di Chiara Capomolla

La comunione ereditaria inerente più beni pone interessanti problemi relativi agli atti di disposizione da parte del singolo coerede: dubbi sono sorti sia riguardo alla donazione che all’alienazione della c.d. quotina. Con questa espressione si suole indicare la quota indivisa su uno soltanto dei beni facenti parte di una più composita massa: mentre nessun dubbio sorge per la disponibilità della c.d. “quotona” (cioè la quota spettante sull’intera massa1), invece la vendita e la donazione della “quotina” hanno suscitato accesi dibattiti sia in dottrina che in giurisprudenza.

La questione della validità della donazione della quota di un bene facente parte di una comunione comprendente più cespiti è stata sottoposta alle Sezioni Unite della Suprema Corte: nel 1989 viene instaurato un giudizio dinanzi al tribunale di Reggio Calabria mirante ad ottenere una divisione ereditaria, previa formazione delle masse ereditarie; tra i beni da dividere viene chiesto di includere anche quelli che il de cuius aveva donato al nipote ex fratre con atto pubblico nel 1987, donazione che una delle parti costituitesi in giudizio riteneva nulla ai sensi degli artt. 769 e 7712 c.c.. In particolare, la questione era se la quota ideale di cui il donante era comproprietario pro indiviso potesse costituire oggetto di liberalità o se la donazione dovesse ritenersi nulla, equiparando i “beni futuri” ai “beni altrui”, per inesistenza dei beni donati nel patrimonio del donante. Sia il Tribunale – con sentenza del 30 aprile 2004 – che la Corte di Appello – con sentenza del 23 novembre 2006 – dichiaravano la nullità dell’atto di donazione ritenendo che i beni di cui il donante era comproprietario pro indiviso non potevano essere considerati come facenti parte del suo patrimonio e di conseguenza non potevano costituire oggetto di donazione. Proposto anche il ricorso per cassazione, la II sezione della Suprema Corte decideva di rimettere all’esame delle Sezioni Unite la questione, in specie «Se la donazione dispositiva di un bene altrui debba ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione e, in particolare, dell’art. 771 cod. civ., poiché il divieto di donazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante e quindi anche quelli aventi ad oggetto i beni altrui, oppure sia valida ancorché inefficace, e se tale disciplina trovi applicazione, o no, nel caso di donazione di quota di proprietà pro indiviso».

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 15 marzo 2016, n. 5068 hanno confermato la nullità della donazione di cosa altrui, ma non già in applicazione analogica dell’art. 771 cod. civ., bensì “ per difetto di causa, a meno che nell’atto si affermi espressamente che il donante sia consapevole dell’attuale non appartenenza del bene al suo patrimonio. Ne consegue che la donazione, da parte del coerede, della quota di un bene indiviso compreso in una massa ereditaria è nulla, non potendosi, prima della divisione, ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante“. La Suprema Corte ha dunque ritenuto che l’appartenenza del bene oggetto di donazione al donante costituisce elemento essenziale della donazione; l’atto tuttavia può conservare validità qualora contenga menzione della consapevolezza dell’altruità della cosa.

L’intervento delle Sezioni Unite dirime dubbi inerenti la donazione della quotina, resta da esaminare la vendita della stessa, questione che presenta caratteri peculiari (infatti, a differenza di quanto visto per la donazione, il nostro codice prevede espressamente la vendita di cosa altrui) ed interessanti connessioni con profili di teoria generale. Così, ad esempio, è interessante considerare la vendita della quotina in relazione alla tendenza alla trasformazione del contratto di vendita da tradizionale contratto consensuale ad effetti reali a contratto obbligatorio.

Il problema se siano possibili atti di disposizione della propria quota in caso di comunione ereditaria inerente più beni, va esaminato distinguendo varie ipotesi e tenendo conto del concetto di quota3 e della sua “idealità”. Non presenta particolari difficoltà la vendita, da parte del singolo comproprietario, dell’intera quota di propria spettanza: l’acquirente diventerà titolare dell’intera posizione giuridica del trasferente e la vendita avrà effetti reali immediati. Diversamente si opina, invece, nel caso di vendita di una quota ideale di uno solo tra più beni componenti una massa in comproprietà indivisa. Un orientamento4, seguito spesso anche in giurisprudenza, esclude l’immediata efficacia reale della vendita delle cc.dd. quotine. La Cassazione5 ha rilevato che, in caso di mancata assegnazione in sede di divisione di quanto venduto, l’acquirente potrebbe essere privato del bene con effetti retroattivi. Nel caso in cui le parti abbiano, in atto, palesato la consapevolezza che il bene potrebbe, in sede divisionale, non essere assegnato all’alienante, l’efficacia reale risulta condizionata: si tratta di condizione sospensiva, l’efficacia reale potrà prodursi solo se in sede di divisione il bene spetterà all’alienante. Il negozio sarebbe dunque valido ma, essendo gli effetti traslativi differiti al momento della divisione (cosiddetta “vendita dell’esito divisionale”), prima di tale evento l’acquirente avrà solo una mera aspettativa ed in definitiva la vendita si configura come obbligatoria.

