per il funzionamento degli organi di rappresentanza che vengono comunque concordate ed autorizzate dai comandanti competenti. Il 2° comma vieta, invece, le assemblee e le adunanze di militari che si qualificano esplicitamente come tali e che siano svolte in uniforme al difuori dei luoghi militari o degli spazi destinati al servizio. Tale divieto, riscontrabile anche all’articolo 184 del Codice Penale Militare di Pace, è stato oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali. In un’ordinanza del 12 gennaio 1988 il Tribunale militare territoriale di Padova affermava che “le riunioni militari in caserma apparissero strumento pressoché indispensabile alla proposizione di istanze collettive, attività queste che, secondo la sentenza n. 126 del 1985 della Corte, sono state riconosciute lecite in quanto espressione dell’art. 21 Cost. (Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione) e perdipiù promozionali dello sviluppo in senso democratico dell’ordinamento delle Forze armate ai sensi dell’art. 52 ult. Co. Cost. (L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica)”.

Un altro diritto inviolabile che non viene riconosciuto ai militari è il “diritto di sciopero” previsto dall’art. 40 Cost. in relazione al quale la Consulta, nella sentenza sopra citata, si esprimeva così sul suo diniego alle forze armate: “[…]si tratta indubbiamente di una incisione profonda su di un diritto fondamentale, affermato con immediata attuazione dall’art. 40 Cost. e sempre riconosciuto e tutelato da questa Corte, ma giustificata dalla necessità di garantire l’esercizio di altre libertà non meno fondamentali e la tutela di interessi costituzionalmente rilevanti […]”. Occorre precisare che rispetto a tale diritto vi è un ampio consenso circa l’inopportunità dell’esercizio dello stesso in capo ai militari.

Per come accennato in precedenza l’articolo 21 Cost. individua la libertà di manifestazione del proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, ed anche in questo, il militare si differenzia da tutti gli altri cittadini e dipendenti pubblicivii. Difatti l’articolo 1472 del C.O.M. afferma che: “I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione […]. Resta fermo il divieto di propaganda politica”. Per come si evince, la cornice entro la quale il militare può manifestare il proprio pensiero è delineata da tutto ciò che non attiene il “c.d. segreto militare” che, non essendo individuabile attraverso criteri predeterminati, fa sì che la selezione delle notizie sia sottoposta, anche in questo caso, all’arbitrario e rigido filtro dell’autorizzazione gerarchica.viii ix

Ulteriore limite è poi rappresentato dal divieto di esercizio delle libertà in ambito politico x disposto dal 2° comma dell’art. 1483 C.O.M.: “Ai militari è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni, sindacati e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, sindacati, organizzazioni politiche o candidati a elezioni politiche e amministrative.” Tale assunto, unito all’articolo 81, comma 2, della Legge 1° aprile 1981, n. 121: “Gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative non possono prestare servizio nell’ambito della circoscrizione nella quale si sono presentati come candidati per un periodo di tre anni dalla data delle elezioni stesse”, rappresenta un palese affievolimento anche del diritto all’elettorato passivoxi. Difatti, tali imposizioni normative vietano al cittadino in divisa di continuare a prestare servizio nella circoscrizione elettorale nella quale si è presentato addirittura anche in caso di non elezione oltre al relativo divieto a non poter esserci trasferito non prima di tre anni dalla data della competizione elettorale. Tale restrizione, prevista anche in questo caso esclusivamente per gli uomini in divisa e per nessun altro cittadino e dipendente pubblico, produce, nella maggior parte dei casi, la rinuncia alla candidatura da parte del militare per evitare i disagi scaturenti da un suo trasferimento dalla sede di servizio o per la mancata accoglienza dello stesso per un periodo non inferiore ai tre anni, anche in caso di non avvenuta elezione alla carica politica.

Difatti, è proprio il trasferimento della sede di servizio a destare maggiori timori tra il personale militare, specie tra chi è chiamato a svolgere attività di rappresentante militare.xii

A tal proposito occorre fare un distinguo tra il “trasferimento d’autorità” avviato d’ufficio e diretto a soddisfare l’interesse dell’Amministrazione ed il “trasferimento ad istanza di parte” nel quale si persegue esclusivamente il soddisfacimento delle necessità personali e familiari del richiedente rispetto alle quali l’unico limite è quello “dell’incompatibilità” rispetto ai canoni di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazionexiii. Anche in questo caso, nei confronti dei militari, questi canoni vengono adoperati con una rigidità non rinvenibile in altre amministrazioni pubbliche.