L’istituto in esame si inserisce quindi tra le numerose ipotesi che contrastano apertamente con il principio consensualistico.

In tema di vendita immobiliare il principio consensualistico è enunciato dall’art. 1376 c.c. (secondo il quale la proprietà si acquista per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato6) ed è sostanzialmente confermato dalla definizione di vendita immobiliare contenuta dall’ art. 1470 c.c (che ribadisce la classificazione della vendita tra i contratti consensuali ad effetti reali prevedendo che essa si perfezioni con l’accordo delle parti idoneo a trasferire la proprietà); il principio, tuttavia, sembra entrare in crisi dinanzi ad un’ attenta disamina della disciplina codicistica e delle leggi speciali, inerenti la compravendita immobiliare. Si evidenziano, infatti, molteplici ipotesi difficilmente con esso compatibili: si pensi ai diritti reali di garanzia, alla vendita di genere, alla vendita di cosa altrui, alla vendita di cosa futura, alla vendita alternativa, alla vendita con patto di riservato dominio. Ampio il dibattito sul difficile inquadramento del pagamento traslativo, la cui ammissibilità si scontra anch’essa con la tradizione consensualista. A queste ipotesi tradizionali, nel tempo, se ne sono aggiunte altre: proseguendo in un esame diacronico della disciplina della vendita immobiliare, può rilevarsi l’indubbia “procedimentalizzazione”7 della stessa susseguente all’arricchimento del contenuto tipico dell’atto scaturente, ad esempio, dalla L.122/2010 (con il portato d’incidenza del c.d. allineamento catastale), dal “decreto Bersani” (con gli obblighi di dichiarazione del prezzo reale di vendita), dagli obblighi connessi alla legislazione urbanistica (la quale impone il rispetto di precisi caratteri e qualità che gli immobili debbono possedere e che tali requisiti siano certificati allegando al rogito le relative documentazioni). La deroga al principio consensualistico può essere determinata dalla scelta delle parti, rimanendo quindi sempre in un’ottica liberista di tutela della volontà per meglio conformare l’atto alle peculiari esigenze, o dalla necessità di tutela dei terzi, o, ancora, dall’emersione di interessi pubblicistici ma, comunque, laddove l’effetto traslativo possa verificarsi solo dopo il compimento di una serie di atti – siano essi contestuali o in sequenza – è certo che ci si è discostati dal concetto di effetto traslativo come frutto della manifestazione del mero consenso.

Alla stessa conclusione porta l’esame della disciplina della trascrizione la cui funzione fondamentale è senza dubbio quella di consentire che l’acquisto della proprietà o di un altro diritto reale relativo a beni immobili, già realizzatosi, sia conoscibile8 ed opponibile9 ai terzi, ma che si è, nel tempo, arricchita di nuovi obiettivi e scopi10 spesso di tutela di interessi pubblici11. Non può disconoscersi, poi, la difficile compatibilità di taluni aspetti della disciplina della trascrizione (pubblicità sanante12, acquisto del secondo acquirente primo trascrivente13, sistema tavolare14 in zone del territorio nazionale) con il principio consensualistico.

L’esame delle citate ipotesi conferma la derogabilità del principio a fronte di esigenze prevalenti.

Altra novità legislativa con conseguenze dirompenti sulla verificabilità della sussistenza del principio in esame è rappresentata dalla L.147/201315 la quale prevede che il prezzo della vendita16 non sia immediatamente consegnato al venditore, né il compenso del professionista con le eventuali spese ed oneri fiscali al notaio, bensì che la cifra complessiva venga depositata su un conto (impignorabile e non oggetto di successione nel caso di morte del notaio) sino a quando la trascrizione non sia andata a buon fine per mancanza di altre trascrizioni pregiudizievoli; il procedimento di vendita si conclude, dunque, solo dopo che il notaio ha verificato l’assenza di altre formalità pregiudizievoli17 ed ha proceduto alla trascrizione.

Un sistema simile è già vigente in Francia dal 194518. Si rileva, poi, che il code civil ha previsto, all’art. 1583, il principio del consenso traslativo ma in apparente contraddizione con il dettato dell’art. 1582 che descrive la vendita come un contratto fondamentalmente obbligatorio19.

Nei sistemi di common law la compravendita immobiliare presenta aspetti peculiari sia per la diversa concezione dello stesso diritto di proprietà che vi è sottesa, sia per i profili più strettamente contrattualistici. I contratti di trasferimento dei diritti sono, infatti, per il diritto inglese contratti obbligatori20. Dalla vendita immobiliare (o sale of land) deriva solo l’obbligo per il venditore di trasferire (o di far acquistare) il diritto reale oggetto del contratto e per l’ acquirente l’ obbligo di pagare il prezzo.

In questo quadro nazionale ed internazionale il problema della vendita della quotina s’inserisce nel dibattito sul principio consensualistico e sulla sua attuale sussistenza e necessità: tutte le volte che vi sia un ampliamento del contenuto essenziale o la previsione di obblighi ulteriori sia per le parti che per il notaio rogante la vendita si allontana dall’idea di “atto”; gli incombenti richiesti, talvolta, si articolano in sequenza e l’effetto traslativo – tipico di un contratto tradizionalmente inquadrato tra i contratti consensuali ad effetti reali – si concretizza al termine di quello che appare sempre più come un vero e proprio procedimento. Le cause della procedimentalizzazione sono da ricercarsi in una varietà di interessi talvolta presidiati da nuove figure di nullità aventi una chiara matrice protezionista.

Si pongono, dunque, interrogativi in merito alla funzione assolta dal consensualismo, alla derogabilità del principio e, in ultima analisi, alla sua riconducibilità o meno nell’alveo dei principi generali e irrinunciabili: è possibile ritenere ancora vigente il principio consensualistico? E, d’altra parte, ammettere che esso oggi sia difficilmente rinvenibile non solo nei casi tradizionalmente qualificati come eccezioni ad esso, ma nello o meglio “negli” schemi di vendita immobiliare ordinaria, avrebbe poi delle conseguenze così dirompenti per l’ordinamento?

L’importanza del principio in esame – fondamentale in epoche storiche in cui si doveva affermare e tutelare la rapidità degli scambi – si colloca forse ormai sullo sfondo della mera tradizione giuridica in un’epoca in cui l’esigenza primaria appare sempre più essere la tutela dell’uomo, dei suoi bisogni di vita, della sua individualità che, penetrando nella struttura e negli effetti degli istituti giuridici, li connota e li innova profondamente.

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Note

1 Rubertelli V., Il dilemma della quotina e della quotona, www.notaiorubertelli.com, agosto 2016:<<Il comunista di una comunione ereditaria (o anche ordinaria) avrebbe la libera disponibilità della cd “quotona” (cioè della quota indivisa sull’intera massa comune ipotizziamo composto dai beni Alfa, Beta e Gamma), non anche sulla cd “quotina” (cioè quota indivisa sul singolo bene Alfa della più ampia massa) ciò argomentando dal presupposto che il comproprietario di una pluralità di beni non abbia il diritto di disporre liberamente della propria quota su di un singolo bene della più ampia massa fino a quando – e sempre che – in sede di divisione quel bene non gli venga assegnato in titolarità esclusiva (……)se il comunista Tizio vende o dona all’estraneo Caio la quota indivisa sulla intera massa, tale atto ha effetti traslativi immediati; Tizio esce definitivamente dalla comunione; vi entra Caio e, al momento della divisione, si siederanno al tavolo Caio insieme agli altri comunisti che “subiranno” l’ingresso in comunione di un estraneo, salvo il necessario rispetto del diritto di prelazione se la comunione è ereditaria>>

2 Art. 769 – Definizione

La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione.

Art. 771 – Donazione di beni futuri.

La donazione non può comprendere che i beni presenti del donante. Se comprende beni futuri, è nulla rispetto a questi, salvo che si tratti di frutti non ancora separati.

Qualora oggetto della donazione sia un’universalità di cose e il donante ne conservi il godimento trattenendola presso di sé, si considerano comprese nella donazione anche le cose che vi si aggiungono successivamente, salvo che dall’atto risulti una diversa volontà.

3 Testa A., La vendita di quote indivise di porzione materiale della massa comune, in Quaderni della fondazione italiana del notariato, 2008<<Il vecchio codice civile del 1865, approcciando il concetto di quota della comunione, aveva affermato il principio della piena proprietà della quota spettante a ciascuno dei condomini, con ciò inducendo ad una “oggettivizzazione” della quota stessa che finisce per confondere i confini tra la “materialità” e l’ “idealità” della stessa; il che consentiva probabilmente notevoli sgravi alla complessità della questione che qui ci si pone. L’art. 1103 del nuovo codice, invece, non ponendo alcun accento sul concetto dell’appartenenza in proprietà della quota, si limita a consentire, al singolo comproprietario, la facoltà di disporre del proprio diritto sulla comunione nei limiti della quota di sua spettanza. Il legislatore del ’42, in pratica, sembra avere alquanto ridimensionato, in costanza di comunione, la rilevanza della proiezione materiale della quota, (…) Questo processo di smaterializzazione del concetto di quota ha conferito particolare rilevanza alla res quota a discapito della res quanta la cui valutazione, in termini giuridici, verrebbe ad essere confinata unicamente al momento della cessazione dello stato di comunione>>.