2. Una libertà sindacale che ricalca le norme della Rappresentanza Militare.

2.1. La Rappresentanza Militare in dettaglioxiv.

Occorre partire dalle prerogative della Rappresentanza Militare, introdotta con la legge 382 del 1978 –Norme di principio sulla disciplina militare – successivamente abrogata ed attualmente regolata dagli art. 1476 e ss. del D. Lgs. 15 marzo 2010 n. 66 – Codice dell’Ordinamento Militare – con la finalità di portare all’attenzione dei livelli superiori le problematiche del personale fornendo un contributo alla definitiva volontà decisionale del rispettivo comandantexv.

La Rappresentanza Militare si basa su tre livelli organizzativi:

  1. Il COCER (Consiglio Centrale di Rappresentanza) è un organismo a carattere nazionale ed interforze formato da ufficiali, marescialli/ispettori, sergenti/sovrintendenti, graduati/ militari di truppa, aventi il compito di formulare pareri, proposte e richieste sulle materie che formano oggetto di norme legislative e regolamentari oltre a trattare le istanze portate all’attenzione da un COIR;

  2. I COIR (Consigli Intermedi di Rappresentanza) intervengono invece su questioni non risolte dal livello di base o su quelle che devono essere portate all’attenzione del COCER coordinando questioni di carattere locale che interessano più COBAR;

  3. I COBAR (Consigli di Base di Rappresentanza) sono organismi collocati presso le unità di base ed affiancati ad un’autorità gerarchica con competenza a deliberare in ordine a problemi collettivi di carattere locale.

Tutti i militari in forza presso le unità di base, con voto diretto, nominativo e segreto, eleggono i rappresentanti dei COBAR. Questi eleggono poi i membri dei corrispondenti COIR che, a loro volta, eleggono i membri del COCER. Il delegato più elevato in grado o più anziano di ciascun organo di rappresentanza assume l’incarico di presidente.

Gli organi di rappresentanza si riuniscono nelle ore di servizio: i COBAR almeno una volta al mese, i COIR almeno una volta ogni due mesi ed il COCER ogni tre mesi (art. 911 T.U.R.O.M.) e sono competenti relativamente a:

  1. Conservazione dei posti di lavoro durante il servizio militare, qualificazione professionale, inserimento nell’attività lavorativa di coloro che cessano dal servizio militare;

  2. Provvidenze per gli infortuni subiti e per le infermità contratte in servizio per cause di servizio;

  3. Integrazione del personale femminile;

  4. Attività assistenziali, culturali, ricreative, di educazione civica e di promozione sociale, anche a favore dei familiari;

  5. Organizzazione delle sale convegno e delle mense;

  6. Condizioni igienico-sanitarie;

  7. Alloggi.

Solo il COCER può formulare pareri e proposte circa la condizione, il trattamento, la tutela di natura giuridica, economica, previdenziale, sanitaria, culturale e morale dei militari con esclusione delle materie concernenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale (art. 878 T.U.R.O.M.).

È proprio questo divieto a rappresentare la prima grande debolezza della Rappresentanza Militare giacché il non poter intervenire su aspetti che rappresentano il cuore pulsante dell’organizzazione militare impatta sull’efficacia della rappresentanza stessa, ponendo anche problemi di tenuta del sistema sul piano costituzionale.

Un altro limite dei Rappresentanti Militari è caratterizzato dalla loro totale assenza di indipendenza e autonomia nell’esercizio del proprio mandato che è fortemente condizionato dagli obblighi imposti dall’art. 882 del T.U.R.O.M.: “L’esercizio del mandato è limitato alle attività previste dal regolamento e non sottrae i delegati ai diritti ed ai doveri derivanti dal proprio stato militare”.

Ancora, sempre sul piano dell’effettività della rappresentanza sindacale, c’è il problema dell’impossibilità per gli organi di auto organizzarsi o di scegliere il proprio presidente che è difatti individuato, come detto, nel più alto in grado.