4Testa A., op. cit.:<< Quando, invece, il singolo comproprietario alieni ad un terzo estraneo alla comunione, non una quota ideale sulla massa comune (pari o inferiore alla quota di propria spettanza, come visto nelle fattispecie fin qui trattate), ma una porzione fisicamente determinata dell’unico bene comune, o, in presenza di una massa costituita da più beni, il singolo comproprietario pervenga alla vendita di una quota ideale indivisa di uno specifico bene fisicamente determinato tra quelli facenti parte della massa, in tal caso l’identificazione materiale di una porzione determinata dell’unico bene della massa o l’identificazione del bene, tra i diversi facenti parte della massa, cui fa riferimento la quota ideale venduta, potrà comportare il rischio che il bene (nel caso di pluralità di beni della massa) o la porzione del bene (nel caso di unicità del bene della massa) individuato nel contratto di vendita venga, in sede di divisione, attribuito ad un soggetto condividente diverso dal venditore. Si comprende agevolmente come, in presenza di una tale fattispecie, la vendita difficilmente potrà qualificarsi ad effetti reali.>>

5Cassazione civile Sez. III, 01/07/2002, n. 9543:<< La vendita di un bene, facente parte di una comunione ereditaria, da parte di uno solo dei coeredi, ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia subordinata all’assegnazione del bene al coerede – venditore attraverso la divisione; pertanto, fino a tale assegnazione, il bene continua a far parte della comunione e, finchè essa perdura, il compratore non può ottenerne la proprietà esclusiva. Peraltro, se il bene parzialmente compravenduto costituisce l’intera massa ereditaria, l’effetto traslativo dell’alienazione non resta subordinato all’assegnazione in sede di divisione della quota del bene al coerede – venditore, essendo quest’ultimo proprietario esclusivo della quota ideale di comproprietà e potendo di questa liberamente disporre, conseguentemente il compratore subentra, “pro quota”, nella comproprietà del bene comune>>.

Cass. civ., 13/07/1983, n. 4777:<< Il diritto di prelazione e di riscatto tra coeredi di cui all’art. 732 c. c. può essere esercitato quando venga venduta una quota ereditaria, onde impedire che un terzo estraneo si sostituisca al venditore nella comunione ereditaria, ma non quando venga venduto un singolo bene: in questo caso infatti la vendita ha effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia reale subordinata all’assegnazione del bene al coerede-venditore attraverso la divisione>>.

6 Russo E., Vendita e consenso traslativo, in Il codice civile- commentario, (a cura di) Schlesinger P. e Busnelli F.D., Giuffrè, p. 7: <<L’art.1376 c.c. stabilisce, in astratto, come si realizza il trasferimento, attribuendo efficacia traslativa al consenso contrattuale; l’art.1470c.c. tipizza uno schema causale (scambio di un diritto verso il corrispettivo di un prezzo) attuativo del trasferimento>>.

7 Mazzù C., La compravendita immobiliare dall’atto al procedimento, in www.consiglionazionaleforense.it:<<nella struttura della compravendita si evidenzia il modello plurifasico fin dal momento della definizione degli elementi costitutivi del contratto (…..) Il nuovo contratto di compravendita immobiliare presenta rispetto al momento codicistico un surplus di elementi costitutivi, che la legge ha previsto ad substantiam, che hanno arricchito il contenuto minimo del contratto stesso, imponendo oneri ulteriori di valutazione ai privati contraenti ed obblighi ulteriori di accertamento al notaio rogante. Si delinea così il nuovo corso del contratto di vendita immobiliare, che accentua la svolta in chiave procedimentale>>.

8 Mazzù C., Il diritto civile all’alba del terzo millennio, vol.II, diritti reali e pubblicità immobiliare, Giappichelli, Torino, 2012, p. 123: <<La moderna società della conoscenza ha elevato ad emblema della propria affermazione epocale la disponibilità dei dati conoscitivi:si spiega così il fatto che essi sono diventati parte integrante ed essenziale dei modelli contrattuali più largamente diffusi nell’area dei contratti di massa>>.

9 Battistella L., I pubblici registri immobiliari: la trascrizione e l’intavolazione, in Altalex: <<La trascrizione, attuata dalla legislazione italiana, può essere definita la forma di pubblicità necessaria perché determinati atti, riguardanti la condizione giuridica della proprietà immobiliare, abbiano efficacia contro chiunque.>>

10 Petrelli G., Trascrizione immobiliare, Costituzione repubblicana e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Pubblicità degli atti e delle attività, Atti dell’8° Convegno nazionale Sisdic – 3, 4 e 5 aprile 2013, Napoli, 2014, p. 30: << …la fisionomia dell’istituto della trascrizione risulta profondamente mutata rispetto a quella consegnataci dalla tradizione ottocentesca, anche e forse soprattutto alla luce dei principi costituzionali. Funzione sociale e utilità sociale, sicurezza dei traffici e tutela del legittimo affidamento nell’operato degli organi preposti all’attuazione della pubblicità, solidarietà sociale e principio di legalità, canoni di proporzionalità e ragionevolezza nell’interpretazione della legge: non è difficile percepire l’abissale distanza del vigente istituto della trascrizione (sicuramente idoneo oggi — pur con le sue perduranti imperfezioni e lacune — ad ingenerare nei terzi affidamenti incolpevoli meritevoli di tutela, anche grazie ai controlli di legalità su cui si basa la pubblicità, all’effetto c.d. « sanante » previsto dall’art. 2652, nn. 6 ss., ed alla tendenziale completezza del sistema pubblicitario, chiaramente desumibile da una attenta lettura dell’art. 2645 c.c.), rispetto ad un modello puramente pubblicitario quale era quello regolato dal codice del 1865, fondato sull’autoresponsabilità del richiedente la trascrizione da un lato, e del terzo interessato dall’altro lato, e nel contempo basato su una logica di stretta eccezionalità rispetto ai princìpi del diritto sostanziale (primi fra i quali la concezione sacrale e individualistica della proprietà privata, e la portata centrale del principio consensualistico anche nei conflitti circolatori). È compito della dottrina e della giurisprudenza prendere definitivamente atto dei mutamenti intervenuti, abbandonando le residue suggestioni provenienti da un modello ormai superato, ed adottando senza timori una nuova metodologia giuridica, fondata sull’interpretazione sistematica, assiologica e costituzionalmente orientata>>.