Occorre precisare che il mandato conferito al delegato con la proclamazione degli eletti ha durata quadriennale salvo che non si verifichino una delle seguenti situazioni: cessazione dal servizio, passaggio ad altra categoria, trasferimento della sede di servizio in una località non più rientrante nella competenza dell’organismo di rappresentanza di appartenenza, perdita di uno o più requisiti di eleggibilità o a causa di un’azione disciplinare. Quest’ultimo aspetto rappresenta un ulteriore punto debole: è sufficiente un’azione disciplinare ad iniziativa del CUB (Comandante dell’Unità di Base, ossia il Datore di Lavoro con cui si dovrebbero confrontare durante il mandato) sia per escluderli dalla competizione elettorale e sia, cosa ancora più grave, per determinare la decadenza dall’ incarico (Art. 883 T.U.R.O.M.).

Il trasferimento del delegato, dovrebbe essere concordato tra il Comandante dell’unità di base (CUB) e l’organismo di rappresentanza interessato che può esprime un parere a carattere “non vincolante” per l’Amministrazione che pertanto, in caso di mancata scelta condivisa, decide in autonomia.

Per come è facilmente intuibile, quello del trasferimento è un aspetto molto importante per gli uomini in divisa, specie per quelli che ricoprono ruoli di rappresentanza. Proprio per questo motivo nelle numerose audizioni avvenute durante l’iter legislativo che ha portato all’approvazione della legge sull’Associazionismo professionale a carattere sindacale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento militare, l’argomento trasferimento del dirigente sindacale è stato considerato particolarmente divisivo e il risultato finale non è certamente soddisfacente.

In definitiva possiamo affermare che le Rappresentanze militari sono organismi il cui funzionamento rimane ispirato al principio gerarchico e pertanto troppo lontane da quella libertà sindacale esercitabile dagli appartenenti alla Polizia di Stato o alle altre Forze di Polizia ad ordinamento civilexvi.

Occorre però affermare che nonostante questi evidenti limiti, la Rappresentanza Militare, nelle more dell’emanazione dei tanto auspicati decreti attuativi, rappresenta l’unico strumento in grado di poter garantire le necessarie tutele al personale militare nelle materie che gli vengono demandate dall’art. 880 del T.U.R.O.M..

2.2. L’Associazionismo professionale a carattere sindacale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento militarexvii.

La legge 28 aprile 2022 n.46 attesa da decenni ed accolta come la cura a tutti i malixviii, ad oggi non ha prodotto alcun effetto in termini di tutela dei diritti dei militari per una duplice ragionexix xx.

La prima ragione affonda le radici nella tardiva emanazione dei decreti attuativi da parte del Governo; la seconda ragione riguarda il contenuto dell’impianto normativo: la nuova legge è massicciamente ispirata alla disciplina governante le Rappresentanze militari xxi.

L’art. 1 stabilisce che i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale per singola Forza armata o Forza di Polizia a ordinamento militare o interforze con adesione riservata ai soli militari in servizio con esclusione di quelli in riserva, in congedo e gli allievi delle scuole di formazione. Afferma, inoltre, che l’adesione alle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari è libera, volontaria ed individuale ed ogni appartenente alle forze armate può aderire ad una sola associazione sindacale.

L’art. 2 stabilisce, invece, i caratteri generali entro i quali operare nel rispetto dei principi di democrazia, trasparenza e partecipazione e nel rispetto dei principi di coesione interna, neutralità, efficienza e prontezza operativa delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare. Afferma inoltre che gli statuti delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari sono improntati ai seguenti principi:

  1. Democraticità dell’organizzazione sindacale ed elettività delle relative cariche, orientate al rafforzamento della partecipazione femminile;

  2. Neutralità ed estraneità alle competizioni politiche e ai partiti e movimenti politici;

  3. Assenza di finalità contrarie ai doveri derivanti dal giuramento prestato dai militari;

  4. Trasparenza del sistema di finanziamento e assenza di scopo di lucro;

  5. Rispetto degli altri requisiti previsti dalla presente legge.

Stabilisce infine che l’attività sindacale è volta a tutelare gli “interessi collettivi” degli appartenenti alle Forze armate e che tale attività non può interferire con lo svolgimento dei compiti operativi o con la direzione dei servizi.