11 Petrelli G.,L’autenticità del titolo della trascrizione nell’evoluzione storica e nel diritto comparato, in Rivista di diritto civile 2007. p. 27: << Si pensi alla trascrizione del contratto preliminare; alla trascrizione di numerosi vincoli di indisponibilità e di indivisibilità; alla trascrizione prima di numerosi vincoli speciali di destinazione, e poi della fattispecie generale dell’atto atipico di destinazione (nuovo art. 2645-ter c.c.). E’ stata prevista anche la trascrizione di numerose fattispecie a rilevanza pubblicistica (convenzioni ed atti d‘obbligo in materia urbanistica, lottizzazioni abusive, vincoli nascenti dalla normativa regionale, misure di prevenzione, ecc.). Alla previsione di nuovi speciali effetti della trascrizione (si pensi all’utilizzo dell’istituto nel contesto della disciplina di alcune prelazioni legali) si è accompagnato il sempre maggior utilizzo delle risultanze dei registri immobiliari a fini pubblicistici (tributari, urbanistici, antiriciclaggio, ecc.) >>. Ed ancora, si legge in Atti dell’ 8° convegno nazionale della Società italiana degli studiosi del Diritto civile -SISDIC -pp.5/8:<<Nel novero delle ipotesi in cui la trascrizione assume funzione servente possono farsi rientrare i casi in cui quest’adempimento è richiesto con riferimento a fattispecie di vincoli urbanistico-edilizi, di erogazione di contributi, di finanziamenti di scopo e, ora, di vincoli pubblici ex art. 2645-quater cod. civ. Queste ipotesi – seppur eterogenee – sono riconducibili a due differenti schemi con riguardo alle modalità secondo cui si strutturano i rapporti tra realizzazione dell’interesse privato e perseguimento dell’interesse pubblico. Nel primo schema, riscontrabile soprattutto nei casi di vincoli edilizi, la trascrizione si atteggia a presupposto stesso per l’adozione del provvedimento, per cui sembra esclusa in radice una situazione di collisione con la tutela dell’interesse pubblico.[….] Questi casi si caratterizzano per un rapporto amministrativo in cui il soggetto privato è titolare di interessi pretensivi la cui base sostanziale deve essere in rapporto di compatibilità con l’interesse pubblico. …L’atto di vincolo e la sua trascrizione rilevano allora, in questi casi, solo come atti endoprocedimentali. Negli altri casi invece – e qui veniamo al secondo schema, utilizzato per lo più in materia rbanistica – il privato mantiene la titolarità di un interesse pretensivo, che si pone in una relazione di strumentalità con la realizzazione dell’interesse pubblico. Si tratta della categoria dei rapporti a collaborazione necessaria, riguardanti quei settori dell’attività amministrativa che interferiscono con interessi privati il cui soddisfacimento coincide con la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla P.A.. In queste ipotesi c’è un’oggettiva convergenza del privato e dell’autorità amministrativa su un programma che, comportando impegni reciproci, evidenzia appunto la strumentalità dell’interesse privato rispetto al soddisfacimento dell’interesse pubblico. È il caso – notissimo – delle convenzioni di lottizzazione, degli accordi di programma, etc..: l’atto di vincolo e la sua trascrizione assolvono alla «progressiva creazione di un vero e proprio “stato civile della proprietà immobiliare”». Trasversale a queste due tipologie di casi è l’ambito di applicazione del citato art. 2645-quater cod. civ., introdotto nel 2012, secondo cui «si devono trascrivere, se hanno per oggetto beni immobili, gli atti di diritto privato, i contratti e gli altri atti di diritto privato, anche unilaterali, nonché le convenzioni e i contratti con i quali vengono costituiti a favore dello Stato, della regione, degli altri enti pubblici territoriali ovvero di enti svolgenti un servizio di interesse pubblico, vincoli di uso pubblico o comunque ogni altro vincolo a qualsiasi fine richiesto dalle normative statali e regionali, dagli strumenti urbanistici comunali nonché dai conseguenti strumenti di pianificazione territoriale e dalle convenzioni urbanistiche a essi relative». Questa norma disciplina la trascrizione dei vincoli di natura pubblicistica e ha dato origine a un acceso dibattito circa gli effetti dell’adempimento ivi previsto. Sembra doversi escludere che la stessa abbia efficacia costitutiva, poiché il vincolo nasce nel momento in cui viene riconosciuto con l’atto contrattuale o unilaterale ovvero con la convenzione. ….In tutte le tipologie di ipotesi sin qui descritte non sembra esserci conflitto tra successivi acquirenti (di un medesimo bene immobile) da risolvere; l’opponibilità a terzi del vincolo, in quanto volto a tutelare interessi pubblici, non può che discendere dalle leggi, dai regolamenti o dagli altri atti amministrativi (ad esempio, uno strumento urbanistico) che lo prevedono, quale presupposto per il perfezionamento del procedimento amministrativo; l’omessa trascrizione del vincolo pare rilevare, pertanto, solo agli eventuali fini risarcitori >>.

12 Petrelli G., Trascrizione immobiliare, Costituzione repubblicana e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Pubblicità degli atti e delle attività, Atti dell’8° Convegno nazionale Sisdic – 3, 4 e 5 aprile 2013, Napoli, 2014, p. 12: << La soluzione normativa adottata dal codice italiano con la “pubblicità sanante” appare conforme al principio di proporzionalità ed al canone di ragionevolezza (ben più di quanto lo sia, ad esempio, la disciplina tedesca), e ciò grazie soprattutto all’ampio termine (quinquennale o triennale), decorrente dalla trascrizione, entro il quale il precedente avente diritto può far valere le proprie ragioni. La disciplina codicistica italiana (come, del resto, quella tavolare austriaca e italiana) appare, proprio per la suddetta ragione, maggiormente equilibrata, in quanto pone a carico del dante causa mediato, o dell’erede vero, l’onere di agire giudizialmente – trascrivendo la relativa domanda – entro un quinquennio (e, nel medesimo lasso di tempo, onera il subacquirente di un esame attento dei titoli di provenienza); decorso il suddetto quinquennio, l’affidamento dei terzi è pienamente tutelato, e il vero titolare ha comunque a propria disposizione almeno l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2038 c.c. nei confronti dell’alienante non dominus a titolo oneroso o del subacquirente a non domino a titolo gratuito. Sul piano dei valori costituzionali, il sacrificio del vero titolare si giustifica, come in Germania, in quanto effetto riflesso di un limite al diritto di proprietà, sancìto in correlazione alla funzione sociale della stessa (art. 42 Cost.) e non è riconducibile alla logica dell’espropriazione per pubblica utilità, perché non si tratta di un provvedimento adottato con riferimento ad un determinato proprietario, bensì degli effetti di una disciplina legislativa avente carattere generale.>>

13 Il secondo trascrivente non ha diritto ad ottenere il bene ma non è totalmente privo di tutela, in quanto potrà chiedere al dante causa, che ha alienato due volte il medesimo bene, il risarcimento del danno. Anche l’altro acquirente dovrà rispondere, a titolo responsabilità extracontrattuale, ma solo se si prova il suo accordo fraudolento con l’alienante. In merito, cfr. Cass. civ., Sez. II, 18/08/1990, n. 8403: <<Nell’ipotesi di doppia alienazione di un immobile, poiché la responsabilità del secondo acquirente, che trova fondamento in una dolosa preordinazione volta a frodare il primo acquirente, o almeno nella consapevolezza di una precedente vendita e nella previsione di una trascrizione anteriore, e quindi nella compartecipazione all’inadempimento dell’alienante per l’apporto dato nel privare di effetti il primo acquisto, ha natura extracontrattuale, l’onere della prova, relativamente all’elemento psicologico dell’illecito, incombe sul primo acquirente danneggiato.>>.

14 Legge tav. art. 2:<< a differenza di quanto disposto dal Codice civile italiano, il diritto di proprietà e gli altri diritti reali sui beni immobili non si acquistano per atto tra vivi se non con l’iscrizione del diritto nel libro fondiari>>.

15 Art. 1, commi da 63 a 67, L n. 147/2013:

<<63. Il notaio o altro pubblico ufficiale è tenuto a versare su apposito conto corrente dedicato:

a) tutte le somme dovute a titolo di onorari, diritti, accessori, rimborsi spese e contributi, nonché a titolo di tributi per i quali il medesimo sia sostituto o responsabile d’imposta, in relazione agli atti dallo stesso ricevuti o autenticati e soggetti a pubblicità immobiliare, ovvero in relazione ad attività e prestazioni per le quali lo stesso sia delegato dall’autorità giudiziaria;

b) ogni altra somma affidatagli e soggetta ad obbligo di annotazione nel registro delle somme e dei valori di cui alla legge 22 gennaio 1934, n. 64, comprese le somme dovute a titolo di imposta in relazione a dichiarazioni di successione;

c) l’intero prezzo o corrispettivo, ovvero il saldo degli stessi, se determinato in denaro, oltre alle somme destinate ad estinzione delle spese condominiali non pagate o di altri oneri dovuti in occasione del ricevimento o dell’autenticazione, di contratti di trasferimento della proprietà o di trasferimento, costituzione od estinzione di altro diritto reale su immobili o aziende.

64. La disposizione di cui al comma 63 non si applica per la parte di prezzo o corrispettivo oggetto di dilazione; si applica in relazione agli importi versati contestualmente alla stipula di atto di quietanza. Sono esclusi i maggiori oneri notarili.

65. Gli importi depositati presso il conto corrente di cui al comma 63 costituiscono patrimonio separato. Dette somme sono escluse dalla successione del notaio o altro pubblico ufficiale e dal suo regime patrimoniale della famiglia, sono assolutamente impignorabili a richiesta di chiunque ed assolutamente impignorabile ad istanza di chiunque è altresì il credito al pagamento o alla restituzione della somma depositata.

66. Eseguita la registrazione e la pubblicità dell’atto ai sensi della normativa vigente, e verificata l’assenza di formalità pregiudizievoli ulteriori rispetto a quelle esistenti alla data dell’atto e da questo risultanti, il notaio o altro pubblico ufficiale provvede senza indugio a disporre lo svincolo degli importi depositati a titolo di prezzo o corrispettivo. Se nell’atto le parti hanno previsto che il prezzo o corrispettivo sia pagato solo dopo l’avveramento di un determinato evento o l’adempimento di una determinata prestazione, il notaio o altro pubblico ufficiale svincola il prezzo o corrispettivo depositato quando gli viene fornita la prova, risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero secondo le diverse modalità probatorie concordate tra le parti, che l’evento dedotto in condizione si sia avverato o che la prestazione sia stata adempiuta. Gli interessi sulle somme depositate, al netto delle spese di gestione del servizio, sono finalizzati a rifinanziare i fondi di credito agevolato, riducendo i tassi della provvista dedicata, destinati ai finanziamenti alle piccole e medie imprese, individuati dal decreto di cui al comma 67.

67. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, sentito il parere del Consiglio nazionale del notariato, sono definiti termini, condizioni e modalità di attuazione dei commi da 63 a 66, anche con riferimento all’esigenza di definire condizioni contrattuali omogenee applicate ai conti correnti dedicati”.