L’art. 3 disciplina la costituzione delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari definendo il termine di cinque giorni lavorativi dalla loro costituzione entro i quali depositare il proprio statuto presso il Ministero della Difesa o dell’Economia e delle Finanze per quanto riguarda il Corpo della Guardia di Finanza. I Ministeri competenti hanno 60 giorni di tempo per accertare la sussistenza dei requisiti previsti e ne dispone l’iscrizione in apposito Albo. Al comma 2 viene inoltre stabilito un periodo di 3 anni in forza del quale il Ministero competente accerta la permanenza dei requisiti di legge delle associazioni ed introduce l’obbligo di motivazione dei provvedimenti ministeriali che neghino l’iscrizione di un’associazione o che ne dispongano la cancellazione dall’albo per contrasto con la legge, aumentando a 15 giorni il termine per le contro-osservazioni delle associazioni colpite dal provvedimento che verranno definite dal giudice amministrativo.

L’art. 4 specifica le limitazioni per le Associazioni professionali a carattere sindacale che ricalcano le orme della norma sulle Rappresentanze Militari, e sono:

  1. Assumere la rappresentanza di lavoratori non appartenenti alle Forze armate o alle Forze di polizia a ordinamento militare;

  2. Preannunciare o proclamare lo sciopero, o azioni sostitutive dello stesso, o parteciparvi anche se proclamato da organizzazioni sindacali estranee al personale militare;

  3. Promuovere manifestazioni pubbliche in uniforme o con armi di servizio o sollecitare o invitare gli appartenenti alle Forze armate o alle Forze di polizia ad ordinamento militare a parteciparvi;

  4. Assumere la rappresentanza in via esclusiva di una o più categorie di personale, anche se facenti parte della stessa Forza armata o Forza di polizia a ordinamento militare. In ogni caso la rappresentanza di una singola categoria all’interno di una associazione professionale a carattere militare non deve superare il limite del 75% dei suoi iscritti;

  5. Assumere una denominazione che richiami, anche in modo indiretto, quella di una o più categorie di personale;

  6. Assumere denominazioni o simboli che richiamino, anche in modo indiretto, organizzazioni sindacali per cui sussiste il divieto di adesione od organizzazioni politiche;

  7. Promuovere iniziative di organizzazioni politiche o dare supporto, a qualsiasi titolo, a campagne elettorali afferenti alla vita politica del Paese;

  8. Stabilire la propria sede o il proprio domicilio sociale presso unità o strutture del Ministero della Difesa e dell’Economia e delle Finanze;

  9. Aderire ad associazioni sindacali diverse da quelle costituite per legge o federarsi, affiliarsi o avere relazioni di carattere organizzativo o convenzionale, anche per il tramite di altri enti od organizzazioni, con le medesime associazioni.

L’art. 5 stabilisce che le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari curano la tutela collettiva dei diritti e degli interessi dei propri rappresentanti e che l’adesione alle associazioni non debba interferire con il regolare svolgimento dei servizi istituzionali. Inoltre ne determina le competenze – che invece in questo caso risultano troppo ridotte e troppo vicine alle prerogative concesse alle Rappresentanze Militari – relative le seguenti materie:

  1. I contenuti del rapporto di impiego del personale militare;

  2. L’assistenza fiscale e la consulenza relativamente alle prestazioni previdenziali e assistenziali a favore degli iscritti;

  3. L’inserimento nell’attività lavorativa di coloro che cessano dal servizio militare;

  4. Le provvidenze per gli infortuni subiti e per le infermità contratte in servizio e per causa di servizio;

  5. Le pari opportunità;

  6. Le misure di tutela della salute e della sicurezza del personale militare nei luoghi di lavoro;

  7. Gli spazi e alle attività culturali, assistenziali, ricreative e di promozione del benessere personale dei rappresentati e dei loro familiari.

Anche qui, al pari delle Rappresentanze Militari, si stabilisce l’esclusione dalla competenza delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari su tutte le materie riguardanti il cuore pulsante dell’ordinamento militare ovvero: la trattazione di materie afferenti l’ordinamento militare, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale nonché l’impiego del personale in servizio.

Sostanzialmente, le associazioni professionali a carattere sindacale possono solo:

  1. Presentare ai Ministeri competenti osservazioni e proposte sull’applicazione delle leggi e dei regolamenti e segnalare le iniziative di modifica da esse eventualmente ritenute opportune;

  2. Essere ascoltate dalle Commissioni parlamentari del Senato della Repubblica e della Camera di deputati secondo i rispettivi regolamenti;

  3. Chiedere di essere ricevuti dai Ministri competenti.

L’art. 6 stabilisce che le articolazioni periferiche delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari debbano essere definite dai propri statuti;

L’art. 7 regola gli strumenti di finanziamento e trasparenza dei bilanci delle associazioni professionali a carattere sindacale che debbono essere finanziate esclusivamente attraverso contributi sindacali degli iscritti. Per la corresponsione del quale i militari rilasciano delega, esente dall’imposta di bollo e dalla registrazione, nella misura stabilita dai competenti organi statuari. La delega ha validità dal primo giorno del mese successivo a quello del rilascio fino al 31 dicembre di ogni anno e si intende tacitamente rinnovata se non è revocata dall’interessato entro il 31 ottobre. La revoca della delega deve essere trasmessa, in forma scritta, all’amministrazione e all’associazione professionale a carattere sindacale tra militari interessata. Le associazioni professionali a carattere sindacale tra militari predispongono annualmente il bilancio preventivo, entro il 31 dicembre dell’anno precedente a quello cui l’esercizio si riferisce, ed il rendiconto della gestione precedente entro il 30 aprile dell’anno successivo. Entrambi debbono essere approvati dagli associati e resi conoscibili al pubblico non oltre 10 giorni dalla loro approvazione mediante idonee forme di pubblicità;

L’art. 8 definisce che le cariche debbono essere esclusivamente elettive nel rispetto del principio di parità di genere e possono essere ricoperte solo da militari in servizio effettivo che abbiano compiuto almeno 5 anni di servizio nelle Forze armate e da militari in ausiliaria. Non sono eleggibili e non possono comunque ricoprire cariche:

  1. I militari che hanno riportato condanne per delitti non colposi o sanzioni disciplinari di stato;

  2. I militari che si trovano in stato di sospensione dall’impiego o di aspettativa non sindacale, salvo i casi di aspettativa per malattia o patologia che comunque consentano il rientro in servizio incondizionato;

  3. Gli ufficiali che rivestono l’incarico di comandante di corpo.

Non possono essere iscritti ad associazioni professionali a carattere sindacale coloro che ricoprono cariche di vertice. La durata del mandato è di 4 anni e non può essere frazionata e non è consentita la rielezione per più di due mandati consecutivi salvo che non siano trascorsi 3 anni dalla scadenza del secondo mandato. Nessun militare può essere posto in distacco sindacale per più di cinque volte.

L’art. 9 disciplina l’esercizio dei diritti sindacali da parte del personale che deve svolgerli, in questo caso diversamente dalle Rappresentanze Militari, fuori dal servizio con il riconoscimento di distacchi e permessi sindacali retribuiti nonché permessi e aspettative sindacali non retribuiti assegnati sulla base dell’effettiva rappresentatività del personale.

Con la contrattazione sono stabiliti:

  1. Il contingente massimo dei distacchi autorizzabili per ciascuna Forza armata o Forza di Polizia ad ordinamento militare nonché il numero massimo annuo dei permessi retribuiti;

  2. La misura dei permessi e delle aspettative sindacali non retribuiti che possono essere concessi ai rappresentanti sindacali.

I dirigenti delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari che intendono fruire dei permessi sindacali debbono darne comunicazione scritta al proprio comandante, individuato nell’autorità deputata alla concessione della licenza, almeno 5 giorni prima o in casi eccezionali almeno 48 ore prima tramite l’associazione di appartenenza. Ed anche qui, in maniera a nostro parere inaccettabile ed in perfetta linea con le Rappresentanze Militari, il permesso sindacale, che come abbiamo appena visto è a carico economico esclusivamente dell’associazione sindacale, deve ottenere l’autorizzazione del comandante salvo che non ostino prioritarie e improcrastinabili esigenze di servizio e sempre che venga garantita la regolare funzionalità del servizio. Questi particolari aspetti, potrebbero concedere ai vari comandanti degli strumenti capaci di generare volutamente delle limitazioni alla libertà sindacale che dovrebbe essere sempre concessa ai vari dirigenti sindacali eletti.