16 Si tratta della più rilevante tra le numerose modifiche riguardanti il prezzo, rimasto per secoli invariato, ma nell’ ultimo decennio investito da significative riforme: L. 23 dicembre 2005, n. 226 (Prezzo valore) – D. L. 4 luglio 2006, n. 223 convertito nella L. 4 agosto 2006 n. 248 (c.d. Decreto Bersani) – D. Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 e s.m.i. antiriciclaggio) – L. 27 dicembre 2013, n. 147 (c.d. deposito prezzo)

17 Petrelli G., Il deposito del prezzo e di altre somme presso il notaio nella legge 27 dicembre 2013, n. 147, in www.gaetanopetrelli.it, p. 13.<<La lettera della legge utilizza un’espressione “formalità pregiudizievole” che, tipicamente, identifica le formalità trascritte o iscritte nei registri immobiliari; e che la prassi negoziale, basata sullid quod plerumque accidit, è uniformemente orientata nel senso di circoscrivere a tali ultimi registri la verifica notarile. Del resto, se nella contrattazione immobiliare l’indagine dovesse estendersi ad altri pubblici registri, lo svincolo delle somme depositate difficilmente potrebbe avvenire in tempi rapidi (“senza indugio”, come prescritto dalla legge). Il che non esclude, ovviamente, che il notaio, in adempimento dei propri obblighi di informazione e chiarimento, debba rendere edotte le parti dei rischi che potrebbero derivare da iscrizioni in altri registri pubblici (tipicamente, quando alienante è un soggetto imprenditore, il registro delle imprese), e quindi che le parti possano convenzionalmente subordinare lo svincolo delle somme ad accertamenti ulteriori. In mancanza, però, di pattuizioni ad hoc, deve ritenersi che il notaio debba limitarsi, ai fini dello svincolo del deposito, alla verifica delle risultanze dei registri immobiliari>>.

18 artt. 14 e 15 Décret n°45-0117 du 19 décembre 1945.

19 Moscati E., La disciplina generale delle obbligazioni, Giappichelli, Torino, 2015, p. 52: <<…in conseguenza dell’introduzione nel diritto francese del principio del consenso traslativo, va soggiunto che nel Code civil la vendita, per dirla con le categorie del diritto italiano, si trasforma da contratto con effetti obbligatori in contratto con effetti reali. Ma la soluzione accolta dal legislatore francese appare il frutto di un compromesso tra l’antico ed il nuovo, che ha causato non poche ambiguità e incertezze tra gli interpreti. Infatti, se da un lato l’art.1583 code civil dispone che “la vendita è perfetta tra le parti, e la proprietà si acquista di diritto dal compratore nei confronti del venditore, al momento in cui si è convenuto della cosa e del prezzo, ancorché la cosa non sia stata ancora consegnata, nè il prezzo pagato” dall’altro il principio del consenso traslativo sembra coesistere con il modello della vendita romanistica, dando vita a un sistema apparentemente contraddittorio in cui si continua ad affermare che “la vendita è una convenzione in forza della quale una parte si obbliga a dare (livrer) una cosa e l’altra a pagare il prezzo“(art1582 code civil). In altri termini, in una norma (l’art.1582) si prospetta un modello di compravendita con effetti obbligatori, mentre nella disposizione immediatamente successiva si accoglie, sia pure nei rapporti tra venditore e compratore, il principio del consenso traslativo (art.1583). La coesistenza di due norme che si ispirano a principi non facilmente conciliabili a livello di sistema è probabilmente l’eco della suggestione che continuava ad esercitare, ancora all’inizio dell’Ottocento, la tradizione romanistica, al cui fascino i redattori del code civil non sono riusciti a sottrarsi completamente>>. Ferrante E., Consensualismo e trascrizione – Cedam 2008, p. 26 :<< …la recezione nell’ordinamento francese del principio consensualistico non mancò di suscitare perplessità. Persino le formule verbali impiegate dal legislatore in sede di regolamento del contratto di compravendita non risultarono tali da persuadere insindacabilmente circa l’adesione al principio. Detta adesione venne dedotta più dal dibattito scientifico che precedette ed accompagnò la redazione del progetto definitivo del codice che dagli enunciati normativi inclusi nel testo di legge. Data l’ambiguità e l’imprecisione delle locuzioni legislative, non desta alcuno stupore la cautela con cui la prima dottrina formatasi sul codice salutò l’avvenuto accoglimento del consensualismo traslativo>>.

20 Essi sono previsti nella section 40 del Law Property Act del 1925:

(1) No action may be brought upon any contract for the sale or other disposition of land or any interest in land, unless the agreement upon which such action is brought, or some memorandum or note thereof, is in writing, and signed by the party to be charged or by some other person thereunto by him lawfully authorised.

(2) This section applies to contracts whether made before or after the commencement of this Act and does not affect the law relating to part performance, or sales by the court.

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