È vietata ogni forma di cumulo dei permessi sindacali, deve essere garantita l’effettiva utilizzazione dei permessi stessi che sono equiparati al normale servizio e non possono superare mensilmente, per ciascun rappresentante sindacale, nove turni giornalieri di servizio.

Per i permessi sindacali retribuiti è corrisposto il trattamento economico corrispondente a quello di servizio, con esclusione delle indennità e dei compensi per il lavoro straordinario e di quelli collegati all’effettivo svolgimento delle prestazioni;

L’art. 10 regola il diritto di assemblea prevedendo che i militari, fuori dal servizio, possono tenere riunioni anche in uniforme nei locali messi a disposizione dall’amministrazione che ne concorda le modalità d’uso, mentre nei luoghi aperti al pubblico senza l’uso dell’uniforme.

Sono autorizzate riunioni con ordine del giorno su materie di competenza delle associazioni durante il servizio nel limite di 10 ore annue individuali previa comunicazione, con almeno 5 giorni di anticipo, ai comandanti delle unità o dei reparti interessati;

L’art. 11 stabilisce le procedure di contrattazione detenute dalle associazioni professionali a carattere sindacale;

L’art. 12 decreta gli obblighi informativi ovvero le procedure di informazione e consultazione delle associazioni professionali;

L’art. 13 definisce la rappresentatività delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari stabilita al 4% della forza effettiva complessiva della Forza armata o della Forza di polizia a ordinamento militare. Qualora l’associazione professionale a carattere sindacale sia invece costituita da militari appartenenti a due o più Forze armate o di polizia ad ordinamento militare la stessa dovrà avere una rappresentatività non inferiore al 3% della forza effettiva in ragione della singola Forza armata o forza di polizia ad ordinamento militare rilevata al 31 dicembre dell’anno precedente in cui si renda necessario determinare la rappresentatività delle associazioni medesime.

Qualora l’associazione costituita da militari appartenenti a due o più Forze armate o Forze di polizia a ordinamento militare non raggiunga la quota minima di rappresentatività del 3% in ciascuna delle Forze rappresentate, essa sarà rappresentativa nelle sole Forze armate o di polizia nella quale raggiunge la quota minima del 4%. Ai fini della consistenza associativa, sono conteggiate esclusivamente le deleghe con contributo sindacale non inferiore allo 0,5% dello stipendio.

La forza effettiva complessiva della Forza armata o di Polizia ad ordinamento militare si calcola escludendo il personale che non può aderire alle associazioni sindacali.

In via transitoria, le quote percentuali di iscritti per la rappresentatività vista sopra sono ridotte:

  1. di 2 punti percentuali limitatamente ai primi 3 anni dalla entrata in vigore della legge;

  2. di 1 punto percentuale decorsi 3 anni dalla entrata in vigore della legge e per i successivi 4 anni.

L’art. 14 definisce le tutele ei diritti degli associati. Il testo ricalca sostanzialmente la disciplina prevista per le Rappresentanze militari.

Difatti questo articolo stabilisce che i militari che rivestono cariche elettive all’interno delle associazioni sindacali riconosciute a livello nazionale:

  1. Non sono perseguibili in via disciplinare per le opinioni espresse nello svolgimento dei compiti connessi con l’esercizio delle loro funzioni, fatti salvi i limiti della correttezza formale, dei doveri derivanti dal giuramento prestato, dal grado, dal senso di responsabilità e dal contegno da tenere anche fuori del servizio a salvaguardia del prestigio istituzionale, fissando in maniera chiara dei grossi limiti che inevitabilmente indeboliscono l’attività sindacale dei singoli dirigenti;

  2. Non possono essere trasferiti a un’altra sede o ad un altro reparto ovvero essere sostituiti nell’incarico ricoperto al momento dell’elezione, se non previa intesa con l’associazione professionale a carattere sindacale alla quale appartengono, salvi i casi di incompatibilità ambientale o di esigenza di trasferimento dovuta alla necessità di assolvere i previsti obblighi di comando e le attribuzioni specifiche di servizio. Anche in questo caso, con […le attribuzioni specifiche di servizio…] si possono generare delle interpretazioni normative che permetterebbero ai vari comandanti di trasferire un dirigente sindacale senza troppa opposizione per come abbiamo visto avvenire nelle Rappresentanze militari.

  3. Non possono essere impiegati in territorio estero singolarmente, fatte salve le esigenze dell’unità di appartenenza;

  4. Possono manifestare il loro pensiero in ogni sede e su tutte le questioni non soggette a classifica di segretezza che riguardano la vita militare, possono interloquire con enti e associazioni di carattere sociale, culturale o politico anche estranei alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare, partecipare a convegni e assemblee aventi carattere sindacale;

  5. Possono inviare comunicazioni scritte al personale militare sulle materie di loro competenza, nonché visitare le strutture e i reparti militari presso i quali opera il personale da essi rappresentato quando lo ritengono opportuno concordandone le modalità almeno 36 ore prima con i comandanti competenti;

L’art. 15 riguarda le modalità di informazione e pubblicità che debbono essere stabilite dai singoli statuti ed è data facoltà ai dirigenti delle singole organizzazioni a carattere sindacale di avere rapporti con gli organi di stampa e di rilasciare dichiarazioni esclusivamente in merito alle materie di loro competenza e oggetto di contrattazione nazionale di settore;

L’art. 16 attribuisce al Governo il coordinamento normativo e regolamentare di attuazione entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge;

L’art. 17 stabilisce la giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie promosse nell’ambito disciplinato dalla presente legge anche quando la condotta antisindacale incide sulle prerogative dell’associazione professionale a carattere sindacale tra militari. Se la controversia riguarda condotte antisindacali consistenti nel diniego ingiustificato del diritto e delle prerogative sindacali, l’associazione professionale a carattere sindacale tra militari può promuovere un previo tentativo di conciliazione.

L’art. 18 definisce le procedure di conciliazione che devono avvenire presso la commissione centrale di conciliazione istituita presso il Ministero della difesa per la risoluzione bonaria delle controversie aventi rilievo nazionale. Per la conciliazione delle medesime controversie riferite al personale del Corpo della Guardia di Finanza è istituita analoga commissione centrale presso il Ministero dell’economia e delle finanze. Sono altresì istituite almeno cinque commissioni periferiche di conciliazione per la risoluzione in via bonaria delle controversie aventi rilievo locale.

Le commissioni sono presiedute, con funzione di garanzia, da un presidente nominato dai rispettivi Ministeri tra magistrati, avvocati iscritti all’albo speciale degli avvocati ammessi al patrocinio dinnanzi alle giurisdizioni superiori e professori universitari in materie giuridiche e composte da appartenenti alla Forza armata o alla Forza di polizia a ordinamento militare nell’ambito dei propri iscritti tra le associazioni riconosciute rappresentative a livello nazionale che svolgono l’attività di conciliazione per servizio e sono individuati con incarico non esclusivo fra coloro che sono impiegati nell’ambito della regione amministrativa nella quale ha sede la commissione di cui sono componenti. Ai rispettivi componenti non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati;

L’art. 19 definisce le modalità di abrogazione e le norme transitorie.

3. Rilievi critici e possibili soluzioni.

L’unica soluzione possibile è avere un Sindacato il più vicino possibile a quello della Polizia di Stato per non avere più poliziotti di serie A e poliziotti di serie B ma soprattutto per non avere una libertà che non rende liberi.

Il testo sopra riportato ci consegna una disciplina che non è innovativa e che poco (o nulla) aggiunge all’esistente: in attesa dei decreti attuativi, la legge sull’associazionismo sindacale non rafforza il concetto di rappresentanza. In concreto, le Rappresentanze militari, godendo di un rapporto fiduciario e collaborativo con i rispettivi comandanti, intervengono in maniera diretta sulle diverse problematiche coltivando anche la possibilità di occuparsi di problematiche che formalmente non sarebbero trattabili.

Le nuove forme di rappresentanza garantiranno certamente il pluralismo sindacale ma non potranno beneficiare – per ovvie ragioni – di quel vincolo fiduciario che caratterizza le Rappresentanze militari.

In altri termini, la creazione di nuovi soggetti sindacali ha un senso (e un impatto sul sistema) se e nella misura in cui tali soggetti possano effettivamente esercitare prerogative sindacali occupandosi di tutta la materia; l’affermazione di una libertà sindacale alla quale non segua l’effettività del suo esercizio depotenzia i nuovi soggetti e, di fatto, conferma (ove ve ne fosse bisogno) che l’unico interlocutore delle Amministrazioni è la Rappresentanza militare.

In definitiva, ci troviamo in un contesto che vede da una parte le Rappresentanze militari sempre più forti e dall’altra Associazioni professionali molto deboli , condizionate dal divieto di equiparazione al sindacato della Polizia di Stato (e amministrazioni simili) che, ancora oggi, è l’ unico sindacato in grado di esercitare in modo efficace la libertà sindacale.

Note

i R. Cavallo Perin, Ordine e ordinanza nel diritto amministrativo, pubblicato sul sito www.robertocavalloperin.it

ii Si veda, sul punto, Cass. Sez. V, 2 ottobre 1984, n. 7866.

iii C. Iafrate, Obbedienza, ordine illegittimo e ordinamento militare, in D & Q, vol. 16/2016-2.

iv G. Vitagliano, Gerarchia e ordini illegittimi: fonte e limiti del dovere di obbedienza, in “La Rassegna dell’Arma dei Carabinieri”, 2003 N. 2, pubblicato sul sito www.carabinieri.it

v L. F. De Leverano, La specificità della condizione militare, in “Informazioni della difesa”, 2011, N.3, pubblicato sul sito www.difesa.it.

vi

vii  P. Gualtieri, Delitto di diffamazione, esercizio della facoltà di critica sindacale e limiti scriminanti, in Labor – Il lavoro nel diritto, Pacini Giuridica, 2022.

viii Sul punto, Tribunale di Potenza, Sez. Civile – Giudice del Lavoro n. 294/2021 del 05.06.2021, in Lavoro diritti Europa rivista nuova di diritto del lavoro, nr. 3 del 2021.

ix T.A.R. Basilicata Sez. I, n. 304 del 06.04.2022

x Consiglio di Stato in adunanza plenaria n. 5 del 04.02.1966.

xi A. Lo Torto L’autodisciplina e il corretto esercizio dei diritti politici, in “Informazioni della difesa”, 2010, N.4, pubblicato sul sito www.difesa.it

xii M. FalsoneLa giurisdizione sulle condotte antisindacali nelle Forze armate spetta al Giudice ordinario del lavoro: il caso del trasferimento senza nulla osta del militare sindacalista, in Questione giustizia, 2021.

xiii A. Lo Torto , L’ordine di trasferimento dei militari, in “La Rassegna dell’Arma dei Carabinieri”, 2008, n. 2, pubblicato sul sito www.carabinieri.it

xiv F. Carinci – V. Tenore, Il pubblico impiego non privatizzato. Forze Armate e Polizia, Milano, Giuffrè Editore, 2007

xv Compendio sulla rappresentanza militare dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, ed. marzo 2004 e aggiornamenti del 2012 e del 2014.

xvi La Legge n. 121 del 1981 ha riconosciuto i diritti sindacali agli appartenenti alla Polizia di Stato; la Legge n. 395 del 1990, invece, ha esteso gli stessi agli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria.

xvii L. Di Majo, Alcune riflessioni sulla libertà sindacale dei lavoratori in divisa, a partire alla circolare del Ministero della Difesa, in “Cultura giuridica e diritto vivente – Rivista online del Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Urbino Carlo Bo, 2019, vol 6.

xviii P. LambertucciLe linee evolutive della libertà di associazione sindacale per i militariin Lavoro e diritto, 2019.

xix L. Di Majo, Libertà sindacale dei militari: condizioni e limiti, in “Diritto Pubblico Europeo – Rassegna online”, 2019

xx M. Ricci, La fine di un “tabù”: il riconoscimento della libertà di associazione sindacale (limitata) dei militari, in “Rivista Associazione Italiana dei Costituzionalisti”, 2018, N.3, pag. 817.

xxi M. FalsoneLa costituzione entra in Caserma?, in https://www.rivistailmulino.it/a/la-costituzione-entra-in-caserma.

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